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Il neoliberismo contro la libertà

della cittadinanza sociale

6 Il neoliberismo contro la libertà

La Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea – formulata nel 2000, divenuta però vincolante solo con il Trattato di Lisbona nel di-cembre 2007 – contempla al capitolo IV una serie di diritti che riguardano le condizioni di lavoro, la sicurezza sociale e l’assistenza, le cure sanitarie, la protezione dell’ambiente e, in generale, «un’esistenza dignitosa» per tutti. Il Trattato di Roma del 1957 comprendeva il miglioramento delle «condizioni di vita e di lavoro dei popoli» fra gli «obiettivi essenziali». È significativo sia che tali istanze siano formalmente presenti, quasi come ovvietà nel nostro tempo, sia che esse vengano relegate in un generico sfondo dalla politica dell’UE nell’epoca del neoliberismo. La distanza tra quelle istanze e questa politica rispecchia la realtà contraddittoria della nostra società.

Con il neoliberismo, e la crisi in cui esso è sfociato, i tratti non demo-cratici dell’organizzazione dell’Unione Europea si sono accentuati. Pro-cedure decisionali tecnocratiche e oligarchiche prescindono dal controllo popolare, sia pure esercitato attraverso rappresentanti eletti. Mentre la liberalizzazione della circolazione delle merci, delle attività finanziarie e dei movimenti dei capitali è stata universalmente imposta, le politiche

dei singoli Stati rimangono frammentate riguardo al livello dei salari, alle norme sul lavoro, all’occupazione, all’imposizione fiscale, alle strategie industriali e alla spesa sociale. Viene anzi consentito che singoli Paesi pratichino il dumping fiscale, normativo e salariale per attirare capitali e addirittura fungano da ‘paradisi fiscali’. Capita che la stesura di rapporti sui ‘beni comuni’ sia affidata a grandi società private, per la buona ragio-ne che esse sono stakeholders – cioè interessate al busiragio-ness. Le politiche monetarie restrittive hanno provocato disoccupazione, l’esportazione della quale nei Paesi economicamente e politicamente più deboli viene favori-ta da atteggiamenti neomercantilisti dei Paesi più forti. Si raccomanda la privatizzazione dei servizi pubblici. Alla riduzione delle pensioni e dei servizi sociali fanno riscontro la moderata tassazione dei profitti e delle rendite, e l’aumento della tassazione indiretta. Il principio dell’universa-lismo riguardo a servizi come la sanità e l’istruzione, che ovviamente pre-suppone la loro gestione pubblica, è stato messo in questione. La tendenza è di tagliare la spesa e privatizzare i servizi. Nel 2010 la spesa sanitaria totale (pubblica e privata) pro capite è stata di $ 3997 in Francia e $ 8233 negli Stati Uniti d’America (a parità di potere d’acquisto), corrispondenti all’11,7% e al 17,6% del PIL dei rispettivi Paesi. La speranza di vita alla nascita risulta, nel 2011, di 82 anni in Francia e di 79 negli USA. La quota della spesa governativa sul totale è stata, nel 2010, del 76,9% in Francia e del 48,2% negli Stati Uniti (World Health Organization 2013). Dunque, negli USA, rispetto alla Francia, profitti e rendite di privati che operano a vario titolo nel settore sanitario assorbono una quota molto maggiore del PIL, mentre esiste una grande diseguaglianza fra cittadini ben assicurati e i circa 80 milioni di cittadini (!?) non assicurati o sotto-assicurati. Soprat-tutto su questi ultimi gravano i tre anni di speranza di vita in meno rispetto alla Francia. Dobbiamo anche in questo caso seguire l’esempio americano? La disoccupazione, pur essendo un problema sistemico, che riguarda almeno 30 milioni di persone nell’UE, tende ad essere affrontata non glo-balmente, a livello di politica macroeconomica, bensì con politiche di ‘atti-vazione’ e di ‘workfare’ rivolte ai singoli individui, in concorrenza l’uno con l’altro. La contrattazione collettiva va dileguandosi. La ‘flessibilizzazione’ del mercato del lavoro, che vuol dire paghe più basse, meno diritti e meno sicurezza per i lavoratori, viene presentata, contro ogni evidenza empirica, come la soluzione per aumentare gli occupati e uscire dalla crisi.

Da ogni punto di vista, insomma, si ritorna alla fiducia nel mercato, che era anacronistica già più di un secolo fa. Oggi lo è a maggior ragione, data l’influenza sempre più diretta e determinante del grande potere economico non solo sui mercati, ma anche sulla politica. Eppure, si tende a privatizza-re, anche attività che costituiscono monopoli naturali, anche i beni comuni, le public utilities, la formazione e l’assistenza (sanitaria e sociale) (vedi ad es. Frangakis et al. 2010).

