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Il contesto pedagogico

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 136-140)

Luca Odini

2. Il contesto pedagogico

Con l’età moderna si è sviluppato quello che Ariès (1990) chiama il “sen-timento dell’infanzia”, a significare come si sia man mano preso

volezza delle caratteristiche distintive proprie del bambino, rispetto al-l’adulto, che devono essere riconosciute e prese in debita considerazione. Allo stesso modo possiamo affermare però che questa consapevolezza non era assolutamente estranea al mondo pedagogico, se pensiamo alla rivolu-zione puerocentrica di Rousseau, alle idee di Pestalozzi, o alle sperimenta-zioni di Fröbel. Tuttavia, nonostante quest’attenzione teorica, continuiamo ancor oggi ad interrogarci se il Novecento sia stato il secolo del bambino o se piuttosto non si debba parlare di una storia a luci ed ombre, una sorta di chiaroscuro che evidenzia sicuramente delle fughe in avanti, ma anche delle arretratezze che tutt’ora sembrano permanere, con alterne intensità (Gec-chele; Polenghi; Dal Toso, 2017).

Sicuramente, una figura che ha studiato in maniera paradigmatica la condizione dell’infanzia è stata una donna coraggiosa che ha segnato la sto-ria della pedagogia: Masto-ria Montessori, che a metà del Novecento (1949, pp. 42-43) ammonisce: «Nei volumi colossali e innumerevoli della storia degli uomini, mai figura il bambino; e mai si tiene conto del bambino nella politica, nella costruzione sociale, nelle guerre, o nella ricostruzione. L’adulto parla come se esistesse solo l’adulto. Il bambino fa parte della vita privata, ed è un oggetto che suscita doveri e sacrifici da parte degli adulti e merita castighi quando disturba».

La Montessori, pochi anni prima di questo scritto citato, è anche forte-mente impegnata sul problema centrale e drammatico della pace. Negli anni Trenta del secolo scorso si impegna, infatti, in una serie di conferenze e di dibattiti che hanno come fine quello di smuovere le coscienze e di in-terrogarle su questo tema. Dalla conferenza del 1932 a Ginevra, al “Con-gresso europeo per la pace” del 1936 a Bruxelles, oltre alle conferenze di Copenaghen e Londra, la Montessori (1949), lega il problema della pace con quello della proposta di una nuova educazione dell’infanzia e dell’uma-nità.

In occasione della ricorrenza per la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo”, Maria Montessori invia all’UNESCO un messaggio intitolato: “Il bambino dimenticato”, pubblicato nel 1952 su “Vita dell’infanzia”. In questo saggio non manca di sottolineare quanto la società tutta sia da condannare in quanto nega a bambini “i più sacri diritti sociali”. Sostiene come non pos-sono e non devono bastare le normali (e dovute) cure igieniche e le atten-zioni per l’aspetto fisico, ma nel primo periodo di vita del bambino assumono una fondamentale importanza attività che sono anche di ordine

formativo ed educativo. Questo è finalizzato a sviluppare la sua intelligenza e le sue capacità, che, se non correttamente sviluppate, si atrofizzeranno.

Montessori evidenzia a più riprese come l’educazione debba essere ri-condotta ad essere uno dei grandi temi sociali del nostro tempo che riguar-dano tutta la collettività umana. L’educazione dei più piccoli, l’educazione alla pace, dovrebbero essere, ammonisce, tra i temi centrali che interessano tutta l’umanità. Il bambino come essere sociale è un’attenzione quasi del tutto ignorata. Nelle questioni sociali il bambino è completamente dimen-ticato. In questo senso, dunque, l’educazione non può essere considerata una questione di mero insegnamento ma prima di tutto una questione so-ciale, che ha una caratteristica fondamentale in più rispetto alle altre: è una questione universale, perché unisce tutto il mondo e interessa tutti gli uo-mini.

Appare evidente quindi come la denuncia della Montessori sia rivolta in particolare contro il rischio di ridurre la questione del bambino alla sola dimensione della cura e della custodia del suo aspetto fisico, alla questione che una volta veniva chiamata di igiene; ma dimenticarsi del bambino come di un essere umano con i più sacri diritti sociali ci rende assolutamente col-pevoli verso il futuro dell’umanità. Certamente si tratta di un’affermazione forte e importante, e la Montessori pare rendersene conto; per questo ag-giunge che certamente amiamo il bambino ma non lo comprendiamo, per-ché non comprendiamo il posto che dovrebbe avere nella società.

