• Non ci sono risultati.

Comparazioni Francia-Italia

I ‘MUTAZIONISTI’ POLY E BOURNAZEL

4. Comparazioni Francia-Italia

Al lettore italiano che già conosca le opere classiche di Bloch e di Boutruche gioverà correggere, di quelle opere, una certa sottovaluta- zione del potere regio40: le pagine di Poly e Bour nazel sono adeguate anche alla situazione italiana quando sottoline ano la diffusa «esigenza di regalità» che neppure i grandi princi pati territoriali francesi riusci- vano a esaudire41

Ma vediamo ora quali sono, in campo politico-istituzionale, le differenze del regno italico dalla Francia, e in particolare dalla Francia centro-meridionale. Nell’Italia postcarolingia non ci sono i principati territoriali42: non c’è la continuità, realizzata per via dinastica, delle

39 Ne parlano gli stessi Poly, Bournazel, Il mutamento cit., cap. I; per una rassegna di queste linee di interpretazione cfr. G.Tabacco, La dissoluzione medievale dello stato nella

recente storiografia, in »Studi medievali», 3a serie, I (1960), pp. 397-446. Per i castelli in

Italia e per il binomio protezione-do minio è fondamentale il libro di A.A. Settia, Castelli e

villaggi nell’Italia padana. Popolamento, potere e sicurezza fra IX e XIII secolo, Na poli 1984;

fa il punto della storiografia sull’argomento anche un convegno svoltosi nel vivo del dibat- tito sull’incastellamento di Pierre Toubert: Castrum 3: Guerre, fortification et habitat dans le

monde méditerranéen au moyen âge (Actes du Colloque de Madrid, 24-27 novembre 1985),

Madrid Rome 1988. Cfr. P. Toubert, Dalla terra ai castelli. Paesaggio, agricoltura e poteri

nell’Italia medievale, Torino 1995.

40 Tabacco, Marc Bloch e lo studio cit., p. XXVII; Arnaldi, Potere e monarchia cit., p. 372.

41 Poly, Bournazel, Il mutamento cit., cap. I.

42 Quelli ricostruiti nell’opera classica, in larga parte ancora attuale, di J. Dhondt, Études

configurazioni circoscrizionali carolinge, perché lo sminuzzamento è maggiore. E non solo non troviamo i principati territoriali, ma non ne troviamo neppure le protagoniste, le grandi famiglie pluricomitali.

Causa ed effetto di questa trasformazione è la mancanza di conti- nuità dinastica. Lo scenario signorile italiano ha un drastico ri cambio dei suoi attori: la documentazione testimonia di un «naufragio dina- stico»43 perché non ci consente di cogliere lignaggi che sopravvivano dal secolo IX al XII. Questo ricambio e questa mo bilità rendono im- possibile identificare significative stratifica zioni del ceto aristocratico, distinguendo grande e piccola no biltà. Ecco spiegato perché neanche più tardi, nell’età del feudo coordinante – quella davvero ben illustrata dal Mutamento feudale –, si può trovare nel regno italico (diversa è l’Ita- lia meridionale normanna) una ge rarchia di «feudi di signoria». Anche Poly e Bournazel negano quella gerarchia – appunto per i secoli IX e X a cui i manuali di scuola connettevano la loro «piramide feudale» – ma sono poi in grado di ritrovarla nei loro principati per un’età più tarda, come esito della «mutation féodale»: se pur come «immaginario» feudale, copertura formale di processi realizzatisi indipendentemente dalle fedeltà vassallatiche. In Italia ciò non è constatabile. Gli stru- menti feudali sono usati, e con efficacia non solo formale, proprio dai comuni cittadini: i soli costruttori, in Italia, di un modello territoriale paragonabile ai più antichi principati francesi44. Ma per trovare una gerarchia feudale occorre oltrepassare il secolo XIII, e arrivare agli stati regionali costruiti da signorie citta dine come quella dei Visconti: la loro abilità consiste nello sfrut tare la nuova cultura dei giuristi per sistemare, in un quadro ge rarchico-feudale formalizzato, la pluralità di forze che riescono a coordinare45.

Tornando alle aristocrazie dei secoli X e XI rileviamo che in Italia, nonostante siano asfittici gli istituti dell’avvocazia e della commen- da, per l’ affermazione signorile di una famiglia è in grediente quasi essenziale l’appoggio a chiese e monasteri. Formal mente ‘private’ o anche solo protette, le chiese sono spesso deter minanti come il pos- sesso fondiario e come l’intraprendenza militare nella costruzione di signorie territoriali46.

