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Il cittadino dimenticato

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 140-146)

Luca Odini

3. Il cittadino dimenticato

Date queste premesse potremmo dire che il paradigma teorico nel dibattito pedagogico del Novecento era ben presente ma, come vedremo, non si può dire lo stesso nello sviluppo, o forse meglio ancora nell’attuazione di un orientamento sociale condiviso. Gli asili nido infatti non disponevano di alcun modello definito e specifico.

La legislazione a riguardo trovò una svolta nella legge del 6 Dicembre 1971, n. 1044 con la quale veniva predisposto un piano quinquennale per l’istituzione di asili nido comunali con il concorso dello stato. Visto l’altis-simo fabbisogno di asili nido sul territorio (l’ONMI diede vita all’esiguo numero di circa 600 strutture in tutto il Paese), era prevista dal 72 al 76 la costruzione di almeno 3800 asili nido.

In Italia però, nonostante questi aspetti che possiamo definire di indub-bia arretratezza, non sono mancate felici esperienze, ed ancora una volta, non casualmente, dobbiamo rivolgerci al territorio di Bologna. Nel 1971 a Bologna, mentre veniva varata la legge 1044, si stavano già analizzando gli esiti di un’esperienza che da alcuni anni faceva funzionare gli asili del co-mune in aperta contrapposizione all’ONMI. Quest’esperienza fu l’esito fe-lice delle pressioni dell’UDI (Unione Donne Italiane) che già dal 1960 spinsero politicamente per il passaggio degli enti e delle funzioni di com-petenza dell’ONMI alle amministrazioni comunali. Nel 1965 una proposta di iniziativa popolare si mobilitò per l’istituzione di un servizio nazionale

di asili nido, che venne avanzata anche nel 68 dalle Confederazioni Sinda-cali. L’esito di queste battaglie e di queste pressioni condusse esattamente alla legge 1044.

L’asilo quindi si trasformò nell’ottica di un servizio sociale pubblico che non poteva più essere demandato ad un organismo come l’ONMI, buro-cratico e decisamente verticistico, ma doveva rispondere al principio del decentramento democratico, gestito dai comuni, finanziato dallo stato con una forte programmazione regionale e coinvolgimento sociale.

Il modello di asilo nido quindi poteva essere colto, a tutti gli effetti, come nuova scuola per l’infanzia ed essere visto in un rapporto di continuità e contiguità con la scuola materna. Tale impulso viene sicuramente anche dalle intuizioni e dalle elaborazioni di Frabboni, allievo di Bertin nella scuola del problematicismo pedagogico, che nel volume “La scuola d’in-fanzia” (1974) immagina il modulo per l’asilo nido come una rinnovata scuola per l’infanzia e lo prospetta in un rapporto di continuità e contiguità con la scuola materna.

Nonostante questa spinta, l’art. 1 della legge 1044 appare costruito da affermazioni mal amalgamate e poco coerenti tra loro. Riconosce infatti che «l’assistenza negli asili nido ai bambini di età fino ai tre anni, nel quadro di una politica della famiglia, costituisce un servizio di interesse pubblico» e prosegue: «gli asili nido hanno lo scopo di provvedere alla temporanea custodia dei bambini, per assicurare un’adeguata assistenza alla famiglia, e anche per facilitare l’accesso delle donne al lavoro nel quadro di un com-pleto sistema di sicurezza sociale».

Occorre sottolineare come i termini utilizzati di assistenza e di custodia si pongano in aperto contrasto sia con il clima pedagogico che abbiamo cer-cato di descrivere poche righe sopra, sia con gli auspici della Montessori, di Ciari e Frabboni. In realtà questi autori tentavano proprio di riuscire a supe-rare questa visione assistenzialistica di asilo nido. Un ciclostilato della Regione Emilia Romagna (Regione ER, Assessorato ai Servizi Sociali, Ciclostilato 12-5-1972) va esattamente in questa direzione quando sottolinea a riguardo: «Nelle lotte e nel dibattito di questi anni, maturata la consapevolezza che il problema è sì di avere tali strutture sociali, ma anche di averle in un certo modo, con determinate caratteristiche: il punto di riferimento è diventato il bambino, la sua personalità e le sue esigenze; si è respinto il discorso della semplice custodia, per approfondire e far emergere quello formativo, di in-tervento socializzante verso l’infanzia. L’asilo nido è andato quindi

rizzandosi come un servizio decentrato a livello residenziale, valido in linea di principio per tutti i bambini: non quindi rimedio inevitabile ad una con-dizione abbandonica del bambino o elemento ammortizzante di tensioni so-ciali prodotte dall’ingresso della donna nel momento produttivo, ma strumento di base per una rinnovata politica verso l’infanzia».

