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La democrazia del welfare

della cittadinanza sociale

2 La democrazia del welfare

Il conflitto di interpretazioni intorno al quale prendono forma gli equivoci precedentemente evocati è la testimonianza di quella che si potrebbe de-finire una «crisi di paradigma» politico,7 ed in particolare della crisi del

6 Riprendendo la classica formulazione aristotelica, chiamiamo equivoci quegli oggetti che hanno in comune il nome mentre le definizioni che il nome stesso richiama sono diverse. La fluidità del concetto di democrazia non riguarda solo la teoria politica, ma gli stessi Stati che della democrazia si sono proposti in questi anni come i gendarmi internazionali. Come ha notato Irving Louis Horowitz lo stesso Dipartimento di Stato americano non possiede infatti una definizione operativa di democrazia. In questo modo «world’s only superpower is rhetorically and militarily promoting a political system that remains undefined--and it is staking its credibility and treasure on that pursuit» (Horowitz 2007, p 114).

7 L’espressione, come è noto, è di Thomas Samuel Kuhn. Per Kuhn la crisi di paradigma è la fase immediatamente precedente ad una rivoluzione scientifica, un momento di tran-sizione, nel quale un paradigma scientifico è entrato in crisi ma non si è ancora affermata universalmente una nuova scienza normale a sostituirlo. Un paradigma secondo Kuhn è un

Trasformazioni e crisi della cittadinanza sociale

60 Costantini. Cittadinanza sociale e postdemocrazia

paradigma democratico che era emerso alla fine della Seconda guerra mondiale dalle macerie di un’Europa devastata dalla crisi economica prima e dalla guerra poi. L’epoca della ricostruzione postbellica aveva portato con sé una ridefinizione epocale del concetto di democrazia che aveva coinvol-to non solo le istituzioni direttamente politiche ma aveva innescacoinvol-to anche un processo di progressiva trasformazione dei contenuti della cittadinanza democratica, conducendo alla nascita di una nuova forma di democrazia che è stata definita in molti modi: democrazia del welfare o del benessere, democrazia progressiva o sociale, democrazia costituzionale o dei partiti. Al di là delle possibili aggettivazioni, il nuovo paradigma aveva al suo centro una nuova concezione del legame di cittadinanza, cui dava una de-finizione sensibilmente più ampia di quella che aveva dominato la scena politica sino a quel momento. Secondo questa concezione la pienezza della formula democratica coincide non solo e semplicemente con la tutela dei diritti civili e la piena estensione di quelli politici, ma con la protezione di un importante pacchetto di diritti sociali (D’Alessandro 2006; Costa 1999-2001, 2005; Zolo 1994; Bobbio 1990; Marshall 1950).

Questa nuova concezione della democrazia si era resa necessaria a par-tire dall’usura che le lotte operaie avevano prodotto nel paradigma prece-dentemente dominante, quello del liberalismo ottocentesco. Il paradigma democratico liberale era stato oggetto di una severa critica teorica già nel 1843, anno a cui risale La questione ebraica di Karl Marx (Marx 1843). La critica di Marx si muove denunciando il carattere formalistico della de-mocrazia liberale: la formale concessione a tutti gli individui del diritto di partecipazione alla vita politica realizzava secondo Marx un’emancipazione di tipo solo nominale o politico, funzionando nel contempo come uno scher-mo dietro al quale occultare le diseguaglianze concrete che continuavano a sussistere immutate in seno alla società. In questo modo la democrazia liberale finisce per essere per Marx una democrazia inevitabilmente bor-ghese, ossia un sistema politico volto a favorire gli interessi di tale classe sociale piuttosto che la generale emancipazione umana.