43 Cammarosano, Le strutture feudali cit., p. 864. 44 Sergi, L’idea di medioevo cit., p. 89 sgg.

45 Chittolini, La formazione dello stato regionale cit. e sopra, testo corrisp. alla n. 4 del cap. IV.

46 Chiesa e potere politico, a cura di G. Chittolini, G. Miccoli, Torino 1986 (Storia d’Italia, Annali, 9).

152 ANTIDOTI ALL’ABUSO DELLA STORIA

Differenze collegate e di egual rilievo si riscontrano in Italia sul piano territoriale. Si è già detto dell’assenza dei principati postcaro- lingi, per la mancata affermazione di dinastie pluricomi tali. Ma più in generale le affermazioni signorili prescindono dai quadri territoriali di origine pubblica: i confini circoscrizionali non fanno neppure da contenitore esterno della frammentazione, sono modificati47 o radical- mente ignorati. I potenti che più forniscono un inquadramento alle campagne sono i vescovi che – pur non es sendo, come un tempo si credeva, vescovi-conti48 – cercano di otte nere le loro immunità e le loro giurisdizioni signorili (districtus) su ambiti geografici corrispon- denti alle antiche circoscrizioni. Nel farlo preparano un orientamento dei comuni italiani. Questi, forti di una cultura giuridica duttile e agguerrita, assoggettano il contado richiamandosi all’antico potere cit- tadino del conte: della sofisticata rivendicazione della «comitatinanza» il Mutamento feudale – imperniato su esempi francesi – non fa cenno, perché è una vera peculiarità italiana49.

È certamente singolare questo recupero, tardo e formalistico, di quadri territoriali carolingi, in assenza della continuità di tipo francese. In Italia non c’è l’ affermazione dinastico-signorile su grandi comitati o su piccole vicarie o distretti di castello. Si pensi al peso di questa differenza per le questioni fin qui poste: sia nei tentativi dinastici degli ufficiali regi, sia nelle nuove affermazioni signorili, la topografia dei possessi fondiari ha una funzione decisiva, là dove ne ha, o ne ha ben poca, la tradizionale area d’esercizio del potere pubblico. Del resto la speciale cultura giuridica italiana – spesso ricordata dagli studiosi stranieri come caratteristica della nostra storia – ebbe un’efficacia non tanto di conservazione, quanto di spregiudicata copertura di tutte le «hardiesses» dell’empirismo politico50: la trasmissione allodiale del potere è contemplata con naturalezza dalle consuetudini mila nesi del primo Duecento, che aggiungono alla «iurisdictio» normale una «iu-

47 Sergi, I confini del potere cit.; questa tendenza a prescindere dai confini circoscrizio- nali si riscontra anche in Francia secondo P. Feuchère, Essai sur l’évolution territoriale des

principautés françaises, in «Le moyen âge», 58 (1952), pp. 85-117.

48 Sopra, n. 39 del cap. II; il contributo fondante in questo senso è di E. Dupré The- seider, Vescovi e città nell’Italia precomunale, in Vescovi e diocesi in Italia nel medioevo (sec.

IX-XIII), Padova 1964, pp. 55-110

49 G. de Vergottini, I presupposti storici del rapporto di comitatinanza e la diplomatica co-

munale con particolare riguardo al territorio senese, in «Bullettino senese di storia patria», s.

3a, XII (1953), pp. 8 sgg.

50 G. Tabacco, Alleu et fief considérés au niveau politique dans le royaume d’Italie (Xe-XIIe

risdictio extra ordinem», egualmente valida, che poteva es sere stata acquisita «per emptionem», per acquisto anziché per inve stitura im- periale.

Fra le differenze italiane, una merita di essere ricordata per ché avvicina il regno italico alla Francia settentrionale più che a quella me- ridionale valorizzata da Poly e Bournazel. Nella Francia meridionale la legge personale – risultante dalle dichiarazioni di legge franco-salica, o burgunda, o romana o altre dei contraenti un negozio giuridico – tende a svincolarsi dallo status etnico e a dipendere soltanto dalla colloca- zione territoriale51. In Italia no: per lungo tempo possiamo ancora

distinguere le famiglie che vogliono definirsi romane dalle longobarde, dalle franche e dalle alamanne. Questa è una differenza di cui pren- dere atto senza mettere in dubbio le conclusioni di Poly e Bournazel sulle loro zone. Bene fanno questi autori, confortati dalle ricerche di Karl Ferdinand Werner, a negare una significativa connotazione etnica dei grandi principati territoriali francesi. Ricerche successive alla loro, di Patrick Geary, rilevano addirittura l’uso spregiudicato di strategie onomastiche (il naming) da parte di famiglie miste, gallo-romane e franche, per dare ai figli non solo i nomi, ma anche il prestigio di entrambe le tradizioni etniche52.

