Janusz Korczak e Maria Montessori Evelina Scaglia
2. La valorizzazione pedagogica dei gesti, delle voci, degli sguardi dei più piccoli
Lo sviluppo di una riflessione compiutamente pedagogica sull’educazione nei primi tre anni di vita non è slegato dall’interesse a collocare nella natura pratica dei processi educativi le radici di un sapere pedagogico attento a promuovere le peculiarità della natura infantile, a partire dallo studio di episodi significativi riscontrabili in esperienze di vita quotidiana.
Per suffragare tale constatazione, qui di seguito verranno riportati tre passi tratti, rispettivamente, da L’educazione progressiva (1828-1838) − opera
della studiosa e madre ginevrina Albertina Necker de Saussure, dedicata ad una rilettura del concetto rousseauiano di educazione progressiva come per-fezionamento della persona umana − e da altri due testi intitolati entrambi Il bambino in famiglia, l’uno redatto nel 1914 dal pediatra ed educatore polacco Janusz Korczak e l’altro nel 1923 da Maria Montessori, medico e pedagogista italiana. Tutte e tre le citazioni descrivono una scena che ha per protagonista una piccina o un piccino di pochi mesi di vita, che gioca con le proprie mani e le esplora.
Un bambino di sei mesi e mezzo, semi sdraiato nel suo lettuccio e che gioca con le proprie manine è nello stato più felice; lo è egualmente a nove o dieci mesi, quando, seduto su di un soffice tappeto si diverte a sparpagliare e riprendere diversi oggetti. Mentre così egli gioca, voi po-trete attendere alle vostre occupazioni; uno sguardo, qualche parola di tanto in tanto bastano a fargli sentire che è protetto e perfettamente al sicuro (Necker de Saussure, 1940, pp. 121-122).
Il piccolo esplora le sue mani. Le distende, le muove verso destra e sini-stra, le allontana, le avvicina, apre le dita, le stringe a pugno, parla loro e aspetta la risposta, con la destra afferra la sinistra e tira, prende il so-naglio e osserva l’immagine stranamente cambiata della mano, sposta il giocattolo da una mano all’altra, se lo mette in bocca per esaminarlo, se lo toglie subito e lo guarda di nuovo lentamente e attentamente (Kor-czak, 2018, pp. 49-40).
Dirò prima di tutto di una bambina di tre mesi, un piccolo essere sulla soglia della vita. Questa bambina sembrava avere appena allora scoperto le sue mani e faceva ogni sforzo per osservarle bene, ma le sue braccine erano troppo corte e, per guardarsi le mani, doveva torcere gli occhi. Era dunque in grado di compiere uno sforzo abbastanza grande. C’era tanto da osservare intorno a lei, ma soltanto le sue manine la interessa-vano. I suoi sforzi erano l’espressione di un istinto, che sacrificava le proprie comodità per appagare un soddisfacimento interiore (Montes-sori, 2000, pp. 102-103).
La lettura di queste poche righe, uscite dalla penna di tre autori vissuti in epoche storiche differenti e con percorsi culturali diversificati, mostra in prima battuta quanto non si possa fare scientia dell’educazione senza partire dall’experientia, cioè dalla vita vissuta, filtrata e riflessa attraverso quelle in-dispensabili consapevolezze pedagogiche, capaci di cogliere nel frammento
il tutto e di riconoscere la presenza di una physis dietro i gesti e le voci dei più piccoli (Bertagna, 2018, pp. 22-25; Potestio, 2020, pp. 9-15). La scelta di soffermarsi su azioni ripetitive e comuni, come quelle del neonato che gioca ed esplora le proprie mani, ha consentito di far emergere non solo il loro legame con i primi processi intellettivi, ma anche le dirette implicazioni nel processo di sviluppo dell’intenzionalità umana, tali da suffragare la li-berazione della prima infanzia dai silenzi plurimillenari della trophé, per renderla protagonista di una forma di educazione indiretta, capace di ri-spondere alla sfida di promuovere appieno la physis singolare e irripetibile di ciascuno (Scaglia, 2020b, pp. 7-11).
