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Precomprensione e didattica della storia

INTERPRETAZIONE, PRECOMPRENSIONE E VALORI NELL’ANALISI STORICA

1. Precomprensione e didattica della storia

Negli anni Settanta del secolo scorso, tradurre in termini formalizzati gli abbondanti e contraddittori elementi di una impegnata didattica sperimentale nel settore della storia medievale significò, per alcuni docenti dell’Università di Torino, affrontare senza equivoci i condi- zionamenti culturali che presiedono all’apprendimento della storia e le motivazioni (politico-ideologiche, ma anche psicologiche) che pos- sono trovarsi radicate nell’insegnamento della storia1. Era una ricerca

che muoveva da urgenze operative, sbrigativa forse nei confronti di quelle perplessità a tendenza abolizionista che si andavano adden- sando sull’insegnamento della storia e di cui l’acuto e provocatorio atto di conversione di Chesneaux era simbolo2. Faceva, e fa, da gui-

da la semplice constatazione che nella nostra società la storia esiste come componente culturale istituzionalizzata. Esiste soprattutto nella scuola, ma ha gran peso anche nell’editoria, nel giornalismo, nelle sempre più capillari iniziative culturali degli enti locali. Ciò può ba- stare a indurre – sia per antipatia verso l’attività intellettuale consunta in interminabili ‘premesse’ sia per gusto della provocazione – a non domandarsi neppure perché si fa storia e a domandarsi piuttosto come 1 G. G. Merlo, G. Sergi, Medioevo e didattica alternativa: sperimentazione seminariale a

Torino, in «Quaderni medievali», 2 (dic. 1976); Id., Esperienze seminariali nella didattica della storia, in Didattica e professioni nelle facolta umanistiche, a cura di G. Galli, Macerata 1978;

G. G. Merlo, G. Sergi, Ricerca e didattica della storia, nell’ Universita di massa, in «Quaderni medievali », 6 (dic. 1978). È da considerare inoltre che il capitolo successivo a questo nasce da un intervento nel Convegno di S. Margherita Ligure dell’Associazione dei Medioevalisti italiani (24-26 maggio 1978), dal titolo II medioevo oggi, Bologna 1982, pp. 165-171.

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intervenire su quella componente culturale, quali correttivi imporle e quali funzioni riconoscerle3.

Accentuare fino al limite della rottura con la divulgazione il rap- porto ricerca-insegnamento, insistere sul rigore tecnico-filologico dei lavori svolti non significava percorrere i terreni illusori dell’oggettività facilmente perseguibile e della neutralità dei processi di insegnamen- to e di apprendimento. Ciò ha reso necessari chiarimenti su diverse forme di idiocentrismo identificabili nella domanda sociale di storia, nella scuola media e superiore, nell’università. Ha implicato un’espli- citazione e una definizione degli usi automatici di cultura da parte di tutti i partecipanti a un seminario. Era indispensabile cioè non ignorare gli elementi di precomprensione attivi nell’operazione didat- tica, svelandone il più possibile i valori: in linea di massima i ‘valori bassi’ della cultura corrente nel caso dei discenti e i ‘valori alti’ dei sistemi di riferimento nel caso dei docenti. Si cominciò a introdurre, all’inizio di seminari anche molto specifici, una fase di esplicitazione di frammenti di cultura per lo più inconsapevole, costruendo una ti- pologia. Da questa esperienza è risultato evidente che non c’è un solo ‘senso comune storiografico’4 ma più d’uno. Lo studente, simbolo di

una quota di cultura corrente, si sente molto diverso dal passato che studia se in lui è prevalso il meccanismo psicologico del distanziamen- to: ma la constatazione della diversità può alimentare il mito di un irreversibile progresso oppure puo generare – secondo una tendenza particolarmente viva proprio negli anni delle sperimentazioni di cui ci occupiamo – nostalgie per aspetti di vita sociale passati e ‘perduti’. Se invece nello studente è prevalso il meccanismo psicologico dell’assimi- lazione egli tende a selezionare del passato elementi confrontabili con la sua esperienza, con qualche propensione a osservare con scetticismo ‘un mondo che non cambia mai’.