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di organizzazioni industriali e finanziarie. I risultati sono, oltre alla tenden-za depressiva, l’aumento della disuguagliantenden-za, lo smantellamento delle riforme sociali conquistate dai lavoratori e l’accentuarsi di una struttura gerarchica sia nel mercato sia fra gli Stati membri dell’Unione. Le politiche neoliberali finiscono per compromettere la libertà degl’individui. Perfino la sovranità popolare attraverso il Parlamento, conquistata dalle rivoluzioni borghesi, viene minata dal Fiscal Compact concordato il 30 gennaio 2012, e in particolare dall’inserimento nella Costituzione dell’obbligo del bilancio in pareggio.

Il neoliberismo è stato il modo in cui la classe dominante ha risolto a suo modo la crisi politica ed economica degli anni Settanta. Essa ha riconqui-stato tutto il potere, a scapito della democrazia, e ha risolto – provvisoria-mente e per un’élite ristretta – le difficoltà dovute alla sovraccumulazione. La soluzione politica ha reso possibile quella economica, la quale a sua volta, minando ogni resistenza e imponendosi come necessità naturale, ha reso invulnerabile il potere. La nuova economia è stata basata sulla sva-lutazione della forza lavoro, in primo luogo, e sulla ricerca di nuovi campi d’investimento: accanto a quelli sottratti alla gestione pubblica, citati qui sopra, ci sono l’immane sviluppo dell’attività finanziaria, l’accaparramento di terreni e risorse naturali, la mercificazione di nuovi aspetti della vita individuale e sociale. La caratteristica dei nuovi tipi d’investimento è che producono rendita accanto al profitto, nella misura in cui implicano posizio-ni di monopolio o, come la speculazione finanziaria, si appropriano di valore che è prodotto da altre attività. Come scrive David Harvey (2005, p. 159), il principale risultato del neoliberismo è stato di «trasferire piuttosto che creare reddito e ricchezza»: un’«accumulazione mediante espropriazio-ne». L’intervento statale è stato riqualificato a questo fine. In altri tempi, John K. Galbraith (1973) aveva illustrato l’opposizione fra un’economia basata sui piani privati, del grande business principalmente, e un’econo-mia che avrebbe dovuto, invece, essere sempre più indirizzata secondo «finalità pubbliche». L’attuale ideologia di mercato implica non tanto la riduzione quanto l’assoggettamento dell’intervento statale alle esigenze dell’accumulazione neoliberista: una politica sempre più «privatizzata», capace di garantire la libertà (di mercato) agendo autoritariamente contro l’eguaglianza e l’autodeterminazione (Lösch 2008, pp. 221-222). Lo scopo è un’efficace «predazione» a favore di una ristretta «classe agiata» (Gal-braith 2008). Una piccola ma potente minoranza, secondo James Gal(Gal-braith, cerca di «controllare lo Stato sia per impedire il perseguimento di finalità pubbliche sia per invadere i campi di attività costituiti in passato secondo finalità pubbliche» (Galbraith 2008, p. 131). Il controllo viene esercita-to – ancora più facilmente, data la loro natura tecnocratica – anche sugli enti internazionali (come il Fondo Monetario Internazionale o l’Unione Europea).

che la definiscono e alla sua realtà effettiva? Qualche conclusione o alme-no suggerimenti per ulteriori ricerche si possoalme-no trarre dalle seguenti, sommarie indicazioni:

a) La diseguaglianza è aumentata. Secondo l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico la quota del reddito nazionale che va ai lavoratori dipendenti è diminuita in media del 10% dalla seconda metà degli anni Settanta al 2007 (in Italia, dal 68% al 53%) (OCDE 2008, p. 38). In seguito, la crisi ha accentuato questa tendenza (OECD 2011).

b) Difficili da misurare, ma evidenti, sono gli aspetti non economici della diseguaglianza. Essi hanno a che fare con le «capabilities» (Sen): con le possibilità effettivamente date agli individui, con la loro libertà, con il loro status di cittadini. La decadenza della democrazia compor-ta quella dei diritti civili e politici che la costituiscono. La riduzione dei diritti sociali è a sua volta causa ed effetto dell’aggravarsi di tale decadenza. Abbiamo visto che Castel parla al riguardo di un ritorno all’esclusione sociale. La diffusione della mentalità individualistica e in particolare l’attacco contro le politiche sociali universalistiche por-tano nella stessa direzione. Nel Regno Unito la riduzione del welfare per le classi medie viene motivata con l’affermazione che si tratta di «persone che mungono il sistema» (Fraser, Gordon 1992). Negli Stati Uniti è diffusa anche fra coloro che non sono affatto ricchi la contra-rietà al finanziamento mediante proventi fiscali di servizi a favore di poveri «che non se li meritano» (undeserving).

