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L’attenzione verso le scuole ebraiche

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 113-117)

Silvia Guetta

4. L’attenzione verso le scuole ebraiche

I gruppi minoritari hanno, in genere, la tendenza ad organizzarsi per far fronte ai bisogni della propria comunità e tutelare le proprie tradizioni e poter trasmettere i valori che li caratterizzano. Vengono così a crearsi delle strutture, in particolare i luoghi di formazione e di incontro culturale, che meglio possano rispondere ai bisogni degli appartenenti sia nella come in-dividualità che come gruppo. L’educazione è sicuramente uno dei principali strumenti attraverso il quale il popolo ebraico ha conservato e sviluppato la propria identità. La formazione in famiglia e l’organizzazione delle scuole all’interno delle comunità sono sempre stati sia un diritto che un dovere di ogni comunità della diaspora. Fino al periodo emancipatorio, gran parte delle scuole ebraiche in Italia erano scuole di pensiero e azione prettamente ebraici, solo a partire dalla fine del XVIII secolo, con l’introduzione di ma-teria e discipline insegnate nelle scuole pubbliche, le istituzioni comincia-rono a cambiare fisionomia (Guetta,1997)). Il corpus di discipline ebraiche insegnate riguardava la lingua, la storia, la conoscenza dei testi e dei loro commenti (Bibbia, Mishnà e Talmud), la normativa e la liturgia. Gli inse-gnamenti della tradizione non si limitavano ad una forma di catechismo, per quanto, proprio nella fase emancipatoria, a causa della difficoltà di in-tegrare i programmi delle materie ebraiche con quelli civili nella necessità di adeguarsi alle proposte didattiche esterne, diversi rabbini si adoperarono per produrre i catechismi israelitici (Luzzatto Voghera, 2008; Guetta, 2000). Con i dati a nostra disposizione è possibile affermare che nel 1913 esi-stevano in Italia 19 scuole ebraiche elementari e 11 scuole dove si studia-vano solo le materie ebraiche, in modo differente in base alle possibilità economiche e alle organizzazione delle comunità e delle famiglie (Artom, 1913). Gran parte delle realtà scolastiche perdurano negli altri Trenta men-tre almen-tre assumono fisionomie diverse (Piussi, 1997). Per quanto non ci è dato modo di avere un prospetto esatto delle realtà educative scolastiche degli anni Trenta, è invece possibile constatare quanto i membri dell’UCII e i rabbini italiani avvertissero il bisogno e l’impegno di riformulare, anche alla luce del continuo scontro con le politiche della scuola fascista, i pro-grammi e le attività scolastiche. A fronte di ciò nel 1933 l’UCII avviò un’in-dagine per comprendere la realtà scolastica presente e quale fosse il rapporto tra bambini iscritti alla comunità e quelli che frequentavano le scuole in-terne. L’appello dell’allora Presidente dell’UCII, Felice Ravenna, evidenzia

chiaramente l’apprensione per la questione. “Molti fanciulli che frequen-tano la scuola elementare non avranno forse più modo di sentire i benefici effetti dell’educazione ebraica quando prenderanno le vie del lavoro. La fa-miglia ebraica non è più quella di un tempo; il compito grave di allevare ebrei coscienti della loro storia e della loro idea ricade quindi in grandissima parte, se non completamente, sulle comunità e sulle loro scuole elementari” (Minerbi, 1998). C’era quindi bisogno di un rinnovamento e di un cam-biamento, ma anche di dare alle comunità strumenti didattici più moderni capaci di sostituire, laddove era possibile, i testi ed i materiali imposti dal regime. Allo stesso tempo risultava necessario promuovere un rinnovo dei programmi e una formazione dei docenti più capace di far fronte ai continui pericoli posti dall’assimilazione.

Su richiesta dell’UCII, il rabbino Artom redasse nel 1936 una nuova proposta didattica “Istruzioni e programmi per le scuole elementari ebrai-che”. I programmi facevano appello a curare l’ambiente scolastico perché richiamasse, anche in conformità a quanto presente nella scuola pubblica, agli elementi e alle usanze della tradizione. Al posto della cartina dell’im-pero, ad esempio, veniva dato suggerimento di appendere la cartina della Palestina ed ai testi in uso veniva consigliato di aggiungere quelli scritti dalle due insegnanti della scuola ebraica di Firenze, Primavera ebraica di Giulia Artom Cassuto e Piccolo mondo ebraico di Adriana Genazzani (Guetta, 1993). L’impulso dato dalla stesura dei nuovi programmi portò anche alla produzione di nuovi e più aggiornati testi da utilizzare per l’insegnamento delle discipline ebraiche4.

L’auspicato avvicinamento alla conoscenza della cultura e della tradizione ebraica fu poi travolto dalla ignobile onda propagata con forza dall’entrata in vigore delle leggi antiebraiche del 1938 che spazzarono via, nel giro di pochi giorni, ogni forma di rispetto dei diritti che con fatica e ricerca di dialogo la minoranza ebraica aveva curato fin dai primi anni dell’emanci-pazione. Le leggi razziali sono state quindi, come si cercato di considerare, l’ultimo tassello di un incalzare politico inteso a risvegliare sentimenti na-zionalistici e patriottici, discriminazione fra i cittadini, non accettazione delle diversità. Dopo l’accrescere della propaganda razziale nella primavera

4 Archivio Comunità Ebraica Firenze, Lettera del Presidente della Comunità di Fi-renze a quella di Genova per l’acquisto dei libri “Grammatica Ebraica” e “Libro di Storia Sacra”, per la scuola.

ed estate del 1938 e la pubblicazione del Manifesto della Razza, nel luglio di quell’anno, il 5 settembre vennero firmati dal Re d’Italia Vittorio Ema-nuele III i primi provvedimenti che recidevano lo status di cittadino agli ebrei italiani e stranieri che vivevano nella penisola e nelle terre conqui-state.

Dall’autunno del 1938 inizia un’altra storia traumatica, sofferente, do-lorosa e di lutto.

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Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 113-117)

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