Per oltre un decennio, dal 1972 al 19855, una parte della didattica

da me condotta in ambito medievistico cercò di portare allo scoperto 3 J. Le Goff, Una vita per la storia. Intervista con Marc Heurgon, Roma Bari 1997, pp. 223-245; D. E. Sutton, Memories Cast in Stone. The Relevance of the Past in Everyday Life, Oxford 1998.

4 Cfr. E. Grendi, Del senso comune storiografico, in «Quaderni storici», 41 (agosto 1979) e gli altri interventi del dibattito, nei fascicoli successivi della medesima rivista.

5 È un’attività che sarebbe continuata, se non ci fosse stato il cambio di numero di iscritti (dai circa 150 di Istituzioni medievali ai quasi 400 di Storia medievale), e se non si fosse via via constatata una preferenza degli studenti per le meno impegnative lezioni ‘frontali’ (su quest’ultimo e altri aspetti della nuova università M. Ferraris, Una ikea di università.

i temi ora accennati, aggiungendo questa operazione alla più consueta presentazione delle tendenze recenti della storiografia, delle sue scelte di metodo e dei suoi orientamenti ideologici. In ogni seminario per circa un mese e mezzo la ‘pre-comprensione’ e i ‘valori’ erano protago- nisti dell’operazione didattica, non per esorcizzarli, ma per esplicitarii e per tararli: quella fase ben si prestava a contenere incontri dedicati al problema del linguaggio o impegnati in operazioni imprescindibili di critica delle fonti. Ma per trovare materiale utile al tema qui af- frontato occorre risalire agli anni precedenti, quando quella fase di analisi e di esplicitazione mancava, ma si andava preparando attraverso un ordinato accumulo di dati su studenti forse ancora oggetto più che soggetto di sperimentazione. Nell’anno accademico 1969-1970 proposi all’attenzione di un seminario di undici studenti due testi dei secoli XI-XII, la Chronica monasterii Sancti Michaelis Clusini e la Vita Benedicti abbatis Clusensis, costituenti il corpo più antico della produ- zione storiografica ufficiale di un famoso monastero6. Gli studenti,

in quel caso, ricevettero solo informazioni di tecnica di schedatura con qualche indicazione sommaria sulle caratteristiche di fonti come le cronache monastiche e i testi agiografici: ognuno, separatamente, intraprese poi una schedatura cosiddetta ‘a tappeto’. Poiché mi stavo preparando all’operazione che ora qui illustro, prima di conoscere i risultati della schedatura di ognuno (la schedatura del seminario risultò ricca solo sommando le schede, parziali e fortemente differenziate, dei singoli studenti), selezionai dai testi sei notizie che fossero di partico- lare evidenza ma che si prestassero altresì a valutazioni eventualmente difformi, per analizzare in modo specifico la presenza di quelle notizie nella schedatura di ciascuno e per discuterne le possibilita d’uso nel se minario.

Presento qui in schema le sei notizie, parafrasandone il contenu- to:

1) l’insediamento monastico aveva reso fertile un territorio prima incolto e inospitale;

2) i monaci offrivano ai pellegrini di rango un’ospitalità presti- giosa, imbandendo pranzi raffinati e garantendo il cambio dei cavalli;

6 I due testi sono editi nei volumi XII e XXX degli Scriptores dei Monumenta Germaniae

Historica. Essi erano stati da poco oggetto della mia tesi laurea e dei successivi appro-

fondimenti: G. Sergi, La produzione storiografica di S. Michele della Chiusa, in « Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medioevo », LXXXI (1969), pp. 115-172 e LXXXII (1970), pp. 173-242.

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3) l’abate era particolarmente impegnato ad aiutare i poveri, le vedove, gli orfani;

4) il vescovo di Torino attentava all’autonomia del monastero ed era avido e ingiusto;

5) il fondatore, un aristocratico alverniate, aveva acquistato la terra per fondare l’abbazia;

6) il monastero aveva una ricca e rinomata biblioteca.

