Carla Callegari
2. Le condizioni dell’infanzia in Papua Nuova Guinea
In Papua gli investimenti in progetti di protezione e tutela dell’infanzia ri-mangono estremamente limitati. I bambini spesso si ammalano, si feri-scono, si tagliano con i maceti e si procurano gravi ustioni con i fuochi che ardono vicino alle capanne, e tutto avviene in totale inosservanza dell’art. 24 della Convenzione che garantisce la salute dei minori.
Non ci sono a tutt’oggi dati precisi riguardo le violenze sui bambini anche se il contesto di svantaggio sociale, la povertà e le dipendenze indu-cono a pensare che il fenomeno sia diffuso e consolidato. Alcuni studi con-dotti su piccola scala testimoniano proprio l’esposizione dell’infanzia ad alti livelli di maltrattamento e violenza all’interno delle famiglie, nella comunità e persino nei luoghi istituzionali (DCDR, p. 8), e tutto ciò avviene senza che nessuno o quasi si preoccupi di far rispettare l’art. 9 della Convenzione che sancisce il diritto del bambino a essere protetto in caso di violenze in famiglia. L’assenza di leggi che tuteli l’incolumità dei bambini fa sì che il 50% circa di loro percepisca un senso di paura e insicurezza soprattutto durante la notte sia quando si trova tra le mura domestiche che nelle strade
3 L’ufficio che si occupa della gestione degli aiuti si chiama Office of International
Deve-lopment Assistance o ODA, e opera insieme al Department of Finance.
delle città. Circa l’80% è vittima di abusi verbali e l’85% degli uomini af-ferma di aver picchiato i propri figli, tanto che si stima che il 29% vengono maltrattati almeno una volta la settimana dai componenti maschili della famiglia (DCDR, pp. 7-10). Uno studio condotto nel 2011 dimostra che la percentuale dei bambini che hanno meno di 18 anni, sopravvive alle vio-lenze e si rivolge ai Family Support Centres per fare denuncia si attesta tra il 49% ed il 74% (Médecins Sans Frontières, 2011, p. 17). Anche le madri sono vittime di abusi: i bambini assistono costantemente alle violenze do-mestiche, crescono consapevoli degli abusi sessuali e familiari subiti diret-tamente o indiretdiret-tamente e ne sperimentano gli effetti negativi dal punto di vista psicologico e comportamentale. Ancora una volta si può rilevare che l’articolo 19 della Convenzione è sistematicamente disatteso e nessuno tutela i bambini da queste forme di violenza fisica e psicologica.
Lo State of the World’s Children Report pubblicato dall’UNICEF nel 2013 ha stimato che circa il 21% delle donne tra i 20 ed i 24 anni in PNG si sposa all’età di 18 anni, mentre il 2% addirittura prima dei 15. La cultura e le pratiche tradizionali permettono alle ragazze di sposarsi anche all’età di 12 anni, sebbene l’età legale prevista per il matrimonio è di 16 anni, o di 14 con il consenso dei genitori e della Corte (DCDR, pp. 9-10). Il ma-trimonio testimonia proprio la vulnerabilità delle bambine che, date in spose molto piccole, muoiono giovani, soffrono di problemi di salute, vi-vono nella povertà, rimangono senza alfabetizzazione o partoriscono prima di essere realmente pronte sia a livello fisico che psichico.
Un’altra problematica è quella degli street children o bambini di strada che si trovano, in modo particolare, nei centri urbani più grandi come Port Moresby, Mount Hagen e Lae. Molti bambini vivono in strada perché sono orfani, scappano dalle violenze domestiche e dagli abusi, o a causa della po-vertà, della disabilità, della mancanza di controllo da parte dei genitori, dei conflitti familiari, dell’assenza di una abitazione, dello spostamento dalle aree rurali a quelle urbane. Molti sono figli di detenuti, vivono assieme ai genitori in prigione o in centri di reclusione che risultano essere sovraffollati e privi delle condizioni minime di igiene.
