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6 Comparazione statistica dei dat

Spesso risulta necessario andare a comparare i dati ottenuti da due studi su un certo argomento al fine di verificare l’eventuale presenza di differenze statisticamente significative. [87, 153, 164] Accade semplicemente che le distribuzioni dei valori riscontrati nei due studi vengono comparati con appositi test statistici per evidenziare la presenza o meno di differenze statisticamente significative. [87, 164]

I metodi che possono essere utilizzati per effettuare questo tipo di comparazione sono differenti a seconda delle circostanze. [87, 68]

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Innanzitutto è importante distinguere se i valori da comparare sono indipendenti o correlati tra loro. [87] La comparazione di valori indipendenti, cioè non legati tra loro, necessita di una procedura diversa rispetto alla comparazione di valori correlati tra loro. [87]

Poiché la comparazione tra valori indipendenti è quella più frequentemente realizzata qui di seguito ne verranno fornite le indicazioni più basilari.

Una volta definito che i valori ottenuti nei due studi sono indipendenti, quindi non correlati tra loro, è necessario valutare con appositi test statistici, come il D’Agostino-Pearson, se questi hanno una distribuzione normale o meno. [87]

Se i valori indipendenti possiedono una distribuzione normale allora è possibile compararli con un semplice t-test per valori indipendenti. [68, 87] Con un valore della probabilità a due code inferiore a 0,05 si può affermare che esistano differenze statisticamente significative tra le due distribuzioni di dati. Con valori superiori non ci sono differenze statisticamente significative. [68,87]

Se i valori indipendenti non possiedono una distribuzione normale allora è possibile compararli tramite il Mann-Whitney test (per valori indipendenti). Questo rappresenta l’equivalente non parametrico del t-test per valori indipendenti. [68, 87] Con un valore della probabilità a due code inferiore a 0,05 si può affermare che esistano differenze statisticamente significative tra le due distribuzioni di dati. Con valori superiori non ci sono differenze statisticamente significative. [68, 87] Tuttavia è necessario precisare che quando viene accertato con un apposito test statistico l’assenza di una distribuzione normale è possibile tentare di normalizzare tale distribuzione con specifici metodi statistici, come quello della trasformazione logaritmica o quello di Anderson-Darling. [87]

Se si ottiene così una distribuzione normale allora è possibile comparare i dati con il t-test, altrimenti è necessario ricorrere al Mann-Whitney test. [68, 87]

Poiché in medicina veterinaria il numero di campioni disponibili nei vari studi solitamente è ridotto, alcuni Autori suggeriscono di fare ricorso, come già indicato nel paragrafo 3 di questo capitolo a proposito della determinazione degli intervalli di riferimento, a metodi non parametrici. Ecco che i dati provenienti da due studi indipendenti che presentano distribuzione normale vengono comparati lo stesso tramite il Mann-Whitney test. [68, 87] Tra l’altro in questo test statistico al momento del calcolo della probabilità a due code, se il numero di dati a disposizione è relativamente elevato, viene automaticamente tentata l’approssimazione normale. [68, 87]

La comparazione statistica dei dati risulta un importante strumento a disposizione del clinico, infatti gli può consentire di confrontare ciò che è stato ottenuto in due differenti studi. [87, 153] A questo proposito risulta un ottimo strumento per confrontare intervalli di riferimento circa un certo analita, ottenuto in laboratori diversi o con metodi diversi. Infatti basta semplicemente confrontare le

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PARTE

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CAPITOLO 1

INTRODUZIONE

La siero-elettroforesi, SPE, è un metodo di laboratorio che consente la separazione elettroforetica delle proteine sieriche. [84, 85, 165, 186, 71, 35, 115, 80, 181, 188, 122] Infatti verso la prima metà del 1900 Tiselius e altri studiosi si accorsero che queste molecole, grazie alle loro particolari

proprietà fisico-chimiche, se esposte ad un opportuno campo elettrico in un certo microambiente sono soggette ad una mobilità, che prende nome appunto di mobilità elettroforetica. [80, 85, 71]