Tale visione si può ritrovare, seppure in maniera parziale, nell’art. 6 della legge 1044 andando ad individuare gli aspetti più qualificanti della nuova isti-tuzione sia per quanto riguarda i principi che venivano proposti ed esplicitati, sia per quanto riguarda la delega delle norme attuative alle singole regioni.

A ragion del vero però, occorre anche sottolineare come gli indirizzi che abbiamo indicato in questa linea che parte dalla Montessori e tocca Ciari e Frabboni, che ci sentiamo di condividere, non rappresentassero in maniera sintetica e organica la totalità della comunità scientifica. Ci basti ricordare come Saraceno (1971, p. 76) scriveva: «Non basta chiedere asili nido, ma occorre qualificarli come contenuto… Ciò che è certo è che la madre in generale – che vada a lavorare o no – non può farcela da sola, per il bene dei suoi figli, ed è crudele colpevolizzarla per questo». Mentre d’altro canto Spini (1976, p. 5) affermava: «Essi (i piccoli) hanno essenzialmente bisogno di una buona famiglia; soltanto se questa non può o non sa assolvere al suo impegno educativo, è bene che intervenga l’asilo nido, assumendo però a proprio modello – per quanto possibile – l’atmosfera, i contenuti di vita, i rapporti interpersonali di un valido “gruppo familiare”».

Al netto però di queste discrepanze, che forse rispecchiano in parte anche le contraddizioni svelate nell’articolo 1 della 1044, l’art. 6 invece si dimostra decisamente avanzato e innovativo affermando che gli asili nido devono: «essere realizzati in modo da rispondere, sia per localizzazione che modalità di funzionamento, alle esigenze delle famiglie; essere gestiti con la parteci-pazione delle famiglie e delle rappresentanze delle formazioni sociali orga-nizzate nel territorio; essere dotati di personale qualificato, sufficiente ed idoneo a garantire l’assistenza sanitaria e psico-pedagogica del bambino; possedere dei requisiti tecnici, edilizi ed organizzativi tali da garantire l’ar-monico sviluppo del bambino».

Con la legge 1044 si va dunque a disegnare il nuovo asilo collocandolo in aree residenziali, in modo da rispondere in maniera funzionale alle esi-genze delle famiglie, e si costituisce immaginando un’effettiva collabora-zione e compartecipacollabora-zione di soggetti terzi, elemento invece non previsto dai decreti delegati per la scuola materna, elementare e secondaria. La legge

prevede inoltre che il personale sia formato, e dunque qualificato, sia a monte che a valle, sia sul piano psicologico che su quello pedagogico, e pre-scrive strutture edilizie adeguate a queste esigenze che si sono espresse.

Di fronte ad un testo normativo con queste luci ed ombre che abbiamo evidenziato, la competenza e la responsabilità di approvare le norme attua-tive sono passate alle singole regioni, che hanno evidenziato impostazioni, diversità e approcci del tutto disomogenei che variano da diverse sensibilità politiche a differenze di ordine economico o sociale e culturale. Dopo un paio d’anni di applicazione della 1044 Bassanini (1974) è costretta, analiz-zando la situazione, a tracciare un quadro decisamente sconfortante, scrive: «là dove qualcosa è stato fatto, è stato fatto perché l’ente locale, spesso sti-molato e sostenuto da un movimento di base, si è assunto interamente l’onere dei costi di costruzione e gestione, sia mediante stanziamenti speci-fici su bilancio, sia attraverso il pagamento degli oneri di urbanizzazione secondaria posti a carico degli impresari dell’edilizia, sia aprendo vertenze con i datori di lavoro perché pagassero un’aliquota contributiva superiore dello 0,10 fissato per legge, sia fissando rette mensili proporzionate alle en-trate effettive del nucleo familiare».

