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L’abbandono scolastico tra dati e normativa

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 129-133)

Giordana Merlo

2. L’abbandono scolastico tra dati e normativa

Dai primi anni Ottanta il fenomeno della dispersione scolastica emerge in tutta la sua complessità, ed è, anche oggi, indicatore di criticità del sistema di istruzione italiano nonché indice dello “spreco di risorse individuali-fa-miliari e collettive-pubbliche” (Morgagni, 1998, p. 14). La stessa defini-zione di “dispersione scolastica”, che ancora nel 1972 l’Unesco indicava come l’insieme di tutti quei fenomeni che determinano un rallentamento fino all’interruzione del normale percorso di studio (Faure, 1972, p. 210), si contraddistingue per l’intrinseca complessità dovuta sia al fatto che in essa confluisce un ampio ventaglio di casi, inerenti a disagio e carenze, tra loro interdipendenti, sia ad una difficoltà di lettura determinata da dati non facilmente comparabili per disomogeneità dei contesti scolastici. Va inoltre sottolineato che il fenomeno dell’abbandono continua a conservare una significativa rilevanza nel passaggio tra il primo e il secondo anno della

scuola secondaria superiore e riguarda soprattutto i giovani che hanno scelto un indirizzo negli istituti professionali (Zurla, p. 64).

Cercando di ricostruire l’evoluzione delle attenzioni del sistema centrale nei confronti di tale criticità, va ricordato che il Ministero della P.I. com-missiona al Censis la ricerca del 1984 su Aree prioritarie nell’istruzione: linee di analisi e di intervento, alla quale segue nell’a. s. 1988/89, un Piano na-zionale di interventi costituito da 34 progetti pilota nelle aree a rischio. L’anno successivo, 1990, viene pubblicata la ricerca commissionata dal Mi-nistero della P.I. al Censis su Analisi della dispersione scolastica in Italia in aree di rischio e disagio educativo come primo monitoraggio del Piano atti-vato nelle province più a rischio. L’analisi conferma una forte correlazione tra i dati di riuscita scolastica e gli indicatori tradizionali di classe sociale, reddito, professione, titolo di studio, disagio scolastico e rischio educativo, ma evidenzia anche nuovi orizzonti del fenomeno della dispersione scola-stica che riguardano soprattutto l’incidenza della deprivazione culturale. Emerge il legame tra dispersione e altri molteplici fattori di complessità quali la condizione socio-culturale della famiglia, l’attività di insegnamento e le strutture scolastiche, le dinamiche psicologiche degli studenti, lo scol-lamento del mondo della scuola rispetto alla realtà extrascolastica nei suoi vari aspetti sociali.

Il 14 dicembre 1989, una risoluzione del Consiglio dei ministri del-l’Unione Europea afferma, in linea di continuità con l’art. 28 della Con-venzione, che “l’insuccesso scolastico costituisce un fenomeno grave sul piano individuale e collettivo che è causa di insuccesso individuale sul piano psicologico e sociale e comporta per gli Stati e per la Comunità un costo scolastico rilevante”, impegnando gli Stati membri ad adoperarsi a combat-tere, “nell’ambito delle rispettive politiche educative e delle rispettive strut-ture costituzionali […] in modo intensivo l’insuccesso scolastico” (G. U. n. C027, 06.02.1990, pp. 1-2). In quella sede, si sottolineano sia i nessi tra li-vello socio-culturale e riuscita scolastica, sia il carattere pluridimensionale dell’azione che necessariamente doveva avviarsi al fine di ridurre l’insuccesso scolastico. L’innovazione doveva passare attraverso l’interconnessione di in-terventi strutturali e la promozione di cambiamenti culturali da parte di tutti gli operatori della formazione e dell’educazione. In particolare, si sol-lecitavano azioni atte a migliorare la qualità dell’attività didattica della scuola dando spazio a motivazione, relazione, orientamento, stili di apprendimento, flessibilità e personalizzazione dei curricoli, mentre sul piano organizzativo

e gestionale si delineava la tendenza al decentramento e all’autonomia delle unità scolastiche. Si riconosceva quindi l’urgenza di attuare interventi in or-dine alla ricerca quanti e qualitativa del fenomeno, all’innovazione organiz-zativa e didattica delle diverse agenzie educative e si anticipavano principi di operatività sui quali si sarebbero concentrati successivi pronunciamenti come, ad esempio, il Rapporto Delors del 1993 (Zurla, pp. 34-35).

Nel decennio 1980-90, nel contesto nazionale, si assiste ad un’evoluzione del ruolo della sperimentazione la quale perso, o quanto meno limitato, l’iniziale carattere di indice di vitalità, assiste alla sua progressiva trasforma-zione in un privilegiato canale anticipatore di “riforme di fatto”, richiedendo urgentemente una definizione di un quadro di regole generali (Dei, 1993). Si ricordi a questo proposito gli interventi politici che dal Piano per il bien-nio e per l’estensione dell’obbligo presentato nel 1986 dalla ministra Fal-cucci portarono ai lavori della Commissione Brocca e alla Conferenza nazionale della scuola convocata dal ministro Mattarella (30 gennaio-3 feb-braio 1990) che di fatto teorizza la via amministrativa della riforma (Galfré, 2017, p. 310). L’esito imprevisto o forse non ben calcolato fu l’esplosione incontrollata di sperimentazioni non adeguatamente sostenute o controllate da valutazione rigorosa. Tuttavia, va riconosciuto che quelle sperimentazioni aprirono lo sguardo alla possibilità pratica dell’autonomia che la stessa Con-ferenza nazionale aveva posto, accanto alla valutazione, a fondamento del nuovo possibile sistema e che porterà alla legge Bassanini-Berlinguer del 1996 e successivo DPR 275 del 1999.