Sfruttando la mobilità elettroforetica delle proteine presenti a livello sierico o plasmatico ben presto gli studiosi si accorsero che era possibile separare tali molecole in base alla loro massa, alla loro carica elettrica, alle loro dimensioni, insomma in base alle loro caratteristiche fisico-chimiche. [84, 85, 112, 150] Inoltre con il tempo si resero conto che utilizzare un mezzo di supporto a livello del quale creare il corretto microambiente e il giusto campo elettrico per separare le proteine sieriche garantiva un maggiore successo della procedura. [150, 84] Nacque così la siero-elettroforesi zonale. [71, 84, 85]

Con il tempo furono utilizzati come mezzo di supporto vari tipi di materiali [71, 84, 85] Quelli che oggi risultano più validi e di fatto più largamente impiegati nei laboratori di chimica clinica sono l’acetato di cellulosa e il gel di agarosio. [71, 69, 150, 80, 181, 188, 82]

Durante la siero-elettroforesi zonale le proteine sieriche presenti nel campione in esame si vanno a distribuire sul supporto, formando una serie di bande, che nel complesso prende nome di

protidogramma o elettroforetogramma. [84, 85, 80, 71]

Ciascuna banda del protidogramma può essere formata da una o più proteine. [122, 71, 84] La composizione di ogni banda e il numero delle bande è dipendente dalla mobilità elettroforetica delle proteine sieriche presenti. [71, 122, 84, 85]

La mobilità elettroforetica delle proteine sieriche durante la siero-elettroforesi zonale dipende da diversi elementi: dalle caratteristiche fisico-chimiche di ogni proteina, dal pH ed elettroliti del tampone utilizzato a livello del mezzo di supporto, dalla tipologia del mezzo di supporto, dalla durata ed intensità del campo elettrico applicato a livello del mezzo di supporto. [71, 84, 165, 85, 80, 122, 78] Poiché le caratteristiche fisico-chimiche di ogni proteina sono soggette a molteplici fattori, primo fra tutti la specie di appartenenza, è chiaro che a seconda della specie, a parità di metodo elettroforetico, si ottengono tracciati differenti. [145, 84, 85] Le bande che solitamente si possono riconoscere sono: la prealbuminica, l’albuminica, l’α, la β e la γ-globulinica. [122, 78, 80, 181, 188, 84, 85, 165, 71] Fatta eccezione per i ruminanti solitamente la banda α-globulinica si distingue in α1 e α2 e la banda β- globulinica in β1 e β2. In alcune specie animali, tra cui il gatto, è possibile distinguere, a seconda del metodo impiegato, anche una banda γ1 e una banda γ2-globulinica. [84, 85, 165, 10, 176, 122] Fatta eccezione per la banda prealbuminica, dove presente, e albuminica, le altre bande sono tutte determinate da più proteine. [122, 188, 176, 84, 85, 181, 80, 71, 78]

Al termine della corsa elettroforetica le proteine sieriche presenti nel campione si sono distribuite sul mezzo di supporto in base alla loro mobilità elettroforetica formando una serie di bande, rese

solitamente più visibili tramite l’applicazione di specifici coloranti. [78] Dopo di ciò solitamente si procede alla lettura fotodensitometrica di queste bande al fine di ottenere le loro quantità relative. [71, 80, 181, 188] Moltiplicando queste quantità per il valore delle proteine totali sieriche si ottengono le quantità assolute di ciascuna banda. [85, 165]

Ciò che emerge dalla lettura fotodensitometrica del protidogramma solitamente è convertito in un grafico formato da una serie di picchi. L’area sotto ogni picco corrisponde alla quantità relativa della banda omologa. [84, 85, 71, 78, 80, 181, 188, 122]

Una volta ottenuto il protidogramma, il grafico densitometrico a picchi, le quantità relative ed eventualmente quelle assolute si può procedere con l’interpretazione dei risultati. [186]

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Solitamente dopo aver valutato i livelli delle proteine totali e dell’albumina, forniti dalla chimica liquida, per prima cosa si considera il rapporto tra albumina e globuline. [186] Questo rapporto, ottenuto semplicemente dividendo i livelli di albumina per i livelli delle globuline, è un ottimo indicatore di eventuali disprotidemie presenti. [186, 165, 84, 85]

