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L’università italiana fra bonifica fascista e la Carta della Scuola

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 147-152)

Valentina Pastorelli Dottore di ricerca - Università del Salento

1. L’università italiana fra bonifica fascista e la Carta della Scuola

Le caratteristiche di autonomia universitaria nella riforma Gentile (e in parte applicate, almeno fino alla fine degli anni venti) vengono stemperate gradualmente a partire dal 1931, in coincidenza con una fase in cui si svi-luppa nel Parlamento un’attenzione particolare sui temi universitari e sco-lastici. Il culmine di tale attenzione è costituito dall’intervento dell’on. Zingali, svolto il 15 marzo 1935 alla Camera dei Deputati, durante il quale il deputato fascista ironizza sulle possibilità offerte dalla legge Gentile di attuare insegnamenti a semplice discrezionalità delle facoltà e di modificare i piani di studio e degli studenti a semplice richiesta degli interessati (Miozzi, 1993, p. 91).

È un intervento importante, giacché si assiste in questo periodo ad una modificazione della riforma Gentile che, seppure non sostanziale, appare significativa del nuovo clima.

Espressione di questo momento di passaggio è il R.D. 20 giugno 1935, n. 1071, emanato da C.M. De Vecchi nella sua qualità di Ministro della Educazione Nazionale, contenente modifiche ed aggiornamenti al testo unico delle leggi sull’istruzione superiore che avevano già introdotto sensi-bili variazioni (Ibidem).

Nel decreto viene sancita una netta distinzione tra le materie fondamen-tali e le materie complementari (art. 2), viene stabilito l’obbligo di iscri-zione, frequenza ed esame per un determinato gruppo di insegnamenti, con la specifica azione che gli insegnamenti fondamentali fossero da con-siderarsi obbligatori per il conseguimento della laurea e del diploma, mentre gli insegnamenti complementari potessero essere scelti dagli studenti tra quelli attivati, fino alla copertura del numero degli insegnamenti richiesti per il conseguimento della laurea e del diploma.

Il R.D.L. 20 giugno 1935 rappresenta, in definitiva, il dispositivo attra-verso il quale viene cancellata ogni forma di libertà ed autonomia (quanto meno quella realizzata dalla legge Gentile), attribuendo un carattere di uni-formità agli ordinamenti universitari, quale quello della legislazione napo-letana e quindi sostanzialmente estraneo alla tradizione universitaria italiana. È la cosiddetta “bonifica fascista della scuola” che esprime il rigetto delle esigenze liberali presenti nella riforma Gentile. Lo Stato riprende ogni iniziativa ed ai docenti universitari non resta che la libertà didattica.

Andato via dal Ministero De Vecchi, Bottai (Guerri, 1976) cercherà di rinnovare ulteriormente la scuola secondo lo spirito dei tempi.

Il carattere di uniformità voluto da De Vecchi, verrà corretto in qualche modo da G. Bottai (Miozzi, 1993, p. 94), dopo che questi avrà assunto la carica di ministro della Educazione Nazionale nel 1936, quando già un orientamento profondamente illiberale era entrato nel tessuto della vita uni-versitaria italiana.

Detto orientamento sarà evidenziato da un contributo offerto dallo stesso ministro nella sua rivista «Primato» (Recuperati, 1944, p. 344), trat-tando i rapporti tra università e cultura, a conclusione di un’inchiesta pro-mossa da quella stessa rivista.

G. Bottai si era distinto come scrittore di tematiche pedagogiche ed era stato inoltre giornalista, poeta, docente universitario di diritto corporativo, nonché direttore di «Diritto del lavoro» e «Critica fascista» (Miozzi, 1993, p. 95). Nominato titolare del dicastero della Educazione Nazionale il 22 novembre 1936 in sostituzione di De Vecchi, egli potrà esprimere piena-mente le sue qualità di organizzatore di cultura, già manifestate in più am-biti all’interno del partito fascista.

Ma, soprattutto, egli è il riorganizzatore del quadro pedagogico voluto dal fascismo, nato dall’impianto idealistico gentiliano e successivamente stravolto dalla strategia dei “ritocchi” alla riforma Gentile, interpretata pro-gressivamente dai ministri subentrati al filosofo di Castelvetrano: Alessandro Casati (da 1 luglio 1924 al 4 gennaio 1925); Pietro Fedele (dal 5 gennaio all’8 luglio 1928); Giuseppe Belluzzo (dal 9 luglio 1928 all’11 settembre 1929).

Bottai ricucirà in senso unitario la trama della politica fascista sulla scuola e l’università, varando una nuova riforma come risultato della larga mobilitazione di forze coinvolte, fino ad inglobare altre componenti del re-gime, seguendo una linea nella quale non viene trascurato il progetto di una nuova strutturazione dell’università e, soprattutto, fronteggiando al-cuni dei maggiori problemi indotti nel regime dell’istruzione superiore, am-malata di gigantismo progressivo e sulla quale occorreva intervenire con provvedimenti selettivi e decisamente centrati sulla qualità. Lo stesso Ugo Spirito aveva denunciato l’anacronismo di una scuola concepita elitaria-mente e divenuta ormai di rnassa (Spirito, 1956, pp. 121-131).