Oltre alle peculiarità italiane ci sono poi le accentuazioni di ricerca suggerite dalla diversità del contesto. Il mondo comunale, in primo luogo, e la cultura politica, giuridica e retorica che in esso si sviluppa. È un terreno ideale per ricerche a cui la medie vistica francese è molto sensibile: penso alla gestualità dei ceti eminenti, già opportunamente ricordata in questo volume, sulla quale dopo il 1980 sono stati con- seguiti ulteriori risultati53. Nelle raf finate palestre politiche dell’Italia comunale al gesto si affianca l’ uso mirato della retorica: la parola, elemento della vita sociale che sta meritando studi aggiornati, è fon- damentale per il podestà cittadino – che non deve solo essere esperto

51 Poly, Bournazel, Il mutamento cit., capitolo VII della terza parte.

52 K.F. Werner, Structures politiques du monde franc (VIe-XIIe siècles), Lon don 1979 e P. Geary, Aristocracy in Provence. The Rhône Basin at the Dawn of the Carolingian Age, Stuttgart 1985. La medievistica tedesca, sempre proli fica in questo settore, ha prodotto due opere ricche di informa zione di base: la raccolta di saggi di E. Hlawitschka, Vom Franken Reich

zur Formierung der europäischen Staaten-und Völkergemeinschaft. 840-1046, Darms tadt 1986

e la ricerca sistematica di B. Schneidemüller, Nomen Patriae. Die Entstehung Frankreichs in

der politisch-geographischen Terminologie (10.-13. Jahrhundert), Sigmaringen 1987. Ma cfr.

anche qui, oltre, parte terza, cap. I.

53 J.-C. Schmitt, La morale des gestes, in Parure, pudeur, étiquette, Paris 1987 (= «Com- munications», 46, 1987), pp. 31-47; Id., Il gesto nel medioevo cit.

154 ANTIDOTI ALL’ABUSO DELLA STORIA

di diritto, ma anche di parole e di gesti – il primo professionista della politica in senso moderno 54.

Le pagine dedicate da Poly e Bournazel alla riforma ecclesiastica del secolo XI55 sono ‘non italiane’ nell’angolazione particolare, incon-

sueta per l’Italia, attraverso cui i problemi sono affrontati. Il fermento di quegli anni è osser vato attraverso i movimenti ereticali e attraver- so l’intraprendenza monastica di Cluny, con una riduzione drastica dello spazio dedi cato al conflitto romano-imperiale56. Delle eresie si dà la lettura più francese, quella di Carozzi e Taviani che valorizza le inquietu dini di intellettuali di formazione carolingia di bassa estrazione sociale57. I condizionamenti e l’attrezzatura mentale intro dotti nella

società dalla cultura dei chierici sono messi in luce dai due autori con insistita convinzione: ciò li assegna alla linea interpretativa rap- presentata in Italia da Ta bacco più che agli orientamenti tiepidi verso l’importanza degli intellettuali che non pratichino professionalmente la loro attività 58.

I cenni dedicati all’economia e all’insediamento rurale nel capitolo VIII (marginali perché è un altro volume della «Nouvelle Clio» ad avere questo specifico compito), muovono dai solidi risultati di uno dei più rigogliosi filoni di ricerca della seconda metà del Novecento: emerge quel mondo vivace e mobile, ben poco definibile come eco- nomia «chiusa» e «naturale», magistralmente illustrato da Toubert e nell’ Economia rurale di Duby, che solo in anni successivi vi ha ap- plicato lo schema, forse un po’ costrittivo, del «modo di produzione

54 Fondamentale sulla funzione sociale della parola è oggi C. Casagrande, S. Vecchio,

I peccati di lingua. Disciplina ed etica della parola nella cultura medievale, Roma 1987; per

le connessioni tra parola, gesto e politica comu nale E. Artifoni, I podestà professionali e la

fondazione retorica della po litica comunale, in «Quaderni storici», 63 (dicembre 1986), pp.

687-719; M. Miglio, Parola e gesto nella società comunale, in Ceti sociali e ambienti urbani

nel teatro religioso europeo del ‘300 e del ‘400, Viterbo 1986, pp. 41-58.

55 Poly, Bournazel, Il mutamento cit., cap. V della parte seconda.

56 G. Miccoli, La storia re ligiosa, in Storia d’Italia, II: Dalla caduta dell’Impero romano al

secolo XVIII,, Torino 1974, pp. 431-1079; C. Violante, Studi sulla cristianità medievale. Società, istituzioni, spiritualità, Milano 1975; O. Capitani, Sto ria dell’Italia medievale, Roma-

Bari 1986, pp. 277-360; G. Cantarella, Il sole e la luna. La rivoluzione di Gregorio VII

papa. 1073-1085, Roma Bari 2005; E. Artifoni, Vescovi e monaci: le élites religiose cristiane,

in Storia dell’Europa e del Mediterraneo cit., IX: Strutture cit., pp. 323-362; N. D’Acunto,

L’età dell’obbedienza. Papato, Impero e poteri locali nel secolo XI, Napoli 2007.

