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I diritti di cittadinanza tra forma e sostanza

il genere fa la differenza?

2 I diritti di cittadinanza tra forma e sostanza

Possiamo riferirci ai diritti di cittadinanza in termini universalistici o, piut-tosto, tali diritti sono necessariamente da considerare sulla base delle divisioni, di classe, di genere e di nazionalità, che li contrassegnano? È l’interrogativo che apre l’articolo della sociologa Sylvia Walby (1994) che, appunto, da un lato esamina il concetto di cittadinanza, con un approccio di genere, dall’altro tematizza la fruizione materiale dei diritti di cittadinanza da parte delle donne. In relazione alla prima questione Walby rileva che con riferimento alle donne inglesi, ad esempio, l’acquisizione dei diritti di cittadinanza non seguì lo schema marshalliano. Per le donne inglesi, evi-denzia Walby, la cittadinanza civile fu acquisita assieme a quella politica, all’interno di differenti stagioni di mobilitazione, iniziate nell’Ottocento e non ancora concluse, che ben difficilmente potevano essere categorizzate secondo lo schema fornito da Marshall. Nel caso delle donne, gli stessi diritti politici, sottolinea Walby, sono per lungo tempo stati esercitati in

via parziale poiché a fronte dell’esercizio del diritto di voto, garantito dal suffragio universale, alle donne non è stata garantita la piena opportunità di accesso allo spazio pubblico, come testimonia il disequilibrio presente ancora oggi nelle istituzioni, nelle organizzazioni e associazioni di rappre-sentanza politica, sindacale e imprenditoriale.

La distanza tra l’elaborazione formale e la fruizione sostanziale dei diritti di cittadinanza si inserisce nello spazio del dibattito più ampio che ha a che vedere con il rapporto tra i diritti di cittadinanza e lo status giuridico definito dallo Stato nazionale. Se per cittadinanza s’intende un vincolo di appartenenza territoriale, ci si deve necessariamente interrogare sulla ba-se di quali criteri essa viene attribuita, o concessa, e successivamente, sulla scorta di tali criteri, indagare chi e in quale modo ne beneficia e chi e con quali effetti ne resta escluso. Lungo questa direzione, da sempre lo status di cittadino è al centro di spinte opposte che, da un lato, tendono verso il riconoscimento universalistico dei diritti collegati a tale status, dall’altro, oppongono una sorta di diversificazione regolamentata, talvolta progres-siva, sulla base dell’appartenenza di classe, di genere e di nazionalità.

Secondo Marshall «la cittadinanza è uno status che viene conferito a co-loro che sono membri a pieno diritto di una comunità». Da questa proposi-zione lo studioso fa derivare che «tutti quelli che posseggono questo status sono uguali rispetto ai diritti e ai doveri conferiti da tale status» (Marshall [1950] 2002, p. 31). Nella teorizzazione marshalliana la cittadinanza, il cui sviluppo è coevo al capitalismo, determinerebbe, necessariamente, nel lungo periodo, il superamento della differenziazione di classe (e di gene-re), propria del feudalesimo. Tuttavia, Marshall sembra non considerare appieno le caratteristiche proprie e gli effetti del modo di produzione capi-talistico e il ruolo che lo Stato detiene nella gestione delle divisioni sociali. Elementi, questi, ben evidenziati, invece, un secolo prima, rileva Barbalet (1992, pp. 30-32) da Karl Marx in La questione ebraica ([1844] 1996). Marx rileva che l’emancipazione dello Stato dalla religione è un passaggio cru-ciale ai fini della sua costituzione come universalità tuttavia proprio tale universalità presuppone che la differenziazione sociale – determinata dalla diversa posizione che gli individui occupano nella società in virtù del ceto di appartenenza, dell’istruzione posseduta o garantita e della professione esercitata – si riproduca ad libitum, pena il venir meno della stessa ragion d’essere dello Stato. La coesistenza di universalismo e particolarismo os-servata da Marx non è, quindi, un elemento accessorio e contingente, bensì, costitutivo e permanente dello Stato moderno.