Risulta agevole, anche in questo caso, fare un richiamo ad intuizioni presenti fin dall’antichità classica: basti rileggere il Platone de La Repubblica e delle Leggi, per imbattersi nel riconoscimento dell’apprendimento per imitazione e dello sviluppo di buone abitudini nella prima età della vita quali motori di un processo di ordinamento interiore, che Platone pose al centro della sua ricerca di un nuovo rapporto fra paideia e politeia (Vegetti, 2003, p. 145). Necker de Saussure, Korczak e Montessori hanno riportato alla luce tali processualità per rileggere il rapporto fra educazione della prima infanzia e pedagogia in età contemporanea. L’originalità del loro intervento risiede nell’aver congiunto in maniera inedita l’indagine pedagogica sul “sentire”, sul “fare” e sul “pensare” di una fascia d’età, per lunghi millenni rimasta celata fra i «silenzi dell’educazione» (Cambi, Ulivieri, 1994, pp. 53-71), con un processo di ri-significazione dell’infanzia stessa, riconosciuta − sul duplice piano biologico ed ontologico − nei suoi bisogni peculiari e nel suo diritto ad essere soggetto protagonista di processi educativi e formativi «da genitivo soggettivo», e non «da genitivo oggettivo» (Bertagna, 2018, p. 31). Questa operazione ha comportato una graduale revisione epistemolo-gica della pedagogia stessa, che ha saputo riaffermare la sua specificità di analisi rispetto alle scienze dell’educazione (psicologia, sociologia, igiene, neurobiologia, ecc.), in ragione della sua capacità di cogliere per intero l’ine-sauribile complessità di ogni relazione educativa e di considerare l’insop-primibile asimmetria esistente fra il magis (l’adulto, il mastro, l’educatore) e il minus (il bambino, l’apprendista, l’educando) come una condizione di possibilità, e non come una condizione ostativa (Bertagna, 2010, pp. 52-94; Bertagna, 2018, p. 27).
Se la Necker de Saussure ha interpretato l’asimmetricità insita in ogni relazione educativa nei termini kantiani di un processo messo in atto da un
essere perfetto − la madre, l’educatore − nei confronti di un essere in corso di perfezionamento − il figlio, l’educando − (Necker, 1940, pp. 146-147; Bernardinis, 1965, pp. 255-260), Korczak e la Montessori hanno riletto tale condizione alla luce di una declinazione sul piano concreto del puero-centrismo, attenta alla promozione di una forma di autoeducazione fin dalla nascita (Korczak, 2018, pp. 30-35; Montessori, 2016, pp. 6-7), quale stra-tegia migliore per realizzare il diritto di ogni piccina e di ogni piccino ad essere protagonista di un’educazione “a sua misura” (Lascarides, Hinitz, 2011, pp. 117-142; Giuliani, 2016, pp. 34-52; Polenghi, 2017, pp. 31-49; Honegger Fresco, 2018, pp. 121-126). In altre parole, l’asimmetricità della relazione educativa, ancora più acuita nel rapporto neonato-adulto dal fatto che uno dei due soggetti implicati è impegnato nella conquista delle sue autonomie personali, non ha impedito a tutti e tre gli autori di riconoscere ogni piccino, fin dal primo istante di vita, come pienamente “padrone” del processo di costruzione della sua personalità, cioè del suo “darsi forma”. Inoltre, nelle loro opere emerge la consapevolezza che questo processo in-teriore implichi, in ciascuna persona che lo vive, la possibilità di ripercorre nella propria esistenza, unica e irripetibile, la genealogia dei processi di edu-cazione, formazione e istruzione conquistati dalla specie umana nel corso dei millenni, mettendo in evidenza come lo studio della morfologia di tali processi espressi nel singolo consenta sia di distinguerli da altri fenomeni come il condizionamento, l’addestramento, il disciplinamento e la cura, sia di ricostruire le principali tappe, sul piano storico-pedagogico, dell’educa-zione, della formazione e dell’istruzione (Bertagna, 2010, pp. 54-94; Sca-glia, 2020a, pp. 7-14).
La fiducia accordata da Necker de Saussure, Korczak e Montessori all’in-sostituibilità del contributo offerto dalla pedagogia, rispetto alle scienze del-l’educazione, si manifesta nel loro non esimersi dal riconoscere la sua capacità − in quanto agoghé del pȃis − di superare, nell’armonia del moto ascensionale fra educatore ed educando, il gap esistente fra l’“essere” (l’empirico) e il “dover essere” (il meta-empirico), in un circolo virtuoso finalizzato alla promozione di un agire libero, autonomo e responsabile da parte di ciascuna persona umana. Nel sostenere la centralità di tale tesi, va rimarcato, essi hanno saputo tesaurizzare l’eredità di lungo corso offerta da quelle suggestioni filosofiche, letterarie, teologiche che, fin dai primordi della paideia umana, hanno mo-strato un’attenzione «intenzionalmente pedagogica» alla crescita, all’educa-zione e alla formaall’educa-zione dei più piccoli, rispettosa della loro natura specifica
in quanto corroborata da una visione realistica, frutto di un’osservazione co-stante della loro experientia (Scaglia, 2020b, pp. 235-239).