Definito il livello di proteine totali, di albumina e il rapporto albumina-globuline a questo punto è possibile concentrarsi sulle globuline. Per ogni frazione è necessario valutare se i valori osservati rientrano o meno negli specifici intervalli di riferimento. Il tutto poi non deve mancare della contemporanea valutazione visiva sia del protidogramma che del grafico densitometrico. [186, 165, 84, 85, 122, 176, 188, 80, 181]

Mettendo insieme tutte queste informazioni il clinico può interpretare i risultati ottenuti da questo formidabile esame di laboratorio.

È risaputo che a seconda della tipologia di alterazione patologica si modificano con più frequenza i livelli di certe proteine sieriche o plasmatiche rispetto ad altri. [28, 80, 181, 188, 122, 84, 85, 165] Poiché per ogni frazione rilevabile alla siero-elettroforesi si conosce a seconda della specie quali sono le proteine costituenti, eventuali modificazioni dei livelli di queste frazioni possono essere ricondotte a certi tipi di alterazione patologica. [80, 181, 188, 122, 84, 85, 165] Però chiaramente una diagnosi precisa non può essere elaborata mediante i risultati della siero-elettroforesi in quanto si tratta di elementi che mancano di specificità. [84, 85, 165, 187, 122, 176, 188]

In alcuni casi la modificazione rilevata è molto indicativa di una certa patologia o di una cerchia ristretta di patologie. Quindi alla fine può essere elaborato un certo orientamento diagnostico che tuttavia necessita degli opportuni approfondimenti per poter emettere una diagnosi certa. [122, 188, 71, 100, 9, 176, 186]

In altri casi la modificazione rilevata può essere ricondotta non solo a patologie diverse dello stesso tipo (es. infiammatorie) ma anche a patologie di tipo diverso (es. neoplastiche, infettive, vascolari), perciò in questi casi è difficile persino elaborare un orientamento diagnostico preciso. [28, 126, 165, 181, 80]

Oggi la siero-elettroforesi zonale risulta un esame diagnostico di notevole aiuto per il clinico. [85, 165, 186, 112] Tuttavia è per certi aspetti ancora poco utilizzata, anche in medicina veterinaria, forse a causa delle possibili difficoltà che si possono rilevare al momento della interpretazione dei risultati. [181, 85]

A seconda del metodo impiegato la siero-elettroforesi zonale presenta certi vantaggi e certi

svantaggi. [108, 8, 84, 85, 165] La necessità di uno strumentario specifico senz’altro è un importante fattore deterrente, tuttavia oggi è disponibile ad un costo veramente ridotto. [78]

Nell’interpretare i risultati il clinico deve necessariamente impiegare gli intervalli di riferimento appositamente elaborati per quella specie, in quel laboratorio con quel particolare metodo siero- elettroforetico. [150, 153, 63, 164] Ecco che ogni laboratorio dovrebbe elaborare i propri intervalli di riferimento e fornire al clinico tutte le informazioni relative alla loro modalità di elaborazione, perché ne è stata dimostrata l’utilità al momento della interpretazione dei risultati. [63, 164, 87, 153, 150]

Nel Laboratorio di Patologia clinica del Dipartimento di Scienze Veterinarie di Pisa vengono regolarmente eseguite siero-elettroforesi zonali su sieri di diverse specie animali, come cane, gatto, cavallo e meno frequentemente bovino ed ovi-caprino. Occasionalmente capitano anche alcune specie aviarie. Qui fino a Gennaio 2013 le siero-elettroforesi zonali erano condotte su acetato di cellulosa. Da Febbraio 2013 sono invece realizzate utilizzando un mezzo di supporto a base di gel di agarosio. I risultati ottenuti dalle siero-elettroforesi zonali, dopo essere stati validati da un responsabile, sono accuratamente inseriti nella banca dati elettronica della struttura. Quindi in maniera molto rapida per ogni siero-elettroforesi eseguita è possibile risalire al relativo paziente e viceversa.

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CAPITOLO 2

OBBIETTIVI DELLA TESI