Infanzia e scuola: approccio storico e prospettive Brunella Serpe
1. La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza
A 30 anni dall’approvazione della Convenzione è quindi importante riflet-tere su quanto è stato fatto in Italia per realizzare i principi basilari enunciati dal documento sottoscritto insieme ad altri Stati dopo che una serie di prov-vedimenti, a partire già dal 1924, avevano richiamato l’attenzione sui diritti dei minori. Ciò andava in netta contrapposizione a una cultura che aveva sostanzialmente negato ai minori il godimento di diritti fondamentali quali
l’assistenza sanitaria, standard di vita essenziali e istruzione; diritti disattesi e che andavano riconosciuti, garantiti ed estesi all’infanzia e all’adolescenza.
Meritano di essere almeno richiamati, a tal proposito, alcuni dei passaggi della Convenzione: quello riferibile al principio di non discriminazione senza alcuna distinzione di sesso, di razza, di colore, di lingua, di religione e di opinione del minore e dei genitori (art.2); al diritto alla vita con l’impegno ad assicurare la sopravvivenza e lo sviluppo di ogni minore (art. 6); all’im-pegno, ancora, a diminuire la mortalità, a contrastare le malattie e la mal-nutrizione (art. 24). Importanti, inoltre, i riferimenti alle cure necessarie a garantire il benessere di ogni fanciullo (art. 3 comma 1). Anche in presenza di handicap mentali e/o fisici, ogni minore deve poter godere del diritto al-l’educazione, alla formazione, alle cure sanitarie e alla riabilitazione, tutti interventi atti a favorire una piena integrazione sociale e il pieno sviluppo personale (art. 23). Si parla ancora di sicurezza sociale (art. 26), di livello di vita sufficiente a garantire lo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale dei minori (art. 27 comma 1); di diritto all’educazione e a misure per ridurre l’abbandono scolastico (art. 28 comma 1) e di cooperazione in-ternazionale per ridurre/eliminare l’ignoranza e l’analfabetismo (art. 28 comma 2). Ci si sofferma, ancora, sulla necessità di un’educazione capace di favorire lo sviluppo della personalità, delle facoltà e delle attitudini men-tali e fisiche del fanciullo, che lo prepari ad assumere le responsabilità della vita in una società libera (art. 29 comma 1). Il testo si sofferma anche sul diritto al riposo e al tempo libero (art. 31), assumendo una netta posizione contro ogni sfruttamento, lavorativo e sessuale, del minore (artt. 32 e 34). Nonostante ciò, l’importante dispositivo di monitoraggio previsto dalla Convenzione finalizzato a conoscere le azioni e gli interventi promossi da ciascuno Stato per soddisfare i principi sanciti nel testo della stessa, è più che mai una spia che denuncia le distanze tra i principi così nettamente sanciti e la loro concreta applicazione. La riflessione potrebbe partire dal 1994, anno in cui è stato pubblicato il primo Rapporto sullo stato di at-tuazione della Convenzione, ma non serve andare così indietro per capire quanto resti da fare in Italia per l’infanzia del Sud e delle Isole, come dram-maticamente denuncia l’ultimo rapporto le cui Osservazioni conclusive sono state rese note nel dicembre del 2018.
Quale la condizione dell’infanzia che emerge in riferimento al Mezzo-giorno? Quale politica e quali programmi sono stati messi in atto dal Go-verno italiano per sostenere l’infanzia e l’adolescenza? In estrema sintesi,
quando si parla di copertura dei servizi educativi per l’infanzia 0-6 anni, sia pubblici che privati, di scuole antisismiche, di sanità e di punti nascita, l’elenco delle disparità regionali e tra macro aree è fin troppo evidente e ri-marca le stridenti distanze che, con il trascorrere dei decenni, non sono state colmate. Partendo dalla percentuale minima di copertura del territorio fissata al 33%, al di sotto della quale la situazione denuncia condizioni di problematicità, i dati mostrano che nessuna regione meridionale raggiunge quella percentuale e che, tranne la Sardegna più prossima a soddisfarla, la distanza è ancora considerevole. Se si prende a esempio la copertura del ter-ritorio, sommando i dati pubblico/privato il Nord-Ovest, il Nord-Est e il Centro sono prossimi a quel 33%, mentre il Sud (11% circa) e le Isole (13% circa) rimangono ancora troppo distanti dalla meta fissata dall’ONU e anche ben al di sotto della media nazionale che comunque concorrono ad abbassare. Anche considerando i posti a disposizione nelle sole strutture pubbliche, quel che si evince è che per ogni 100 bambini con meno di tre anni, la forbice tra regioni è particolarmente ampia; si va dall’Emilia Ro-magna e dalla Valle d’Aosta che arrivano ad accogliere rispettivamente il 24,4% e 23,3%, alla Campania e alla Calabria, dove solo il 3% e il 2,5% dei bambini può contare su questa opportunità. Il divario non è colmato neanche dall’offerta privata, sempre molto più debole al Sud anche per i dati poco incoraggianti relativi al reddito pro-capite che non aiuta né in-coraggia la crescita del settore privato.
