Janusz Korczak e Maria Montessori Evelina Scaglia
3. La mano che gioca ed esplora come metafora dell’autoeducazione umana
Risulta imprescindibile, sulla scorta di tali argomentazioni, ribadire come la scelta di concentrarsi sull’osservazione del neonato che gioca con le pro-prie mani non sia stata in questi tre autori né casuale, né ispirata ad una vi-sione “edulcorata” e “romantica” della prima infanzia, bensì abbia preso vita dall’intento di riconoscere la mano − sul piano della teoria e della pratica dell’educazione − quale strumento principale di estrinsecazione del lógos, che rende la natura umana di per sé incomparabile a quella di qualsiasi altro animale superiore, anche il più evoluto (Bertagna, 2010, pp. 95-118).
Risulta interessante riprendere quanto suggerito da Maria Montessori nell’opera Antropologia pedagogica (1910), a proposito dell’esistenza di un legame inscindibile fra i processi di autoeducazione e quelli di civilizzazione umana, grazie alla mediazione operata dal lavoro − inteso come opus − svolto dalla mano.
Possiamo giudicare dalla mano se l’uomo è atto o no al lavoro ed è al lavoro che la mano deve la sua importanza umana; le prime tracce di umanità sulla terra non sono avanzi scheletrici, ma avanzi di lavoro, la pietra scheggiata. Tutta la storia dell’evoluzione sociale si potrebbe chia-mare storia della mano (Montessori, 1910, pp. 276-277).
Il bambino che esplora e gioca con le proprie mani rappresenta, per-tanto, un’immagine icastica del suo processo personale di autoformazione, alle prese con lo sviluppo della sua natura di homo artifex, se si volesse ri-chiamare un concetto al cuore dell’antropologia filosofica umanistica (Cha-stel, 2008, p. 239). La medesima immagine fa esplodere la limitatezza del costrutto di infans, che ha equiparato fin dall’antichità romana i piccini ai pappagalli (Néraudau, 1994, pp. 30-33), ritenuti capaci soltanto di imitare “meccanicamente” quanto hanno avuto modo di vedere e sentire dagli altri, ma non di manifestare attraverso azioni, parole e pensieri sempre più com-plessi la loro autentica natura umana (Scaglia, 2020a, p. 61).
La riflessione pedagogica sull’uso multiforme e imprevedibile della mano, che nulla ha a che vedere con il movimento uniforme e prevedibile
del piede, costituisce un costrutto capace di tenere insieme negli episodi evocati da Necker de Saussure, Korczak e Montessori le categorie di autoe-ducazione, esperienza e lavoro (Necker de Saussure, 1940, pp. 88-142; Kor-czak, 2018, pp. 47-137; Montessori, 2007, pp. 149-170). Questa scelta consente di identificare, nelle loro «pedagogie» della prima infanzia, le prin-cipali dimensioni teleologiche, antropologiche e metodologiche implicate dal ruolo attivo giocato dal bambino, fin dalla nascita, nei suoi processi educativi, in nome di un principio di ordinamento interiore fondato sulla sua capacità di autoregolazione (Scaglia, 2020b, pp. 169-208). In ogni pic-cina e in ogni piccino, la conquista progressiva dell’uso della mano rappre-senta, in questo modo, la manifestazione più immediata degli sforzi legati a un lavorio interiore, descrivibile nei termini di un auto-modellamento della propria «cera molle» in vista di uno sviluppo psicologico e morale ar-monico, in diametrale contrapposizione a quanto illustrato dalla metafora classica dell’infante come «cera molle» da plasmare attraverso l’intervento esterno dell’adulto (Pseudo-Plutarco, 1994, p. 55). Una metafora, va ricor-dato, via via reinterpretata – soprattutto in età moderna – nei termini di un vero e proprio disciplinamento fisico e psicologico (Antoniano, 2010, pp. 970-976; Locke, 1937, pp. 29-54; Cunningham, 1997, pp. 55-99).
Ne consegue l’importanza di ribadire che la rilettura pedagogica, operata dai tre autori qui analizzati, del processo di autoformazione umana nella relazione educativa in età neonatale ha comportato una revisione del ruolo dell’adulto, non più considerato come un “plasmatore”, bensì come un “os-servatore” dell’opera formativa compiuta su di sé dai più piccoli, in ragione di un puerocentrismo non solo dichiarato, ma anche agito. La figura pe-stalozziana della «madre pensosa» ed amorevole osservatrice − incarnata in prima persona dalla stessa Necker de Saussure − l’«adulto umile», di cui scrive Maria Montessori, e l’adulto animato da un atteggiamento di amore, descritto da Korczak, rendono bene l’idea dell’importanza di tributare un rispetto “religioso” nei confronti dei processi interiori dei più piccoli. Perché ogni neonato, fin dalla prima scoperta del proprio corpo in culla, inizia a dare compimento alla sua natura non come un «oggetto lavorato in serie», ma come un «oggetto lavorato a mano» (Montessori, 2000, p. 27).
Si auspica che queste brevi riflessioni possano fungere da volano di una ricerca storico-pedagogica più ampia, da affiancare agli studi già esistenti di taglio storico-educativo, per far emergere il contributo peculiare offerto da svariati autori nel formulare una rinnovata teoria e pratica
zione, attenta al diritto di ogni bambina e di ogni bambino a vedere rispet-tate le sue esigenze peculiari, alla costruzione di una relazione educativa au-tentica con l’adulto, al riconoscimento che anche la più semplice esperienza rappresenta un’occasione formativa unica, in risposta alla sua natura di «scienziato» nel laboratorio della vita (Korczak, 2018, p. 50) ed «embrione spirituale» pronto a far sbocciare le sue potenzialità (Montessori, 2000, pp. 25-34; Montessori 2007, pp. 61-84). In questo modo, si inizierebbe a riem-pire quella «pagina bianca» ancora vigente sulla prima infanzia, di cui ha scritto tempo fa Maria Montessori (Montessori, 2000, p. 12), per poter realizzare fin dal primo vagito il compito che si è prefissato il gouverneur Rousseau con il piccolo Émile: «vivere è l’arte che voglio insegnargli» (Rous-seau, 2016, p. 80).
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