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La siero-elettroforesi zonale è oggi il metodo di elettroforesi delle proteine sieriche più utilizzato,. [84, 85, 165, 80, 78, 71, 122, 150] Esso prevede l’impiego di un mezzo di supporto e rappresenta l’evoluzione della siero-elettroforesi in fase libera. [84, 85, 80, 71]

Consiste nella separazione delle proteine sieriche grazie alla loro mobilità elettroforetica su un supporto costituito da un determinato materiale. [71, 181, 188, 80, 122, 84, 85, 165, 112]

A livello di questo supporto si viene a creare un determinato microambiente e un determinato campo elettrico. [71, 84, 85, 80, 181, 188] Il microambiente fa si che le proteine presenti nel campione acquisiscano una certa carica netta, mentre il campo elettrico le spinge a migrare nel supporto. [71, 84, 78] A seconda del materiale impiegato il supporto può concorrere alla creazione del

microambiente oppure intervenire limitando la migrazione delle proteine. [71, 85, 78] Infatti può creare un reticolo dove tutte le proteine sieriche possono muoversi liberamente oppure solo dove alcune possono passare, mentre altre ne vengono rallentate o addirittura bloccate. Ecco che la scelta del supporto ha dirette conseguenze sulla separazione ottenuta durante la siero-elettroforesi. [71, 85, 122, 188, 181, 80, 78] In ogni caso il supporto funge sempre da mezzo anticonvettivo. [71]

Il campo elettrico viene creato tra due elettrodi posti alla estremità del supporto, dove viene stabilita una certa differenza di potenziale per un certo periodo di tempo, dipende dal metodo in questione. [71, 80, 84, 85] Gli elettrodi sono immersi nella soluzione che avvolge il supporto. [78] Tale soluzione, definita soluzione tampone, è quella che insieme al sopporto stesso crea il microambiente necessario alle proteine per acquisire una carica elettrica. [78, 71, 84, 85, 165] Possiede una certa

concentrazione di elettroliti e un pH di solito pari a 8,6. Si tratta di una soluzione tampone comunemente nota come Tris-barbital. [71, 78, 150, 188]

Tuttavia è necessario precisare che in certi metodi elettroforetici il pH della soluzione tampone si modifica lungo il supporto. [85] In questo caso le proteine che sono mosse dalla forza elettromotrice corrono su un supporto dove via via il pH si modifica. Ecco che al variare del pH la loro carica elettrica muta, con conseguente cambiamento della loro sensibilità alla forza elettromotrice applicata. Ne risulta una distribuzione delle proteine sul supporto non solo in base alla carica, ma anche in base al loro punto isoelettrico. [85, 84]

Comunque sia il movimento delle proteine sul supporto è influenzato anche dalla loro massa molecolare e, a seconda del materiale con cui è costituito, anche dalle loro dimensioni. [71, 78, 188, 181, 122, 80, 84, 85, 165] E’ ovvio che, a parità di carica, molecole più leggere si muovono più rapidamente nello stesso campo elettrico. Così pure a parità di massa e di carica, molecole di

dimensioni più ridotte riescono meglio a muoversi a livello di un certo supporto dotato di piccoli pori. [71, 84, 85, 150]

Solitamente pochi microlitri di campione sono posizionati in un pozzetto scavato nel supporto, in vicinanza del sito dove viene a localizzarsi l’elettrodo negativo. [71, 80, 10]

A quel punto viene avviata la corsa elettroforetica attraverso l’applicazione di una certa differenza di potenziale tra i suddetti elettrodi. [71, 78, 80, 181, 188, 84, 85, 165] La forza elettromotrice che si crea porta le proteine dotate di una certa carica netta a migrare in direzione dell’elettrodo che presenta carica opposta. [71, 78, 84, 85]

Trascorso un certo tempo, dipendente dal metodo in questione, viene cessata l’applicazione della differenza di potenziale e così, venendo a mancare la forza elettromotrice, le proteine cessano la loro corsa. [71, 78, 80, 84, 85, 165]

A questo punto la corsa elettroforetica si è conclusa e le proteine si sono distribuite sul supporto secondo una serie di bande in base proprio alle mobilità a cui erano sottoposte. Tale distribuzione prende nome di protidogramma o elettroforetogramma. [71, 80, 84, 85, 165, 78, 181] Ogni banda