Montessori quindi critica la concezione del bambino come un “vaso vuoto” che deve essere riempito dalle sagge parole e dai contenuti del-l’adulto, in questo senso gli educatori dovrebbero mettersi al servizio della creazione, ovvero dei bambini, per fare in modo che si sviluppino e crescano in modo autonomo. Appare evidente come Montessori disapprovi comple-tamente i “pedagogisti moderni” che inneggiano ad uno spontaneismo che lascia liberi i bambini di fare tutto quello che vogliono. Specifica infatti a più riprese come nella sua visione, l’educazione non è istruzione, come la si considera nelle scuole, ma è tutela di un’obbedienza alla vita e cioè di poter sviluppare ed esercitare le attività psichiche e sociali del bambino, per questo l’educazione è un problema fondamentalmente sociale.

Baldacci (2015, p. 97) sostiene, con argomentazioni condivisibili, come il cuore dell’eredità della Montessori sia proprio quello di «proporre un nuovo sentimento dell’infanzia, da cui dipende in buona misura la diffusione della sua proposta su scala planetaria. Inoltre, ipotizziamo che la pedagogista

marchigiana sia stata pienamente consapevole di ciò, e abbia ricercato in-tenzionalmente di influenzare il sentimento dell’infanzia degli adulti, a par-tire dalle insegnanti, per giungere ai genitori e ai politici».

Dalla Montessori possiamo chiosare rapidamente ad un altro protago-nista che lentamente ci condurrà alle considerazioni di carattere legislativo e politico che vogliamo effettuare, Bruno Ciari. La stagione bolognese del maestro Ciari viene dopo la militanza nel Movimento di Cooperazione Educativa, che lo aveva convinto della necessità di democratizzazione del tessuto sociale italiano grazie anche all’incontro con la pedagogia di Freinet. Ma il maestro di Certaldo svilupperà idee pedagogiche decisamente inno-vative che tradurrà in orientamenti politici nell’esperienza di Bologna, de-clinando l’educazione popolare alla luce delle spinte del pensiero di Dewey e Gramsci cogliendo in particolare: «il nesso tra la formazione scolastica e l’emancipazione dei ceti subalterni; la necessità che la scuola tenga conto delle diseguaglianze sociali e dei condizionamenti ambientali, operando per ridurre al massimo i divari culturali tra gli alunni; la conseguente esigenza di una didattica che, pur mantenendo un profilo attivo, si caratterizzi in senso antispontaneista, in quanto ciò che appare come spontaneità è in re-altà il frutto dei condizionamenti ambientali; l’importanza della dimensione intellettuale della formazione, vero motore dell’emancipazione, sebbene al-l’interno di un’educazione plurilaterale, attenta a tutte le direzioni della per-sonalità» (Baldacci 2015, pp. 22-23).

Per questo, iniziando la sua esperienza bolognese, nel 1965, non solo si adopera cercando di attualizzare questi orientamenti pedagogici all’interno dei contesti scolastici ma vede, in questo caso nella scuola dell’infanzia, un servizio educativo a tutti gli effetti che ha il compito di mobilitare e coin-volgere il tessuto sociale. Questo coinvolgimento si è concretizzato grazie all’istituzione del “Febbraio pedagogico” e dei “Comitati genitori-inse-gnanti”. Il primo era una vera e propria convention che coinvolgeva non solo gli addetti ai lavori e le famiglie ma tutte le forze sociali coinvolte, men-tre i comitati agivano come vero e proprio organo di gestione delle scuole dell’infanzia in cui genitori e insegnanti potevano condividere problemi concreti ed immaginare possibili sviluppi e implementazioni di questi ser-vizi, a seconda delle esigenze che man mano sarebbero emerse nella società. Ciari (1973, p. 247) aveva ben presente i meriti della Montessori che individua nell’aver costruito le basi scientifiche per lo sviluppo delle origi-nali capacità infantili, ma ne intravede al tempo stesso anche i limiti,

prattutto quando il metodo rischia di diventare una struttura monolitica, bastante a sé stesso e dato una volta per sempre. Ciari, definendo il suo “nuovo indirizzo” al servizio educativo delle scuole per l’infanzia intendeva proprio individuare nell’istituzione la possibilità di ridurre i possibili divari cognitivi tra i vari alunni dovuti ai condizionamenti familiari; da ciò la felice sintesi delle intuizioni del maestro di Certaldo espressa da Baldacci (2015, p. 28): «La dimensione intellettuale non va perciò abbandonata a uno sviluppo casuale e meramente spontaneo, ma va stimolata intenzio-nalmente secondo linee direzionali elaborate sulla scorta della conoscenza scientifica della crescita mentale. In altre parole, non si tratta di precorrere lo sviluppo cognitivo o di forzarlo, bensì di garantirlo a tutti i bambini in termini adeguati, indipendentemente dagli ambienti familiari d’origine».

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 136-140)

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