A un secolo di distanza dallo scritto di Marx, sulla spinta delle lotte del movimento operaio, il suffragio universale era stato conquistato in quasi tutti i Paesi europei. Le brucianti esperienze delle soluzioni autoritarie e plebiscitarie che si erano moltiplicate nell’epoca dei fascismi avevano confermato l’acutezza dell’analisi marxiana, mostrando i limiti di un’eman-cipazione che rimanesse su di un piano meramente formale (Polanyi 1944; Losurdo 1993). La grande crisi economica scatenatasi a seguito del crollo di Wall Street nel 1929, l’esperienza del nazifascismo e la tragedia della guerra avevano infine convinto parti importanti della borghesia europea

insieme di teorie, leggi e strumenti che definiscono una tradizione di ricerca le cui teorie sono in un dato momento universalmente condivise dalla comunità scientifica (Kuhn 1962).

della necessità di una rivisitazione delle forme, dei contenuti e delle finalità delle istituzioni democratiche. Questo processo è stato reso improcrasti-nabile dalla concorrenza dei sistemi socialisti, producendo una repentina trasformazione delle forme della politica che ha superato di un balzo le principali perplessità che il liberalismo classico aveva sino ad allora con-servato nei confronti dell’interventismo economico dello Stato e della sua funzione perequativa della diseguaglianza sociale.

La nuova concezione della cittadinanza che emerge in questo perio-do – l’idea della cittadinanza sociale, appunto – si appoggia su un moperio-do nuovo di concepire il ruolo dello Stato in economia. L’esperienza americana del New Deal, l’influenza crescente della riflessione economica di John Maynard Keynes, il rapporto Beveridge e l’attuazione dei suoi indirizzi resa possibile dalla vittoria laburista nelle elezioni inglesi del 1945, ave-vano sancito il superamento dell’ortodossia liberale anche dal punto di vista economico (Conti-Silei 2013; De Boni 2007-2009; Girotti 1998). La capacità di autoregolazione dei mercati non bastava più a garantire le con-dizioni di vita delle masse dei cittadini. Era giunto il momento per lo Stato di assumere compiti istituzionali nuovi: diversamente dagli Stati liberali ottocenteschi che predicavano l’astensione dello Stato dal gioco economi-co – ossia il mantenimento delle istituzioni democratiche su di un livello programmaticamente formale -, le democrazie postbelliche si propongono di difendere la società dalle conseguenze più perniciose dell’integrazione socio-economica mercantile, favorendo lo sviluppo di forme di socialità alternative (Polanyi 1944). Le democrazie postbelliche iniziano così ad intervenire attivamente nell’economia, attraverso la programmazione, il sostegno agli investimenti e quello al reddito, oltre che con la partecipa-zione diretta alla produpartecipa-zione attraverso la creapartecipa-zione di imprese pubbliche. L’intervento statale si esplica sui piani più differenti: sanitario, scolastico, lavorativo, assistenziale ecc. In questo modo il legame di cittadinanza – co-me la ricostruzione di Thomas H. Marshall mostra nel modo più esemplare (Marshall 1950)8 –, si viene a riempire di sostanza legandosi ad un pacchet-to di diritti che si fa via via sempre più ampio: oltre a continuare a difendere i diritti civili cari alla tradizione liberale e ad impegnarsi a generalizzare i diritti politici che erano stati il frutto dell’evoluzione storica ottocentesca della democrazia dei moderni, gli Stati riempiono l’involucro formale della

8 La visione ‘evoluzionistica’ di Marshall è ricalcata sull’esperienza storica e sociologica inglese. La progressione rilevata da Marshall (prima i diritti civili, poi quelli politici e infine quelli sociali) non descrive altrettanto bene il caso tedesco (dove lo ‘Stato assistenziale’ ha preceduto il suffragio universale) o il caso francese (in cui diritti civili, politici e sociali comparvero simultaneamente assieme già all’epoca della Rivoluzione) (Bottomore 1992; Zincone 1992). Secondo Thomas Casadei la prima teorizzazione dei diritti sociali risalirebbe a Thomas Paine (Casadei 2012).

Trasformazioni e crisi della cittadinanza sociale

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democrazia di diritti sociali concretamente esigibili.9 Nasce così il welfare

state, nel quale la democrazia formale di stampo liberale si ibrida con la

de-mocrazia sostanziale di ispirazione socialista, realizzando un compromesso che garantirà per trent’anni – che in Francia sono ricordati come i trente

glorieuses – crescita, occupazione e condizioni di benessere crescente per

le popolazioni delle democrazie occidentali.