• Non ci sono risultati.

Presenza ed assenza dell’intercultura nell’Università

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 152-157)

Valentina Pastorelli Dottore di ricerca - Università del Salento

2. Presenza ed assenza dell’intercultura nell’Università

I problemi dell’istruzione pubblica e della sua organizzazione costituiscono un nodo centrale nel dibattito politico-pedagogico italiano, a partire dal-l’Unità.

L’Università, poi, è stata la vexata quaestio dalla nostra struttura scola-stica, in quanto generalmente poco tranquilla per disagi di studenti e talora anche di docenti ed al centro di discussioni sia per una troppo estesa auto-nomia, sia per problemi didattici e scientifici.

La concezione degli studi accademici, tra il 1861 e il 1939, fu piuttosto monolitica, non solo perché i problemi rimasero pressoché inalterati in mezzo a discussioni tanto lunghe quanto inconcludenti, ma anche perché coloro che li affrontarono, benché diversi per formazione ed ideologia, fi-nirono per proporre in genere la medesima visione .

Da questo punto di vista, privilegiando come terreno d’analisi le leggi, si può offrire non solo un’immagine corretta del modello generale e della sua evoluzione, ma anche una qualche traccia consistente dei processi di adattamento che la realtà aveva finito per imporre.

Accanto ad una storia, che non può non essere istituzionale, dell’uni-versità italiana e del suo rapporto con uno Stato totalitario, in grado di im-porre il suo modello autoritario alla società civile, c’è poi la vicenda forse più corposa e reale delle singole sedi, del loro rapporto con il territorio, di far sopravvivere ostinatamente diversità che avevano radici nelle tradizioni locali: una storia complessa, e non facile da ricostruire, di cedimenti, adat-tamenti, difese e talvolta resistenza .

Non è un caso che la maggiore accumulazione di testi riguardi il dibat-tito sulla riforma Gentile e la sua difesa, mentre sia abbastanza povera la fase dei ritocchi, fino alla Carta della Scuola di G. Bottai dal 1939.

Con Bottai, il dibattito e la documentazione crebbero anche se la di-mensione progettuale era destinata a restare tale. Quante volte si è scritto e parlato di educare le masse dell’Italia e delle isole e renderle coscienti delle loro azioni; quante volte si è insistito sul preparare le emigrazioni, non solo con un ufficio, la cui utilità è dubbia, ma educare ed istruire le masse po-polari che emigrano e rendere loro meno difficile la vita nelle regioni ove esse emigrano. Vi è insomma un senso di malessere di fronte alla realtà.

Giovanni Gentile non può che percepire tutto questo. Studioso attento di Rosmini e Gioberti, conoscitore di Hegel e Marx, il giovane Gentile ri-tiene che sia la scuola la struttura in grado di rigenerare la vita italiana. Ma quale scuola? Non certo quella esistente, specchio di una società incapace di rinnovarsi, sospesa tra psicologia e didattica. La scuola capace del rinno-vamento nazionale sarà una scuola vivificata da una filosofia che sia ragione di vita, una filosofia a cui il filosofo medita costantemente. L’università, al-lora, in particolar modo le facoltà filosofico-letterarie, dovrebbero divenire il centro propulsore del rinnovamento. Se quest’ultimo non può partire dalla volontà politica, dovrà partire dalle grandi sedi del sapere scientifico, a cui il filosofo rivendica autonomia e competenza. Di qui, la sua polemica

contro il metodologismo fine a se stesso, incapace di dare un orientamento reale all’individuo, un metodologismo chiuso negli artifici didattici.

In una situazione in cui si auspica il rinnovamento, non conta soffer-marsi su raffinatezze metodologiche, certamente in grado di esprimere al meglio l’esistente, ma impotente a mutarlo. Quello che conta è individuare la strada maestra dell’autoformazione, un’autoformazione destinata a coin-volgere la vita civile.

Gentile ritiene essenziale una rigenerazione della Nazione attraverso la scuola, oltre che il rinnovamento intrinseco della stessa. Per tutto questo si batte nei primi vent’anni del secolo, durante i quali la sua posizione è po-liticamente isolata, nel senso che la sua battaglia è squisitamente culturale e non si appoggia né è appoggiata da alcuna forza politica. Il suo liberalismo è all’interno della tradizione risorgimentale della valorizzazione della Na-zione italiana che egli sente ancora non del tutto realizzata.

Ciò, da un lato, illumina la complessa posizione di Gentile che continua ad avere un ruolo indipendente all’interno del fascismo, ma mostra molto chiaramente un’idea di università quale centro promotore del sapere, un sapere tanto più necessario quanto più si guarda alla società e non agli in-teressi dei singoli componenti.