Nello spazio europeo, tuttavia, la forma dell’universalità espressa dallo Stato, specie dal secondo dopoguerra a oggi, si presenta in modo assai disomogeneo, nonostante la vigenza di un quadro normativo su base co-munitaria e lo sviluppo comune, seppur differenziato, di politiche sociali e di pari opportunità. Lungo queste linee, una sommaria analisi dell’effettiva fruizione dei diritti di cittadinanza sociale in Europa pone in luce due

distin-Trasformazioni e crisi della cittadinanza sociale

170 Toffanin. La cittadinanza sociale delle donne in Italia: il genere fa la differenza?

ti elementi: da un lato, la rilevanza dello Stato nell’opera di definizione del perimetro di tali diritti (e quindi dei soggetti che ne beneficiano e di coloro che, invece, non ne beneficiano e il grado di fruizione); dall’altro, la conti-nuità delle divisioni sociali, astrattamente antitetiche alla logica inclusiva che sottende l’idea di cittadinanza sociale, che definiscono le condizioni materiali di vita dei cittadini. Le divisioni presenti tra cittadini assumono, quindi, dei connotati eterogenei all’interno dello spazio europeo, in rela-zione alle specifiche variabili che caratterizzano lo Stato sociale e l’arela-zione collettiva. Pure le garanzie a tutela della partecipazione degli individui nei luoghi istituzionali e nei contesti decisionali, a prescindere dal genere di appartenenza, così come le garanzie in tema di parità di trattamento e di esercizio della possibilità di scelta in relazione a tutti gli ambiti di vita, sono ancora appannaggio dello Stato nazionale. Sebbene da oltre un decennio, non solo in ambito giuridico, si discuta della valenza e della necessità di definire una «cittadinanza sociale europea», nei fatti, le culture giuridiche nazionali allentano la possibilità di approdare ad una definizione a livello comunitario.

La caratterizzazione territoriale delle politiche sociali attivate dallo Sta-to, entro il quale, secondo Marshall, avrebbero dovuto trovare naturale sviluppo i diritti di cittadinanza, di fatto, ha alimentato una regolazione su base nazionale dei confini di tali diritti. Se da un lato, questa peculiare caratterizzazione è stata giustificata dalla formale giustificazione di poter valutare il rapporto tra l’esito dell’imposizione fiscale e le scelte politiche in tema di redistribuzione, dall’altro, essa ha, sostanzialmente, costituito un solido deterrente per l’allargamento dei diritti di cittadinanza, sotto la perpetua minaccia del rischio di crisi fiscale e delle contingenti politiche di austerità. Questa dinamica ha contribuito a differenziare ancor più lo spazio della cittadinanza europea, al punto da pregiudicare la stessa va-lenza definitoria del «modello sociale europeo». A tale proposito, Zolo (2007) rileva che l’affermazione della cittadinanza si è sostanziata in ter-mini progressivamente escludenti, al punto da poter suffragare l’ipotesi di «un’effettività decrescente del riconoscimento dei diritti soggettivi» che «al riconoscimento sempre più ampio della titolarità formale (entitlement) di nuove categorie di diritti ha contrapposto un’effettività decrescente del loro godimento (endowment) da parte dei cittadini» (p. 80).

Su quali basi, allora, può costruirsi la cittadinanza e possono essere ef-fettivamente fruibili i diritti sociali? A quale tipo di appartenenza collettiva si fa riferimento?

La libertà dal bisogno e la possibilità di scelta sono principi formalmen-te informalmen-tegrati nella Carta dei diritti fondamentali adottata a Nizza nel 2000 e, successivamente, rafforzati dal Trattato di Lisbona del 2009: tuttavia, tra i diversi Stati europei sono maturate politiche divergenti in ambito economico e sociale. La disomogeneità presente, è alimentata dalla stessa natura normativa vigente nello spazio dell’Unione Europea, basata sul soft

law poiché se da un lato essa offre la possibilità di implementare gli

orien-tamenti comunitari all’interno dei confini dello Stato nazionale, dall’altro essa accresce l’alea di discrezionalità da parte dei singoli Stati membri che pregiudica l’implementazione di politiche coerenti con tali orientamenti in tutto lo spazio europeo. Tale disomogeneità risulta particolarmente eviden-te se si considerano le politiche sociali, e quelle di bilanciamento dei eviden-tempi di vita e dei tempi di lavoro in particolare, che riguardano marcatamente le donne, in quanto maggiormente coinvolte nel lavoro di cura.