L’inadeguata presenza del nido e una scuola dell’infanzia poco poten-ziata, in presenza di una precarietà economica, espongono l’infanzia a una povertà ancora più rischiosa che si accompagna alle difficoltà di accesso alle cure sanitarie, alla mancanza di un’alimentazione corretta, alla debolezza alfabetica. Preludio, tutto questo, alla deprivazione culturale che cogliamo anche dai dati che riguardano la frequenza con cui la fascia d’età 6-17 anni svolge attività culturali quali la lettura, la partecipazione a concerti, visite a musei e a mostre, attività sportive continuative e altro. Per tutte queste voci si colgono nei dati distanze importanti, con gravi rischi di abbandono sco-lastico e di esclusione sociale.
Ancora una volta il problema è politico come si deduce dal testo licen-ziato dal Gruppo di lavoro per la Convenzione che ha raccolto i dati: l’allo-cazione delle risorse non può non tenere conto dei divari e delle sofferenze territoriali, acuite da misure di austerità a cui si è fatto ricorso soprattutto negli ultimi anni e che hanno aggravato le economie delle comunità più
svantaggiate ed emarginate.
Un’analisi, anche retrospettiva, scevra da letture faziose, e non eccessi-vamente suggestionata da dati e da statistiche ufficiali, non può non cogliere nell’analfabetismo, nella lenta riqualificazione dell’edilizia scolastica e nella questione relativa alla formazione della classe magistrale, alcune delle pro-blematicità che hanno connotato, in negativo, la storia della scuola italiana e, nello specifico, quella delle aree più deboli, pur con le eccezioni rappre-sentate da territori e da province che hanno espresso una diversa sensibilità nei confronti della scuola, come mostrano importanti esperienze e testimo-nianze di cui viene facendosi carico una ricerca storico-educativa sempre più attenta alle microstorie, alle fonti materiali dell’educazione, alla ric-chezza delle memorie scolastiche e alla varietà dei documenti di archivio.
Una ricerca che ha dato sempre più puntuale rilievo ai trascorsi storici che, con tutta evidenza, hanno pesato e pesano ancora oggi su tutto il nostro sistema scolastico-formativo soprattutto nel segmento che interessa l’infan-zia rimasto di gran lunga quello più problematico, nonostante nei tanti do-cumenti nazionali e internazionali si esprima grande attenzione nei confronti della condizione infantile. Oltre alla carta dell’ONU, vale la pena ricordare la legislazione sui diritti dei minori e soprattutto la nostra Costi-tuzione che, nel Titolo I, disciplina i rapporti civili, nonché i principi fon-damentali dello Stato e in diversi passaggi riconosce e si impegna a garantire i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo che come soggetto sociale (art. 2) e a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impe-discono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3). Di diritti si parla anche nel Titolo II che disciplina i rapporti etico-sociali. Anche qui si di-chiara l’impegno della Repubblica a proteggere la maternità, l’infanzia e la gioventù (art. 31) e a tutelare la salute come fondamentale diritto dell’in-dividuo (art. 32); a garantire l’istruzione inferiore a tutti e ai capaci e me-ritevoli fino ai gradi più alti degli studi (art. 34). Affermazioni importanti che, tuttavia, stridono con le distanze e le discordanze che caratterizzano l’attuale quadro della condizione infantile e rendono incomprensibile il mancato rispetto di quei principi, così solennemente individuati e sanciti, e ancora oggi diffusamente disattesi e procrastinati un po’ dappertutto in Italia e che ci restituiscono il senso di una politica nazionale poco attenta alle esigenze dei minori, di sostanziale disimpegno e, perciò, deleteria per molte realtà meridionali.