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rappresenta una certa frazione proteica e perciò è formata da tutte quelle proteine sieriche che presentano struttura e proprietà fisico-chimiche simili, altrimenti non avrebbero la stessa mobilità elettroforetica in quelle circostanze. [71, 84, 85]

Al termine della corsa le proteine sono fissate al supporto tramite sua essiccazione e sono colorate mediante specifiche sostanze, in modo tale da renderle visibili. Il supporto è in seguito asciugato. [71, 78, 80, 10] Solo a quel punto è possibile un appropriato studio delle bande, sia tramite

visualizzazione diretta sia tramite analisi fotodensitometrica. Con quest’ultima è possibile la quantificazione delle proteine presenti nelle singole bande. [71, 78, 80, 84, 85] Si tratta di quantità relative: se si vogliono poi ottenere valori assoluti è necessario moltiplicare tali quantità per le proteine totali sieriche. [78]

Il numero e le caratteristiche delle singole bande dipende dalla mobilità elettroforetica delle proteine sieriche che le costituiscono. È chiaro perciò che se lo stesso campione viene saggiato con metodi elettroforetici diversi si ottengono tracciati elettroforetici significativamente differenti. [71, 80, 10, 69, 122, 188, 84, 85, 135, 15, 90]

In linea generale però è possibile affermare che il tracciato elettroforetico che si ottiene in tutti i differenti metodi di elettroforesi zonale presenta ovviamente degli elementi in comune. In particolare nella parte più anodica del tracciato, quindi vicino a dove viene posizionato l’elettrodo caricato positivamente, vi si distribuiscono le proteine sieriche che presentano la mobilità elettroforetica più elevata. [71, 78, 84, 85, 165, 80, 181, 188, 122, 143] Si tratta di proteine che presentano una carica elettrica netta fortemente negativa e/o che comunque presentano una massa e dimensioni ridotte. [71, 84, 85]

Procedendo verso il catodo via via vi si distribuiscono le proteine sieriche che invece presentano una mobilità elettroforetica inferiore. [71, 78, 80, 181, 84, 85] Si tratta di proteine che presentano una carica netta meno negativa e/o una massa molecolare maggiore rispetto alle precedenti. [71, 84, 85] Infine nella parte più catodica del tracciato, quindi vicino a dove viene posizionato l’elettrodo caricato negativamente e dove viene depositato il campione di siero in esame, vi si distribuiscono le proteine sieriche che presentano la mobilità elettroforetica più ridotta. [71, 78, 80, 181, 188, 122, 84, 85, 165] Si tratta di proteine che presentano una carica netta scarsamente negativa o addirittura positiva e/o massa molecolare e dimensioni solitamente molto elevate. [71, 84, 85] Ecco che esse migrano di poco o non migrano affatto a livello del supporto. Alcune proteine, acquisendo una carica netta positiva, addirittura tendono a migrare in direzione del catodo, secondo il metodo in questione. [84, 85, 150] Le varie bande che si sono formate perciò possono essere costituite da un singolo tipo di proteina, allora si parla di banda monoproteica, oppure da più tipi di proteine, allora si parla di bande multiproteiche. [84, 85]

Procedendo dall’anodo verso il catodo al termine della corsa in linea generale è possibile affermare che si riconoscono le seguenti bande: prealbuminica, albuminica e le varie bande globuliniche. [71, 122, 181, 188, 80, 10, 69, 84, 85] Come illustrato nel paragrafo 6 del capitolo 3, le bande

prealbuminiche (nelle specie dove sono presenti) e albuminiche sono monoproteiche, quelle globuliniche sono multiproteiche. [71, 78, 84, 85] Quest’ultime solitamente vengono distinte in tre grandi frazioni: α, β e γ, che a seconda della specie e della tecnica possono mostrare ulteriori

suddivisioni, come α1 e α2, β1 e β2 e γ1 e γ2. [89, 90, 84, 85, 122] Addirittura poi in alcuni casi, proprio perché si tratta di bande multiproteiche, è possibile distinguere ulteriori suddivisioni interne a queste frazioni, come α2A e α2B. [10]