La rivista «Critica fascista», a suo tempo sostenitrice della riforma Gen-tile, dal 1930 aveva ripetutamente mosso osservazioni sui metodi di

stizzazione della scuola e dell’università, al punto che «l’intero concetto che Bottai aveva del fascismo si basava sulla costruzione di una testa di ponte culturale all’interno delle università e delle scuole inferiori» (Miozzi, 1993, p. 97) e aveva incaricato Ernesto Codignola di svolgere, nel 1933, un’inda-gine sul primo decennio della riforma gentiliana (alla quale Codignola stesso a suo tempo aveva collaborato in prima linea), esaminando il pro-blema dell’esame di Stato e rilevando gli effetti dei ripetuti interventi sul-l’impianto dato nel 1923, sia nell’ambiente scolastico-universitario, sia in quello politico.

Bottai, inoltre, penserà di concedere agli studenti una più ampia libertà di studi: «non dunque libertà degli studenti e neppure dei professori ma li-bertà di piani di studio, di ricerca scientifica, di contributo al buon nome della nostra università» (Bottai, 1935, pp. 205-216).

L’esame di Stato avrebbe potuto essere abolito, secondo Bottai, previo un maggior controllo sull’attività educativa e la concessione alle università e alle singole facoltà, sulla possibilità di selezionare le aspirazioni di quanti intendevano dedicarsi alla specializzazione in certi ambiti disciplinari. Gen-tile approverà i tentativi di Bottai di riprendere certi contenuti della sua legge (in special modo i progetti di definizione dell’università come luoghi primari della ricerca e della cultura), ma in realtà non sembrerà compren-dere appieno che il disegno di Bottai volgeva soprattutto ad eliminare gli stravolgimenti di quell’impianto, canalizzando la sua progettazione attra-verso una nuova scuola pedagogica tutta basata sui criteri dell’esperienza concreta e di un attivismo sempre meno gentiliano.

Il passaggio dell’attualismo all’attivismo si stava affermando infatti in Italia in coincidenza con l’applicazione di una strategia volta ad ammini-strare la base di massa del Paese.

La nuova scuola avrebbe dovuto selezionare in base alle attitudini indi-viduali, non più in base al grado sociale. La proiezione verso una scuola media unica era perciò evidente. Seppur mantenendo l’impianto centrato sui ginnasi-licei, voluto da Gentile, era evidente la spinta al rafforzamento degli studi tecno-professionali e scientifici .

Da Bottai viene anche progettata una nuova strutturazione dell’univer-sità, allargata ad un più ampio raggio di facoltà: giurisprudenza, economia e commercio, scienze politiche, lettere e filosofia, pedagogia, chirurgia e medicina, medicina veterinaria, scienze matematiche, naturali e fisiche, scienze statistiche, demografiche, farmacia, ingegneria, mineralogia, chimica

industriale, architettura ed agraria, affiancate da una serie di scuole specia-lizzate con corsi di laurea della durata da quattro a sei anni.

Gli studenti provenienti dal liceo classico avrebbero potuto iscriversi senza esame di ammissione alle facoltà di lettere e filosofia, giurisprudenza, scienze politiche e a tutte le altre facoltà previo esame di ammissione, esclusa pedagogia.

Gli studenti provenienti dal liceo scientifico potevano accedere alle fa-coltà di economia e commercio, giurisprudenza e scienze politiche mediante esame di ammissione, e a tutte le altre senza esame, ma restavano esclusi da lettere e filosofia. I diplomati degli istituti magistrali potevano essere am-messi all’università senza esame solo nella facoltà di magistero, limitata-mente al corso di laurea in pedagogia ed a quella in lingue e letterature straniere (Bellucci, Ciliberto, 1978, pp. 395-409).

Si tratta di un impianto complessivo abbastanza conservatore, che però riscuoterà pareri favorevoli in ambito cattolico (fino ad allora assai critico rispetto agli interventi operati da Gentile). Del resto, Bottai riconosce che l’evoluzione dai contenuti della riforma Gentile erano stati ostacolati dal-l’azione del doppio fronte dei suoi sostenitori e dei suoi detrattori. Occor-reva pertanto procedere ad una revisione profonda di questi contenuti o all’elaborazione di un nuovo impianto, anche per il fatto che gli interventi di De Vecchi avevano causato una vanificazione del criterio di autonomia universitaria che Gentile a suo tempo aveva sancito, facendone un punto qualificante della sua legge.

Il lungo periodo di permanenza di Bottai come Ministro della Educa-zione Nazionale consentirà da un lato di superare le incongruenze derivate dalle sovrapposizioni realizzate dopo il varo della riforma Gentile, dall’altro di intervenire sul problema dell’istruzione di massa che era stato considerato il problema principale per l’evoluzione del sistema politico.

Dalla politica dei ritocchi alla legge Gentile realizzata dai suoi predeces-sori, Bottai trae la convinzione che fosse necessario procedere alla defini-zione di un nuovo progetto scolastico ed educativo, del quale traccia le linee fondamentali in un discorso alla Camera e in due interventi al Senato.

