Tra i metodi di laboratorio disponibili per la separazione delle proteine presenti in un certo fluido l’elettroforesi rappresenta quello per eccellenza, utilizzato ampiamente nella chimica clinica perché ben definito e versatile. [78, 181, 84, 85, 165, 150]
Se il fluido in questione è siero si parla di siero-elettroforesi, SPE. [181, 84, 85, 165] La siero- elettroforesi rappresenta il metodo di scelta nonché di referenza per la separazione analitica delle proteine sieriche. [78, 181, 84, 85, 165, 150] In particolare risulta un metodo utile per esaminare le varie frazioni globuliniche presenti a livello sierico. [181] Eventualmente anche il plasma può essere sottoposto a questo metodo, tuttavia la presenza del fibrinogeno rende molto più complessa
l’interpretazione dei risultati. [85]
I primi studi sul frazionamento delle proteine plasmatiche o sieriche all’interno di un campo elettrico risalgono al 1937 con Tiselius. [80, 85] Da quel momento si sono susseguiti nel tempo molte
modificazioni del metodo di base. [85, 80, 78] In principio la separazione veniva praticata
direttamente in una soluzione, si parlava così di siero-elettroforesi “libera”. [85] Poi più avanti negli anni cominciarono ad essere utilizzati materiali di supporto di varia natura. [85, 80, 181, 69, 82] A quel punto la separazione delle proteine avveniva nella matrice del materiale di supporto dove veniva creato l’opportuno campo elettrico. [85, 84, 80] Si parlava così di siero-elettroforesi zonale. [84, 85, 165, 80, 181, 69, 78]
La siero-elettroforesi zonale verso la metà del ventesimo secolo subì un forte sviluppo in quanto l’impiego di questi supporti garantiva la riduzione delle interferenze e la riproducibilità dei risultati. [85, 80, 71] Ecco che in questo contesto si è sviluppata la siero-elettroforesi zonale comunemente conosciuta oggigiorno. [85, 80, 71]
Si tratta di un metodo di laboratorio che consente la separazione delle proteine sieriche o
plasmatiche a livello di un certo supporto grazie all’azione di un campo elettrico opportunamente creatovi. [181, 71]
In poche parole a livello di questo supporto si viene a creare un determinato microambiente che rende possibile un certo tipo di separazione delle proteine presenti nel campione. [80, 181, 84, 85, 165, 71] Inoltre il supporto fa da mezzo anticonvettivo. [71]
A seconda della tipologia del materiale di supporto si distinguono differenti metodi di siero- elettroforesi zonale. [85, 84, 71]
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Alla fine però si ottiene sempre un tracciato detto protidogramma o elettroforetogramma. [71, 80, 181, 84, 85, 165, 150] Questo risulta costituito da una serie di bande tra loro parallele, che rappresentano le varie frazioni proteiche presenti nel campione. [71, 80, 181, 188, 122, 84, 85] Ciascuna banda può essere costituita da un singolo tipo di proteina o da tipi diversi di proteine. [188, 122, 80, 181, 165]
L’analisi delle singole bande mediante ispezione visiva e fotodensitometrica fornisce un supporto diagnostico notevole, poiché mostra il quadro delle proteine più importanti coinvolte in processi fisiologici e patologici. [78]
Il supporto impiegato ha una diretta conseguenza sulla separazione ottenuta durante la corsa elettroforetica. [85, 80, 71] I primi supporti erano di carta, poi comparirono verso la metà del 1900 quelli in acetato di cellulosa, AC. [85, 71] Successivamente verso la fine del 1900 si sono diffusi supporti in gel di agarosio o di agar, AG. [85, 80, 71] Oggi vengono anche impiegati supporti in gel di poliacrilamide, però più che altro per indagini di laboratorio molto approfondite e di ricerca. [84, 85, 165]
Negli ultimi anni tuttavia è stata registrata una controtendenza. Cioè è rinato l’interesse per l’elettroforesi priva di mezzo di supporto. [85] In realtà si è sviluppata una nuova tipologia di siero- elettroforesi che prevede la creazione di un campo elettrico, anziché a livello di un certo substrato, all’interno di una colonna capillare con un foro molto stretto. [85, 69] Si parla di siero-elettroforesi zonale capillare, CZE. [69, 85]
Essa sembra fornire una più rapida e riproducibile analisi di singoli campioni ma tuttavia necessita di una attrezzatura molto più specializzata. [85, 69]
Più avanti saranno descritte nel dettaglio le diverse tipologie di tecniche elettroforetiche, ma prima risulta opportuno comprendere bene i principi su cui si basa l’elettroforesi.
A questo proposito è fondamentale avere chiarezza sulle basilari nozioni fisico-chimiche delle proteine riportate nel capitolo 2.