Dipende tutto dalla mobilità elettroforetica delle proteine: questa dipende, come già più volte sottolineato, dalle loro proprietà fisico-chimiche e dal metodo elettroforetico impiegato. [71, 78, 84, 85, 115, 35, 90]

Poiché le proprietà fisico-chimiche variano con la specie talvolta in modo notevole, è chiaro che anche con lo stesso metodo è possibile ottenere dei tracciati molto diversi tra specie differenti. Per esempio in generale nei ruminanti non è possibile distinguere le varie sottofrazioni globuliniche: nelle comuni siero-elettroforesi zonali esistono semplicemente le α, le β e le γ-globuline. [84, 165] Solo nel bovino è possibile distinguere talvolta le α-globuline divise in α1 e α2. [84]

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La banda prealbuminica in condizioni normali negli animali domestici è assente, tuttavia se si esegue siero-elettroforesi zonale su gel di agarosio o su gel di poliacrilamide è possibile rilevarla in alcune specie aviarie e nell’uomo. [84, 80, 85, 150]

Nella specie felina a livello delle varie frazioni globuliniche con più frequenza rispetto alle altre specie è possibile distinguere numerose sottofrazioni. [10, 69] Alcuni Autori però non sono concordi che nella specie felina la frazione γ-globulinica possa essere suddivisa nelle due sottofrazioni γ1 e γ2. [84]

Nel paragrafo 6 del capitolo 3 è stata discussa in dettaglio la composizione delle varie bande ottenute al termine di una comune corsa elettroforetica. Qui di seguito però si riporta la tabella 5.6.1, una tabella riassuntiva, al fine di agevolarne la comprensione.

I fattori che entrano in gioco nei vari metodi elettroforetici e ne condizionano il tracciato sono gli stessi che condizionano la mobilità elettroforetica delle proteine. [71, 78, 69, 80, 181, 188, 122, 84, 85, 165]

Riassumendo perciò sono: la tipologia di supporto, il pH ed elettroliti della soluzione tampone, la carica netta delle proteine e la massa molecolare e le dimensioni delle proteine. [71, 78, 84, 85, 69, 181, 80, 188, 122, 165, 115, 35, 90]

I supporti che nei tempi sono stati impiegati sono molteplici: carta, acetato di cellulosa, gel di agarosio, gel di amido, gel di agar e gel di poliacrilamide. [71, 69, 80, 84, 85]

Oggi quelli più utilizzati sono l’acetato di cellulosa, il gel di agarosio e il gel di poliacrilamide. [71, 80, 85] I primi due trovano largo impiego nel laboratorio di chimica clinica, invece il gel di poliacrilamide

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è più che altro utilizzato nei laboratori di ricerca, oppure per studi più approfonditi. [85] Tra l’altro quest’ultimo prevede l’uso nella sua preparazione di reagenti anche tossici.

Qui di seguito sono trattati in dettaglio le siero-elettroforesi zonali che utilizzano questi mezzi di supporto.

A Siero-elettroforesi zonale su carta

Questo particolare supporto è stato il primo ad essere impiegato per la separazione elettroforetica delle proteine sieriche. [84, 85, 165, 71] Oggi giorni di regola non è più utilizzato. [85, 71] Si tratta di carta assorbente che viene imbevuta di soluzione tampone e posizionata in una apposita vasca per elettroforesi. [71] Il campione è depositato ad una estremità della carta. [71] Nella vasca viene creato l’opportuno campo elettrico che tuttavia, vista la tipologia di substrato, deve agire per più di 12 ore. [71, 85] La separazione delle varie proteine al termine del processo tra l’altro non è così buona. [71] Le bande possono essere quantificate mediante fotodensitometria oppure mediante sofisticati processi di lavaggi del colorante, solitamente Rosso di Ponceau, tramite apposito solvente. [71] L’unico vantaggio è che la carta, anche se apposita, è economica. Il più grande svantaggio è che la diffusione della luce al momento della densitometria può subire una profonda distorsione e quindi la quantificazione della frazione proteica può non essere corretta. [8]

B Siero-elettroforesi zonale su gel d’amido

Per questa siero-elettroforesi viene impiegato un supporto costituito da amido esterificato e poi gelificato. [71] Presenta aspetti molto simili al gel di agarosio, tuttavia oggi non trova un largo impiego perché non consente una separazione elettroforetica accurata. [71] I tamponi che possono essere impiegati hanno pH talvolta molto variabile. [71]