Riproduzione dell’intelaiatura della Carta del Lavoro, la nuova Carta viene presentata il 19 gennaio 1938 da Bottai a Mussolini e al Gran Con-siglio, con una relazione che illustra quello che Mussolini chiamerà «un piano regolatore della riforma stessa da attivarsi nel tempo» (Miozzi, 1993, p. 105), indirizzato prevalentemente alla creazione di un’organizzazione

nerale dell’istruzione volta alle classi lavoratrici ed a «preparare le piccole classi impiegatizie e le migliori maestranze delle industrie», sia separando la scuola media dalle scuole artigiane, professionali e tecniche, sia favorendo, per gli studenti che avessero dimostrato singolari attitudini, la possibilità di continuare gli studi presso collegi organizzati dallo Stato.

Lo scopo della nuova legge era riformare la scuola italiana e trasformarla in scuola del popolo e dello stato fascista: una scuola diretta a rastrellare i migliori per destinarli a diventare la classe dirigente del Paese, dopo averli educati allo spirito di autorità ed obbedienza. Punto di coordinamento ge-nerale della gioventù fascista, tale coordinamento operativo sarebbe dovuto passare attraverso l’Opera nazionale Balilla e la Gioventù Italiana del Lit-torio, i quali avrebbero concorso a realizzare un’ampia “bonifica” scolastica anche nel settore dell’istruzione superiore (Bottai, 1939, pp. 95-98), non solo con i provvedimenti già richiamati, ma anche con l’eliminazione delle varie forme di autonomia che Gentile aveva mantenuto in essere e che la legge De Vecchi del 13 giugno 1935 aveva definitivamente cancellato.

«È tempo ormai di procedere non per via di ritocchi e giustapposizione, ma con una riforma radicale», aveva affermato Bottai, nel presentare il suo progetto di riforma, nel quale voleva rimarcare che fosse necessario mante-nere validi i contenuti della precedente legge sulla scuola e che, anziché es-sere disperse, dovessero eses-sere invece valorizzati «come fondamento storico su cui edificare il nuovo» (Ivi, p. 58).

La Carta della Scuola, oltre alle dichiarazioni introduttive sulle linee ge-nerali, si compose di ventinove dichiarazioni, di cui la diciannovesima de-dicata al problema universitario. Nelle “Direttive per lo svolgimento della vita universitaria” viene pronunciata come prossima una riforma universi-taria globale, all’interno della quale si dovevano tener conto dell’affolla-mento degli atenei e quindi della necessità di provvedere ad interventi urgenti per fronteggiare l’emergenza.

In sostanza, Bottai aveva recepito il programma enunciato sulla rivista «Vita universitaria» ove, tra le altre soluzioni proposte, s’era pensato di isti-tuire due tipi di laurea (una rivolta alla camera scientifica ed un’altra fina-lizzata al conseguimento di un titolo di laurea per accedere agli impieghi.

Nel giugno del 1938 si provvederà a concretizzare quanto era stato con-cordato ed i rappresentanti dell’Associazione fascista tra i professori uni-versitari a proposito del riequilibrio degli ordinamenti: distribuzione fra insegnamenti fondamentali e complementari, libertà di scelta agli studenti

ed alle facoltà per i piani di studio, intendendo così stabilire i punti di rac-cordo tra vecchio e nuovo senza sconvolgere l’assetto generale dell’università italiana.

Secondo Bottai, infatti, «l’università italiana non ha bisogno di una nuova riforma di struttura, quanto di una riforma morale, del costume dei suoi docenti e dei suoi discenti [...] L’università porta in sé il residuo di una vecchia fantastica vita dissipata proprio dallo spirito di certi insegnanti non meno che di certi studenti. Quest’università deve, finalmente, mettersi al passo coi tempi, avere un calendario ed un orario, un senso della dignità anche formale, a costo di perdere certe apparenze di libertà che, più di ono-rarla, la uccidono e la isteriliscono. Quindi, non solo io penso che sia da darsi alle facoltà scientifiche un preciso rigore di giornate i lezioni e di orari, ma che questo rigore debba essere decisamente esteso a tutte le facoltà uni-versitarie» (Ibidem).

Da questo punto di vista, ogni più o meno implicita rivalutazione di Bot-tai non soltanto come ministro dell’Educazione Nazionale, quanto come abile ed ambiguo garante di una fronda in crisi, in cui si muovevano i frammenti di tanti avvenire possibili, urla contro il fatto che la scuola e l’uni-versità in particolare pagarono il prezzo inaccettabile più alto sul piano della cultura e della scienza, proprio durante la responsabilità di Bottai e la sua volontà di cancellare definitivamente la riforma Gentile, per realizzare la scuola e l’università dello Stato delle corporazioni. In realtà, le proposte di Bottai non ebbero ad attivarsi a causa dell’irrompere del conflitto mondiale. Il modello gentiliano dell’Università aveva comunque subìto, col Ministro De Vecchi, un duro colpo attraverso la fine di ogni, pur relativa, autonomia. La funzione guida dello Stato era riaffermata in modo netto.

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 147-152)

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