57 C. Carozzi, H. Taviani-Carozzi, La fin des temps, Paris 1982; cfr. G. G. Merlo, Contro

gli eretici. La coercizione all’ortodossia prima dell’Inquisizione, Bologna 1996; B. Garofani, Le eresie medievali, Roma 2008.

58 G. Tabacco, Gli intellettuali del medioevo nel giuoco delle istituzioni e delle preponderanze

sociali, in Intellettuali e potere, a cura di C. Vivanti, Torino 1981 (Storia d’Italia, Annali,

signorile»59. Uno schema, o forse soltanto una terminologia, che Poly e Bournazel adottano, mettendo per altro in guardia dal confonderlo con il «modo di produ zione feudale» della più tradizionale storiografia marxista, accu sata di non riuscire – per veri limiti interpretativi – a chia rirsi la distinzione, fondamentale, fra signore fondiario e signore territoriale di banno60. Recenti ricerche innovative di poco precedenti il loro lavoro sono ben pre senti a Poly e Bournazel: in particola- re quelle che hanno messo in crisi la centralità dei progressi tecnici (staffa, aratro a ver soio, nuove rotazioni di coltura) per lo sviluppo economico dei se coli XI e XII. Altre sono ancora successive e sono rimaste fuori: quelle sull’alimentazione e sulle condizioni materiali di vita, che ci presentano un contadino altomedievale meno affamato di quanto fino a qualche anno fa si credeva, e che rompono utilmente lo schema evolutivo per cui il basso medioevo doveva necessariamente contenere condizioni di vita migliori rispetto ai secoli precedenti61. In Ita lia il dibattito sugli insediamenti agrari ha un’accezione partico- lare, perché è ancora viva la discussione fra chi ritiene che il mo dello curtense sia stato importato solo dai Franchi (Fumagalli) e chi vede in esso una tendenza, largamente diffusa in Europa, a cui non era estranea l’esperienza antica della villa romana (Toubert)62.

Molte pagine della Mutation féodale non sembrano pensate per una sin tesi, ma sembrano emergere dall’interno di una medievistica vivacissima, in riuscito colloquio con gli sviluppi storiografici di altri paesi. Troviamo ancora Bloch rivisitato63 – e forse anche depurato

da un certo suo «razionalismo» d’approccio, simpatico ma antropolo- gicamente imperfetto – nelle pagine sull’adenite tubercolare, sui setti- mi figli, sulle guarigioni miracolose64. Troviamo65 una ripresa dei temi

cari a Bernard Guenée quando si illustra, della dinastia capetingia, 59 Toubert, Dalla terra ai castelli cit., pp. 115-244; Duby, L’economia rurale cit., p. 99 sgg.; per il modo di produzione signorile Id., Lo specchio del feudalesimo. Sacerdoti, guerrieri

e lavoratori, Roma Bari 1998.

60 Poly, Bournazel, Il mutamento cit., p. 370.

61 M. Montanari, L’alimentazione contadina nell’alto medioevo, Napoli 1979 e Id., Alimen-

tazione e cultura nel medioevo, Roma Bari 1988.

62 V. Fumagalli, Terra e società nell’Italia padana. I secoli IX e X, Torino 1976 (posizioni esposte in modo circostanziato da due suoi scolari, B. Andreolli, M. Montanari, L’azienda

curtense in Italia. Proprietà della terra e lavoro contadino nei secoli VIII-XI, Bologna 1983);

Toubert, Dalla terra ai castelli cit., pp. 115-244. 63 Poly, Bournazel, Il mutamento cit., cap. X.

64 Sono temi su cui la ricerca è in costante evoluzione: cfr. ad esempio J.-C. Schmitt,

Religione, folklore e società nell’Occidente medievale, trad. it. Roma Bari 1988.

156 ANTIDOTI ALL’ABUSO DELLA STORIA

la volontà di richiamarsi a un modello forzato e inesi stente di corte carolingia: un episodio di quella «invenzione della tradizione» il cui studio (dall’antichità classica all’antico regime) ha avuto una partico- lare espansione anche per il medioevo dagli anni Ottanta in poi 66. I temi della menta lità, dell’imaginaire sono scelti fra quelli di indi- scusso rilievo per la storia sociale. L’esuberanza della ricerca francese in questo settore e in quello della vita quotidiana67 potrebbe già far aggiun gere vari titoli alla bibliografia – monumentali opere sulla vita privata sono testimonianza di quell’operosità68 – ma ci si può limi tare a temi specificamente trattati da Poly e Bournazel su cui si possono aggiungere nuove letture, nel frattempo divenute già classiche: sul- l’ingresso, tramite la letteratura cortese, del vocabolario feu dale nel mondo amoroso69 e sulla genesi e le persistenze del mito di Melusina, la donna-serpente70.