C Siero-elettroforesi zonale su acetato di cellulosa

L’acetato di cellulosa, AC, è stato per diversi anni il mezzo di supporto più utilizzato per la siero- elettroforesi zonale. [84, 85, 165, 150, 71, 69] Poi con il diffondersi del gel di agarosio il suo impiego ha visto una significativa riduzione. [84, 85, 165, 71, 181, 69] Comunque insieme a quest’ultimo costituisce il supporto per eccellenza della siero-elettroforesi zonale. [71, 84, 85, 150, 165]

Le membrane di acetato di cellulosa sono prodotte dall’azione dell’anidride acetica sulla cellulosa. [71] Si ottiene così una struttura tridimensionale di camere interconnesse le cui pareti sono costituite da polimeri di acetato di cellulosa. [71] Queste camere intrappolano gli elettroliti della soluzione tampone, che solitamente si tratta di un buffer barbitale a pH 8,6. [71, 84, 10, 80] Tuttavia qui è necessario precisare che l’acetato di cellulosa presenta una elevatissima elettroendosmosi intrinseca. [71, 85]

L’elettroendosmosi è un fenomeno che può interessare un certo materiale quando entra in contatto con una soluzione contenente elettroliti. [71] Nel caso dell’acetato di cellulosa accade che la superficie delle suddette camere interconnesse, una volta entrate a contatto con la soluzione tampone, possono assumere una certa carica elettrica. [71] In poche parole le pareti dell’acetato di cellulosa una volta imbevute di soluzione tampone si cariano debolmente e ciò ovviamente crea un disturbo nella normale corsa elettroforetica delle proteine. Questo disturbo è di tipo indiretto: le proteine sono disturbate perché gli elettroliti e l’acqua della soluzione sono attirati dalle pareti di acetato di cellulosa. [71] Il microambiente che così si viene a creare può rallentare ed ostacolare il corretto movimento delle proteine verso l’anodo. [71]

Inoltre l’acetato di cellulosa risulta un materiale piuttosto opaco e quindi al termine della corsa elettroforetica, prima di essere sottoposto a fotodensitometria, è necessario un trattamento di chiarificazione mediante solvente organico. [71] Ciò ovviamente può inficiare i risultati perché, come è stato spesso dimostrato, deboli bande proteiche possono scomparire. [71]

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La quantità di campione che tipicamente può essere utilizzato su questo supporto è molto limitato, si aggira attorno a 0,2-0,3 µl. [71] Ciò può creare delle notevoli limitazioni, poiché il materiale proteico che poi va a migrare risulta ridotto quantitativamente. [71]

Al termine della corsa la risoluzione che si ottiene con l’acetato di cellulosa infine non è proprio ottimale. [84, 85, 165, 150, 71, 82, 69, 10, 8] E’ senz’altro superiore alla carta e all’amido, ma risulta inferiore rispetto al gel di agarosio. [69, 82, 10, 71, 150] Per questo ed altri motivi oggi il gel di agarosio sta diventando il mezzo di supporto più largamente impiegato. [84, 85, 165, 78, 80, 181, 69] Anche se ci sono notevoli differenze di precisione, molti autori comunque ribadiscono che alla fine i due supporti forniscono le stesse informazioni diagnostiche. [69, 82]

Forse il divario più significativo si ha sul riconoscimento della tipologia di gammopatia. [85, 71, 8] Infatti nella siero-elettroforesi zonale su acetato di cellulosa, mancando la precisione, può essere più difficoltoso il riconoscimento di bande monoclonali a livello γ-globulinico. [8, 71, 85]

È necessario qui precisare che su questo supporto effettivamente le γ-globuline possono non muoversi dal sito di deposizione o possono muoversi debolmente addirittura in direzione catodica. [84] Ecco che la capacità di separare bene i suoi costituenti si riduce, rendendo difficile poi

l’interpretazione. [8]

Anche la riproducibilità dei risultati con questo supporto sembra essere ridotta. [82] Forse il problema si concentra proprio dopo la chiarificazione e la lettura fotodensitometrica. [82, 71] Addirittura alcuni Autori sostengono che l’interpretazione visuale del protidogramma ottenuto su acetato di cellulosa da parte di un osservatore esperto possa equiparare la lettura

fotodensitometrica. [82]