Anche il lavoro minorile è diffuso in maniera capillare e i bambini sono impiegati in lavori domestici forzati, nelle miniere, nei traffici sessuali. L’ar-ticolo 32 della Convenzione che sancisce la protezione contro lo sfrutta-mento economico non è quasi mai rispettato e nessuno si occupa dei bambini che lavorano.
Non ci sono studi nazionali riguardo la situazione relativa ai bambini disabili, tuttavia, grazie ad alcuni studi locali, è possibile affermare che una percentuale tra il 7% ed il 10% della popolazione è affetta da forme di di-sabilità visive, uditive e legate al linguaggio. In Papua le persone con disa-bilità, inclusi i bambini, hanno accesso limitato all’istruzione, anche a causa della mancanza di una rete efficiente di trasporti, di infrastrutture scolasti-che adeguate e dell’assenza di competenze specifiscolasti-che per la redazione di particolari programmi da parte degli insegnanti. I bambini disabili spesso soffrono per la mancanza di cura e sono ad alto rischio di abusi fisici e psi-cologici, oltre ad avere una speranza di vita molto più bassa della media (DCDR, p. 10).
In Papua la scuola e gli insegnanti che vi operano, soprattutto se pa-puani, spesso reiterano la violenza sociale, inoltre la lingua in uso è l’inglese spesso poco comprensibile dai bambini abituati a parlare nelle lingue locali – ad esempio il tok pidgin, il motu, usato nel sud del Paese, il roro praticato a nord – e che non sanno scrivere, tanto meno in inglese. I metodi di inse-gnamento spesso sono violenti e gli insegnanti picchiano i bambini e anche i ragazzi più grandi, ottenendo in cambio un pari atteggiamento aggressivo. Tutto questo è in chiara contraddizione con l’art. 28 della Convenzione nel quale si legge che “Gli Stati parti adottano ogni adeguato provvedimento per vigilare affinché la disciplina scolastica sia applicata in maniera compa-tibile con la dignità del fanciullo in quanto essere umano”. Inoltre la mag-gior parte dei bambini e dei ragazzi non è scolarizzata, perché non risulta in nessun registro anagrafico, e la frequenza alle lezioni non è costante dato che i bambini vivono ogni giorno nell’insicurezza. In questa situazione si approfondiscono le divisioni sociali e le rivalità tra i clan perché nessun va-lore atto a pacificare la società viene veicolato nelle scuole.
La presenza di strutture adeguate per l’infanzia e di risorse umane com-petenti e specializzate che se ne possano occupare potrebbero essere la chiave del cambiamento, attualmente tuttavia non è presente un numero adeguato di operatori, e le risorse a livello nazionale, provinciale e distrettuale non risultano ancora all’altezza del compito e non garantiscono “la vigilanza sul funzionamento delle istituzioni, dei servizi e degli istituti che hanno re-sponsabilità dei fanciulli e che provvedono alla loro protezione” sancita dall’art. 3 della Convenzione. Per questo motivo risulta necessario intervenire per rinforzare il quadro legale e politico e le misure di sicurezza; provvedere a sviluppare gli standard amministrativi, i protocolli e le linee guida per
vorare sui bisogni di protezione e tutela dell’infanzia, stabilire strutture per il coordinamento, il monitoraggio e l’implementazione delle risorse umane. Nonostante gli sforzi fatti dal National Lukautim Pikinini Child Protec-tion Policy o NLPP che si propone come guida per promuovere, proteggere e prendersi cura di tutti i bambini papuani e provvedere all’implementa-zione dell’Universal Declaration of Human Rights, e della Convention on the Rights of the Child o CRC (DCDR, p. 15), non ci sono in Papua le condi-zioni sociali, economiche, politiche e culturali per far fronte all’emergenza educativa, pari solo a quella sanitaria, inoltre l’alto livello di corruzione po-litica non aiuta lo sviluppo sociale. In queste condizioni è il diritto stesso alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo, sancito dall’art. 6 e dall’art. 27 della Convenzione, a non trovare accoglimento.
3. Un tentativo in atto: il transfer di modelli educativi occidentali nelle