Di fronte ad una società in crisi o in mutamento, compito dell’università è la formazione di un sapere che possa anche promuovere una coscienza ci-vile. Questo l’università deve farlo o riconoscendosi sostanzialmente nella volontà dello Stato o agendo indipendentemente da chi gestisce lo Stato quando la volontà di questi non è chiaramente orientata.

Naturalmente, si tratta di un modello forte in una realtà poco dinamica come quella italiana del primo Novecento .

In conseguenza di ciò, negli anni in cui Gentile opera, si potrebbe parlare di intercultura, ovvero di possibilità di apertura al dialogo, al rispetto ed all’accettazione di culture diverse per religione, usi e costumi.

Sentimenti che per il filosofo dovranno essere diffusi dalla scuola ele-mentare, secondaria e in particolare dall’università quale centro promotore del sapere.

Con la nomina, nel 1939, di G. Bottai al Ministero dell’Educazione Na-zionale, le cose cambiano. Quelle che erano le premesse interculturali pre-senti nel sistema scolastico previsto da Gentile vengono a mancare nella scuola prevista da Bottai.

La scuola fu proprio una delle prime istituzioni statali in cui il fascismo Panel 1

introdusse l’antisemitismo. Ed era proprio «Critica fascista» a cogliere che cosa avrebbe significato per la scuola la politica razzista del fascismo.

Lo diceva in un articolo agghiacciante e significativo., Primo: La scuola del 15 settembre 1938. Plaudendo alla decisione del Consiglio dei Ministri che escludeva gli ebrei sia come docenti, sia come discenti, la rivista di Bot-tai così commentava, per ciò che concerneva l’università:

data la solidarietà ferrea ed esclusiva che gli ebrei hanno fra di loro, il loro numero nelle cattedre, negli assistentati, nelle docenze si estendeva in modo temibile. La scienza italiana rischiava di essere molto compro-messa da questa tenace vegetazione parassitaria di cui oggi le università vengono di colpo liberate. Da questa improvvisa amputazione né la scienza, né l’insegnamento soffriranno molto, rapidamente i vuoti sa-ranno colmati, energie nuove, forse tenute lontane fino ad oggi avanze-ranno finalmente sulla strada sgomberata (Bottai, 1938, pp. 1227-1228).

Gli ebrei erano definiti, in questa sconcertante analisi, come sostanzial-mente estranei alla tradizione culturale italiana.

C’era stata la bonifica fascista della cultura, ma l’unico modo per prose-guire correntemente era la diseibreizzazione, la sola scelta che potesse ita-lianizzare scuola ed università, restituendole agli italiani. «La scuola italiana agli italiani» (Recuperati, 1997, p. 368): così s’era detto.

Riferimenti bibliografici

AA.VV. (1983). Cenni di storia della scuola italiana. Dalla Legge Casati al 1982. Roma: Armando.

Bellucci M., Ciliberto M. (1978). La scuola e la pedagogia del fascismo. Torino: Loescher.

Bottai G. (1935). La libertà degli studi e l’esame di Stato. In Archivio di Studi

Cor-porativi.

Bottai G. (1938). Primo: la scuola (15 settembre 1938). In Critica fascista. Bottai G. (1939). La Carta della Scuola. Milano: Mondadori.

Catalano F. (1981). La scuola italiana da Gentile a Bottai. In Italia

Contempora-nea.

De Vivo F. (1983). A sessant’anni dalla riforma Gentile. In Scuola Italiana

Mo-derna.

Guerri G.B. (1976). Giuseppe Bottai, un fascista antico. Milano: Feltrinelli. Miozzi U.M. (1993). Lo sviluppo storico dell’università italiana. Firenze: Le

Mon-nier.

Negri A. (1996). Giovanni Gentile educatore. Scuola di Stato e autonomie scolastiche. Roma: Armando.

Ostenc M.. (1980). L’educazione in Italia. Bari: Laterza.

Ostenc M.. (1981). La scuola italiana durante il fascismo. Roma-Bari: Laterza. Recuperati G. (1977). La scuola italiana e il fascism. Bologna: il Mulino.

Recuperati G. (1997). Da Gentile a Bottai: l’università italiana fra bonifica fascista e Carta della Scuola: appunti e discussion. In I. Porciani (ed.), L’università tra

Otto e Novecento: il modello europeo e il caso italiano. Napoli: Jovene.

Spirito U. (1956). La riforma della scuola. Firenze: Sansoni.

I.11

L'infanzia nella storia delle idee

Nel documento Società Italiana di Pedagogia (pagine 152-157)

Outline

Documenti correlati