Nel frattempo le Linee guida per la prevenzione e il recupero della disper-sione scolastica (C. M. 257 del 9/8/1994) nell’estendere su tutto il territorio nazionale i progetti pilota del Piano nazionale dell’88, auspica l’integrazione delle agenzie operanti nel settore – scuole, ASL, comuni, distretti scolastici e associazioni – e la legge 496/1994 istituisce gli osservatori provinciali e nazionale già previsti nella citata circolare ministeriale con compiti di mo-nitoraggio, di formulazione di programmi di intervento, di progetti inno-vativi finalizzati al successo formativo.

Muovendo dall’esigenza di rifare il punto della situazione su abbandoni ed insuccessi al fine di valutare l’impatto delle riforme rispetto al più ampio fenomeno della dispersione scolastica, la VII Commissione della Camera dei Deputati costituisce, nel 1998, un comitato d’indagine. L’Indagine co-noscitiva sul problema della dispersione scolastica, presentata ufficialmente il 2 maggio 2000, ricapitola e riorganizza i rilievi raccolti dalla Commissione,

intrecciando dati, informazioni e valutazioni, raccolti nelle differenti sedi, ma anche tenendo presente un più ampio orizzonte di informazioni stati-stiche pertinenti con l’argomento affrontato, e produce alcune proposte di intervento. La dispersione scolastica viene considerata in tutta la sua com-plessità e, a distanza di dieci anni, ciò che emerge chiaramente, rispetto alle cause esterne alla scuola, è la conferma, come variabile di fondo, dello svi-luppo socioeconomico delle aree interessate, che però ora non riguarda solo il Sud poiché anche aree sviluppate presentano sacche di povertà e emargi-nazione. Le possibilità economiche, l’esistenza e la qualità di infrastrutture, di servizi, di offerte formative, culturali e ricreative appaiono fortemente correlati alla dispersione scolastica. Tuttavia, emerge anche la maggiore im-portanza del titolo di studio dei genitori rispetto al reddito, soprattutto in riferimento alla nuova fenomenologia della dispersione scolastica relativa alle scuole superiori nel Nord, dove si evidenzia quella che la Commissione definisce una “incongruenza di status collettiva”, riconducibile “alla distanza tra il livello del reddito e il livello della cultura della popolazione adulta. Una cultura familiare che, non considerando risorsa importante un alto li-vello culturale, incoraggia l’abbandono”.

Dal punto di vista interno alla scuola l’indagine sottolineava la necessità di riconsiderare “il rapporto scuola - famiglia, la complessiva organizzazione e articolazione degli studi superiori; la mancanza di una seria formazione professionale; la stabilità e continuità dei docenti; i percorsi didattici troppo rigidi rispetto agli interessi”.

L’analisi del fenomeno della dispersione scolastica diventa il punto di partenza per nuove riforme il cui quadro complessivo, in linea di continuità con la Convenzione del 1989, “pone la promozione del successo formativo come obiettivo prioritario non solo della scuola, ma dell’intero sistema so-ciale, assumendo una prospettiva più ampia rispetto al successo scolastico, secondo la quale la formazione è intesa come risorsa permanente per la cre-scita di ogni individuo, con l’obiettivo esplicito di prevenire l’esclusione e favorire l’inserimento sociale e lavorativo”. Così si apre l’Indagine campio-naria sulla dispersione scolastica nelle scuole statali elementari, medie e secon-darie superiori pubblicata a cura del MIUR nel 2002 che considera la dispersione scolastica “indicatore della qualità del sistema formativo […] e assume contestualmente il valore di ripensamento del ruolo e delle funzioni della scuola, della famiglia, e delle altre istituzioni interessate e impone la ricerca di risposte e interventi sempre più adeguati”. L’esame dei dati degli

alunni non valutati in sede di scrutinio finale o ritirati in corso d’anno senza fornire alcuna motivazione, si traduce per ciò che riguarda la scuola supe-riore a indice di abbandono senza peraltro essere in grado di radiografare nella sua complessità ed interezza il fenomeno della dispersione. Nella scuola superiore statale gli studenti non valutati al termine dei primi quattro anni sono il 4,62% nel 2001/02 di contro al 4,54% del precedente 2000/01. L’interna ripartizione evidenzia un maggiore abbandono nei per-corsi professionali, seguiti da istituti d’arte e licei artistici.

Con il fine di favorire la realizzazione del diritto-dovere all’istruzione e la vigilanza sull’assolvimento dell’obbligo scolastico e formativo, il decreto legislativo 15 aprile 2005, n.76, avvia la costituzione di un’anagrafe nazio-nale per il trattamento dei dati sui percorsi scolastici, formativi e in appren-distato di ogni studente, a partire dal primo anno della scuola primaria. Sulla base delle informazioni desumibili da tale anagrafe, e guardando ai dati prossimi al presente, tra inizio 2016/17 e inizio 2017/18, esce com-plessivamente dalla scuola secondaria di II grado il 3,81%, degli studenti e tra le motivazioni indicate campeggia l’abbandono con 89,1%, di contro al 4,5% di apprendistato o formazione professionale o al 6,4% di una ge-nerica altra motivazione.

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 129-133)

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