Tra l’altro sembrerebbe che anche la colorazione non sia così precisa. [71, 82] Sembrerebbe infatti essere presente una scarsa uniformità o linearità di colorazione delle proteine, nonché una certa affinità dei coloranti anche per il materiale con cui è fatto il mezzo di supporto. [82, 71, 8] Il tutto potrebbe inficiare notevolmente la quantificazione delle bande proteiche. [71, 82, 69, 80] Ecco che la siero-elettroforesi zonale su acetato di cellulosa viene considerata un metodo semi- quantitativo. [82, 80]

D Siero-elettroforesi zonale su gel di agar e gel di agarosio

Il gel di agarosio, AG, è il mezzo di supporto insieme a quello di acetato di cellulosa che oggi viene più utilizzato nei laboratori di chimica clinica. [84, 85, 165, 150, 78, 80, 69, 71] Il suo impiego forse sta superando quello dell’acetato di cellulosa, visti i suoi numerosi vantaggi. Ecco che oggigiorno solitamente è considerato il supporto di referenza per la siero-elettroforesi zonale. [71, 84, 85] Di conseguenza la siero-elettroforesi zonale su gel di agarosio solitamente rappresenta il metodo di riferimento per la separazione elettroforetica delle proteine sieriche. [69, 78]

Tra tutti i mezzi di supporto normalmente utilizzati nei laboratori clinici, quello in gel di agarosio è considerato capace di fornire i risultati più precisi. [82] Poiché l’uso clinico della siero-elettroforesi dipende anche dalla risoluzione raggiunta nella separazione elettroforetica delle proteine sieriche è chiaro il motivo per cui oggi tale mezzo di supporto è tanto impiegato. [80] Per comprenderne tutti i vantaggi è necessario prima conoscerne le caratteristiche.

Si tratta di un gel molto resistente, limpido e facile da preparare. [71, 80, 82, 69] Si ottiene tramite gelificazione colloidale di una soluzione allo 0,5-1% di agarosio. [71, 80, 85] L’agarosio è una delle due componenti, insieme all’agaropectina, in cui può essere frazionato l’agar, sostanza ottenuta dalle pareti cellulari delle alghe rosse. [188, 80]

Prima di arrivare all’impiego di agarosio, nel 1965 venne realizzato da Wieme un mezzo di supporto in agar raffreddato. [80] Si trattava tuttavia di un materiale poco idoneo allo scopo, infatti

presentava unità polisaccaridiche caricate negativamente che disturbavano la corsa elettroforetica delle proteine. [80]

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Ecco che l’agar fu frazionato nelle due suddette componenti, agaropectine e agarosio, e furono esplorate le caratteristiche di entrambi.. [80, 71] Era l’agarosio che presentava le qualità migliori. [80, 71]

Esso non possiede praticamente alcuna carica e ha un elevato contenuto idrico. [71] Ecco che con l’applicazione di un tampone Tris-barbitale, a pH 8,6, viene assicurata l’uniformità del campo elettrico durante la siero-elettroforesi. [84, 85, 165, 150, 78, 80, 71]

Le proteine sieriche durante l’azione della forza elettromotrice sono, rispetto all’acetato di cellulosa, molto più libere di muoversi perché non risentono di interferenze e la forza stessa è omogenea in tutto il supporto. [71, 80, 85]

In realtà esistono in commercio anche supporti in gel di agarosio che presentano elettroendosmosi. Sono utilizzati per particolari ricerche, come gli isoenzimi cardiaci. [71]

È chiaro quindi che la risoluzione elettroforetica del gel di agarosio è generalemnte superiore a quella dell’acetato di cellulosa. [71, 82, 8] E ciò provoca delle conseguenze anche nella

quantificazione delle varie frazioni proteiche: il gel di agarosio risulta molto più preciso, anche se, come indicato già in precedenza, le due tecniche forniscono praticamente le stesse informazioni diagnostiche. [82, 69]