In buona sostanza pare di comprendere che il ritardo delle norme attua-tive per l’applicazione della legge 1044 sia dovuto solo in minima parte da problemi tecnici o lungaggini di tipo burocratico, ma sia dovuto piuttosto ad una volontà di frenare la portata innovativa di tale legge e di una totale mancanza di volontà ad immaginare un’istituzione alternativa di asilo nido rispetto al modello degli asili aziendali o dell’ONMI. In qualche modo pare proprio di dover ammettere che ci si sia scontrati con la fatica, segnalata da Bassanini, di superare una sorta di mitologia familistica per orientarsi verso un modello che, suggerisce Mantovani (1976, pp. 10-11), porti a conside-rare l’asilo «prima di tutto dal punto di vista del bambino, come una prima scuola, cioè come un diritto ad un ambiente che integri la famiglia, for-nendo un primo luogo – ben più adeguato alla realtà attuale della famiglia nucleare – di integrazione».

In questo senso la regione Emilia Romagna e Lombardia paiono essersi mosse in maniera decisamente innovativa diventando un punto di riferi-mento per la costruzione dei decreti attuativi. L’Emilia Romagna delega in-fatti alle autonomie locali dei comuni e dei consorzi la possibilità e l’auspicio di un coordinamento con gli altri servizi operanti sul territorio, indivi-duando altresì un rapporto tra personale educativo e posti bambino tra i

più bassi di tutto il paese (uno a cinque in un primo momento, ma tale rapporto apparve da subito insostenibile). La legge regionale, inoltre, spe-cifica come tutto il personale dell’asilo sia partecipe della funzione educa-tiva, seguendo il principio del lavoro di gruppo, e tale impostazione va esattamente nella direzione delle esperienze di Ciari a Bologna e di Mala-guzzi a Reggio Emilia.

In Lombardia invece la normativa aveva anticipato l’inserimento di bam-bini con diverse abilità e stabiliva norme precise sulla ricettività dei nidi, pre-vedendo anche l’istituzione dei micro-nidi. Ancora in Lombardia si individuarono in maniera corretta e coerente le competenze del comitato di gestione in cui vengono coinvolte anche le organizzazioni sindacali e il co-mune, oltre, ovviamente, alle rappresentanze degli utenti e degli operatori della struttura. Sempre la regione Lombardia si è mossa coerentemente per organizzare corsi di formazione per il personale già operante, e per i futuri immessi in servizio, in modo tale da costruire gruppi di lavoro che potessero collaborare nell’ottica di un gruppo di lavoro corale, collettivo e democratico. Un lavoro di analisi dei provvedimenti, regione per regione, sarebbe si-curamente interessante da mettere in campo, ma in questo caso a noi è in-teressato mostrare come gli interventi normativi avessero recepito, anche se in parte e non in maniera del tutto coerente, una sensibilità pedagogica che si andava creando nella comunità scientifica e vedeva, nell’asilo nido, una prima comunità infantile in cui il bambino poteva essere considerato come un essere in formazione, in cui si potessero valorizzare richieste di au-tonomia e incremento delle abilità sensoriali. Un contesto che richiede, per essere fruttuoso, competenze specifiche e necessaria formazione da parte degli insegnanti, non solo di tipo teorico, ma anche di un modo di relazio-narsi con il bambino e con la società, con le istituzioni e i vari protagonisti allargati nella crescita di questa prima scuola per l’infanzia.

4. Conclusioni

Con questo contributo ci pare di aver evidenziato come in una realtà come quella italiana, l’elaborazione pedagogica, civile e sociale di un particolare vissuto dell’infanzia, abbia condotto il legislatore e il tessuto sociale a rico-noscere l’importanza e il ruolo fondamentale dell’educazione dell’infanzia tra gli anni Sessanta e Ottanta del secolo scorso. In quegli anni è apparso

evidente che l’educazione delle bambine e dei bambini fosse una questione sociale legata al diritto della cittadinanza che corrisponde alla volontà di “liberare” il bambino, rispondendo in questo modo all’appello dell’art. 3 della Costituzione che invita alla promozione del pieno sviluppo della per-sonalità umana e alla rimozione degli ostacoli che ne impediscono l’attua-zione, e si è arrivati anche ad individuare, perlomeno dal punto di vista teorico, due architravi portanti dell’esperienza educativa nell’asilo nido: il processo di socializzazione e quello di apprendimento, che andavano con-siderati in stretta correlazione. In questo senso l’esperienza che abbiamo cercato di sottolineare rinnova tutta l’importanza, per il pensiero pedago-gico, di continuare a nutrire con riflessioni, esperienze e sperimentazioni la capacità di rinnovare una visione dell’asilo che oggi sembra aver perso la prospettiva e lo spirito che in quegli anni lo caratterizzava.

Riferimenti bibliografici

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I.10

15 settembre 1938.

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 140-146)

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