c) La crisi provoca povertà a causa della disoccupazione, dell’aumento della diseguaglianza e dell’ulteriore riduzione della spesa sociale. L’immiserimento è anche morale. E il diritto all’informazione e ad esercitare la «razionalità sostanziale» subisce le conseguenze nega-tive dell’esigenza dell’élite dominante di rafforzare il controllo socia-le, anche giovandosi del conformismo delle organizzazioni politiche reputate progressiste. La difficoltà di vivere, unita a quella di reagire intelligentemente ed efficacemente per soluzioni alternative, tende ad alimentare l’adesione a movimenti populisti, xenofobi, razzisti. La diffusione di questo atteggiamento autolesionista, dimostrata dal successo di partiti di estrema destra in diversi Paesi europei, mette a rischio le istituzioni democratiche e quindi i diritti civili e politici. d) Mentre i diritti sociali vengono ridotti o deformati, i «predatori»

ac-quisiscono diritti nuovi e più favorevoli. La ‘deregolamentazione’ e la privatizzazione hanno lasciato sempre più indifese dallo sfruttamento ‘di mercato’ quelle che Polanyi chiama «merci fittizie»: il lavoro, la terra, la moneta. Si è affermata inoltre, a partire dal 1980 negli Stati Uniti, la tendenza a mercificare anche aspetti della conoscenza prima considerati beni comuni. La legislazione sui brevetti e la proprietà in-tellettuale è divenuta più permissiva ed è stata estesa a nuovi campi,

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fino a rendere brevettabili non solo le invenzioni, ma anche le scoperte delle scienze naturali, che finora restavano di dominio pubblico, bene comune.

L’UE e gli USA hanno avviato nei primi mesi del 2013 negoziati per un trattato chiamato Transatlantic Trade and Investment Partnership, che dovrebbe armonizzare – cioè, generalmente, rendere meno restrittive – le norme riguardanti l’agricoltura, la sicurezza alimentare, gli standard tecni-ci dei prodotti, i servizi finanziari, la protezione della proprietà intellettuale e gli appalti pubblici. Gli investimenti, inoltre, dovrebbero essere ulterior-mente liberalizzati e protetti. Infine, le grandi compagnie sovranazionali verrebbero risarcite, in caso di norme di singoli Stati a loro non favorevoli, a giudizio di una corte internazionale che potrebbe ridursi a una commis-sione arbitrale composta da avvocati. Qui è chiaro che il diritto dei cittadini alla protezione della loro salute, del loro lavoro e della loro terra rischia di essere ulteriormente ridotto a favore del diritto degli investitori (http:// ec.europa.eu/trade/policy/in-focus/ttip/ [2014-10-08]; Bizzarri 2013).

In un rapporto della banca JP Morgan (2013) sull’UE si auspica che le Costituzioni che «mostrano forti influenze socialiste», quelle dei Paesi «periferici» in particolare, vengano modificate per rendere gli esecutivi più forti e quindi facilitare riforme che diminuiscano «la protezione dei diritti dei lavoratori». Vengono messi in questione, dunque, da una banca privata, i diritti sociali ed economici, non solo al livello delle norme più specifiche, ma anche a quello del loro fondamento costituzionale.

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Dino Costantini

Abstract The consumption of the welfare compromise – and of its political correlate

configura-tion, party democracy – has led to the present crisis of social citizenship, and to the emergence of a new political paradigm that has been named ’postdemocratic’. This paradigm coincides with the hegemony of a cynic proceduralism – inspired by Schumpeter’s definition of democracy as a method of selection of political elites – that reduces democracy to the presence of free elections. Despite the pretensions of neoliberal thought, this re-configuration is not natural, nor definitive. Remembering how the neoliberal paradigm has gained its hegemony eroding the welfare com-promise, the article historicizes and politicizes the meaning of present democratic institutions, suggesting that the history of democracy has not come to its end. As an historically determinated concept, democracy is – and will always be – the contingent result of social and political struggles, past and to come.

Sommario 1. L’equivoco democratico. – 2. La democrazia del welfare. – 3. La democrazia dei

partiti. – 4. La crisi degli anni Settanta. – 5. Il riduzionismo democratico schumpeteriano. – 6. La postdemocrazia. – 7. Conclusione.