Questa migliore risoluzione potrebbe essere legata anche al fatto che nella siero-elettroforesi zonale su gel di agarosio si possono utilizzare campioni di 2,5-3 µl. [71, 10 , 78, 69] Ciò consente

indubbiamente di avere una maggiore quantità di proteine sieriche che si distribuiscono nel

supporto. [71] Sicuramente su gel di agarosio è possibile distinguere con maggiore facilità la tipologia di gammopatia, poiché la precisione con cui si distribuiscono le γ-globuline è superiore rispetto all’acetato di cellulosa. [71, 85]

Infine come sopra indicato, il gel di agarosio risulta molto resistente e limpido, per cui non è necessario nessun trattamento chimico di chiarificazione prima di sottoporlo a lettura

fotodensitometrica. [71] Ciò invece costituisce un importante fattore di interferenza quando si

utilizzano supporti in acetato di cellulosa, perché può portare alla perdita di alcune proteine migrate. [8]

Con questo microambiente la maggior parte delle proteine sieriche migrano in direzione dell’anodo, fatta eccezione per alcune immunoglobuline. [80] I chilomicroni, gli immunocomplessi e i polimeri di fibrina invece solitamente restano nel punto di applicazione del campione, perché non riescono a diffondere nel supporto. [80]

Dopo la corsa elettroforetica le proteine sono fissate sul mezzo di supporto tramite sua essiccazione e sono colorate in maniera da renderle visibili. [85, 78, 71] A quel punto sul gel dovrebbero essere apprezzabili una serie di bande, ciascuna data da una o più tipi di proteine sieriche. L’intensità del colore di ciascuna banda dipende in primo luogo dalla quantità di proteine sieriche lì presenti, anche se tuttavia un po’ di influenza è data dalla loro affinità per il colorante. [84, 85, 165, 71, 78, 80] Una volta che il gel è stato pulito ed essiccato è possibile procedere con la valutazione visuale e fotodensitometrica di queste bande. [85, 71] La densitometria consente di quantificare proprio le proteine presenti in ciascuna banda. Infatti l’apparecchio densitometrico è capace di elaborare un tracciato in base al grado di trasmissione della luce attraverso il mezzo di supporto. [165, 84, 85, 71] In particolare più le bande sono intensamente colorate più la trasmissione della luce è ridotta. [165] Ciò viene tradotto nel tracciato con un picco di una certa altezza. [165] L’area sotto ogni picco

rappresenta la quantità relativa delle proteine lì presenti. [165] Alcuni densitometri sono provvisti di software che calcolano automaticamente la quantità assoluta di ciascuna frazione moltiplicando la suddetta quantità relativa per le proteine totali sieriche. [78, 84, 85, 71] E’ assolutamente

importante però interpretare i risultati della fotodensitometria integrandoli con le informazioni provenienti dalla esaminazione visiva del tracciato elettroforetico. [84, 82]

Il numero di picchi che la macchina rappresenta nel grafico è dipendente dal numero di bande presenti nel tracciato. [165]

Come già ampiamente discusso il numero delle bande dipende dalla mobilità elettroforetica delle proteine sieriche di un certo soggetto in una data specie e questa a sua volta dipende dalle proprietà

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fisico-chimiche delle singole proteine, nonché dal metodo elettroforetico impiegato. [115, 35, 78, 80, 181, 188, 122, 84, 85, 90]

Al di là del fatto che le proprietà fisico-chimiche di ciascuna proteina variano sensibilmente da specie a specie, è chiaro che la siero-elettroforesi zonale su gel di agarosio, avendo una così elevata

risoluzione, può fornire tracciati dove si possono distinguere più frazioni proteiche. [80, 181, 69, 90, 115, 122, 188]

Diversi Autori negli anni hanno cercato di individuare tutte queste frazioni. [11, 10, 89, 90, 115, 35] In generale è possibile affermare che con la siero-elettroforesi zonale su gel di agarosio si possono ottenere da 7 a 10 frazioni proteiche diverse in cavallo, ruminanti e cane. [90] Mentre 10 frazioni proteiche si ottengono nel gatto. [11, 10, 89] Nei piccoli ruminanti sembra che si ottengano solo 4 frazioni proteiche diverse. [84] Però in alcuni casi può diventare difficoltoso quantificare

singolarmente le varie frazioni identificate, a causa del loro numero elevato. [84] A maggior ragione il protidogramma deve essere sempre analizzato visivamente dopo la lettura fotodensitometrica e