Le proteine poiché costituite da aminoacidi sono molecole anfotere, cioè si comportano da acidi o da basi a seconda delle circostanze in cui si trovano. [117, 182] In particolare tutto dipende dal pH dell’ambiente in cui si trovano, rispetto al loro punto isoelettrico. Le maggior parte delle proteine plasmatiche presentano un punto isoelettrico tale per cui a pH alcalino, come quello ematico, si comportano da acidi e si caricano negativamente. [182, 117] Le proteine poi sono molecole, dotate di una certa massa molecolare e di certe dimensioni. [117, 182] Ecco che a seconda delle circostanze le proteine possono acquisire una certa carica e se esposte ad un determinato campo elettrico tendono a muoversi nella direzione della carica opposta, che nel caso della maggior parte delle proteine
plasmatiche è quella positiva (anodo). [80, 71, 84, 85, 165, 181, 150]
È chiaro che se l’elettroforesi è condotta su un supporto il movimento delle proteine può essere diverso a seconda della tipologia di materiale impiegato: infatti il materiale può presentare pori così piccoli da consentire il passaggio solo di molecole di ridotte dimensioni oppure può presentare una carica che interferisce con quella del campo elettrico opportunamente creato. [71, 84, 85, 165, 188, 181, 80] Addirittura esistono metodi dove il supporto è organizzato in modo tale che durante la corsa elettroforetica le proteine incontrino aree con pH leggermente diverso. Ciò fa si che con il variare del sito varia anche la carica netta delle molecole e se incontrano un ambiente dove il pH è pari al punto isoelettrico la loro carica si annulla e tali molecole cessano di muoversi. [84, 85, 10, 71]
L’intensità del campo elettrico è un altro importante elemento circa la mobilità elettroforetica delle proteine plasmatiche. [85, 71, 69] La differenza di potenziale può variare da metodo a metodo ed è sicuramente più elevata nelle tecniche dove le proteine devono attraversare supporti od aperture particolarmente impegnativi. [85, 69, 71]
Così pure è importante la durata della corsa elettroforetica, cioè l’arco di tempo lungo il quale viene mantenuta una determinata differenza di potenziale. [78, 80, 69, 10] Anche questa dipende dal metodo impiegato. [78, 80, 69, 10]
È chiaro che indipendentemente dalla durata e dalla intensità dell’applicazione della differenza di potenziale le proteine che presentano una carica neutra non sono soggette ad alcuna mobilità. Si
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tratta delle proteine che hanno raggiunto o che già si trovano in ambiente dove il pH è pari al loro punto isoelettrico. [85, 165, 150]
Poiché la struttura e le proprietà fisico-chimiche di ogni determinata proteina variano da individuo a individuo e da specie a specie è chiaro che ogni tipo di proteina sierica di un certo soggetto di una data specie ha una propria mobilità elettroforetica, influenzata anche dalle condizioni in cui viene posta. [117, 182, 84, 85, 150, 78, 69, 71, 10]
Al termine della corsa elettroforetica tutte le proteine presenti nel siero si sono distribuite
sull’eventuale supporto formando delle bande, dette bande elettroforetiche. [78, 80, 69, 71] Ciascuna banda corrisponde ad una frazione proteica, cioè all’insieme di tutte quelle proteine sieriche che presentano la medesima mobilità elettroforetica e quindi struttura e proprietà fisico-chimiche simili, in quelle circostanze. [78, 71, 84, 80]
La valutazione quantitativa e qualitativa di queste bande rappresentano l’utilità diagnostica della siero-elettroforesi. [150, 78, 71, 80, 84, 85]
A seconda del metodo, una volta che le proteine sono state separate, si procede con la lettura fotometrica o fotodensitometrica del tracciato ottenuto, che fornisce indicazioni circa la quantità relativa delle varie frazioni proteiche. [84, 85, 150, 71, 165] Queste quantità possono essere eventualmente tradotte in quantità assolute una volta determinate le proteine totali con uno dei suddetti metodi. [150, 84, 85]
Ogni metodo elettroforetico presenta delle limitazioni e delle interferenze, dipende ovviamente dal contesto in cui si realizza la corsa elettroforetica. [78, 80, 85] Chiaramente vi sono alcuni metodi preferiti rispetto ad altri. Però il fatto che un certo metodo sia preferito rispetto ad altri non indica necessariamente che sia più accurato, infatti spesso il metodo più utilizzato risponde ad un
compromesso tra accuratezza e praticità. [150]
Spesso la semplicità, la rapidità e il risparmio di tempo e denaro sono i fattori che guidano nella scelta di questi metodi. [150] Si ricorre invece a metodi molto più complessi ed accurati solo quando si vogliono effettuare studi molto più approfonditi oppure per scopi di ricerca. [85] Quest’ultimi sono spesso metodi molto costosi, impegnativi, poco riproducibili, necessitano di personale appositamente formato e non di rado forniscono una quantità di informazioni così elevata da risultare persino difficile poi da interpretare. [85] A questo proposito si ricorda che qualunque sia il metodo utilizzato nella siero-elettroforesi l’esperienza dell’operatore, come in molti altri esami di laboratorio, è fondamentale. [80] Infatti è sempre raccomandata la valutazione visuale del protidogramma, già prima di procedere alla lettura fotodensitometrica. [80, 84, 85, 150, 71]
Oggi giorno si sono sviluppati metodi di siero-elettroforesi che sfruttano l’immunologia: in questa maniera rispetto alla semplice separazione elettroforetica delle proteine sieriche su un certo supporto si ottengono anche ulteriori informazioni circa le singole proteine coinvolte nella migrazione. [10, 85, 84, 143, 80]
Qui di seguito sono descritte le principali tipologie di sieroelettroforesi.