Prima della discussione approfondita sulla schedatura intera e sui testi nel loro complesso, fu facile constatare le diverse sensibilità dei singoli studenti di fronte a queste sei notizie. Un gruppo di tre studenti (definiamolo A) aveva registrato solo le notizie, 1, 3 e 6: nella discussione emerse che quest’ultima – quella sulla biblioteca – non li aveva affatto stupiti ed era stata considerata ovvia, date le loro in formazioni liceali sui monasteri come centri di cultura. Un altro gruppo di sei studenti (B) aveva registrato le notizie 1, 4, 5: risultò che la notizia 1 era fortemente interpretata e commentata da quegli studenti (l’impegno di dissodamento era letto come aspetto dell’economia signorile) e che nella notizia 5 tre di loro trovavano la conferma che gli ambienti religiosi sin dall’inizio avevano avuto rapporti privilegiati con i ‘ricchi’. Un terzo, piccolo gruppo (C), di due studenti, aveva registrato le notizie 3, 4, 6 e la prima (quella sull’attività assistenziale dell’abate) era stata selezionata per presentarla come sicuramente ‘falsa’.

In sede di discussione, dopo essermi informato – senza difficoltà data la buona confidenza e gli anni in cui ancora non si parlava di ‘dati sensibili’ – sui loro orientamenti ideologici, svelai ovviamente l’operazione e in primo luogo feci alcune considerazioni di carattere complessivo, che tornano utili anche in questa sede. Della notizia 1 non si era colto un elemento centrale, quell’equazione « ricchezza=pre- stigio=disciplina » normale per un medievista ma che risulta estranea a chi del movimento monastico abbia conoscenze scolastiche super- ficiali, inclini a sopravvalutarne l’aspetto pauperistico. Non a caso infatti la notizia 2 (l’ospitalità lussuosa) era addirittura stata ignorata. La notizia 5 era stata registrata da alcuni, ma fraintesa: nessuno aveva pensato che il rilievo dato a quell’acquisto dipendesse dalla volontà del cronista di dar peso all’autonomia del monastero. La no tizia 6 era stata sostanzialmente sottovalutata, giudicata troppo normale. Sicuramente ero stato eccessivamente parco di pre ventive informazioni d’inqua- dramento, e ciò non consegnava di certo all’operazione conoscitiva menti sgombre, ma dava peso a una serie di valori legati all’ideologia

o connessi a un approssimativo recupero di ricordi scolastici. Non fu poi difficile constatare che ognuno dei tre gruppi era nettameate definibile dal punto di vista ideologico: il gruppo A era composto da cattolici, di cui due normalmente praticanti e uno militante in un’organizzazione giovanile; il gruppo B, abbastanza eterogeneo per livello culturale, era composto da sei studenti che si dichiaravano tutti genericamente marxisti; il piccolo gruppo C era di laici non marxisti e uno dei due stu denti si dichiarava anticlericale. Se si rileggono le scelte alla luce di quest’ultima classificazione, appaiono condizionate da una precomprensione fin troppo vistosa e informate a valori di semplicissima reperibilità nella cultura corrente. Qualche anno dopo, rileggendo gli appunti di quella discussione, rilevai che se si cercava di incasellare le risposte nelle due categorie del distanziamento e dell’as- similazione sopra ricordate, le carte si rimescolavano completamente e i gruppi non potevano mantenere la loro composizione. Erano asse- gnabili al meccanismo del distanziamento alcune osservazioni relative alla notizia 3 («per fortuna oggi all’assistenza sociale non devono pen- sare solo gli abati»), alla notizia 4 («gli ecclesiastici oggi hanno meno importanza, ma vanno tutti d’accordo») e in generale alla situazione complessiva («è positivo che oggi la vita di un’intera zona non debba dipendere dalle de cisioni di un abate»): tutte ispirate a fiducia nel progresso, anche se di matrice ideologica diversa. Erano assegnabili al meccanismo dell’assimilazione alcune banali osservazioni sulle notizie 1, 2, 3 («i preti sono ricchi e hanno molte terre, come sempre ») e sulle notizie 3, 6 («per fortuna nel mondo ci sono sempre i religiosi a fare interventi disinteressati»).

Risultò evidente che far condurre un’operazione di schedatura senza un’adeguata preparazione di esegesi, senza una ricca informa- zione di base, senza letture specifiche, dava luogo a uno scatenarsi di considerazioni extra-storiche e a un uso carente della fonte, verso cui lo studente assumeva un atteggiamento acritico o, al contrario, troppo globalmente negativo. Sarebbero certamente stati più utili i condizionamenti della letteratura sull’argomento. In compenso mi era stato posto, e in modo vistoso, il problema dei valori.

Il peso nell’interpretazione di quelli, fra i valori, più strettamente connessi con schieramenti politico-ideologici non era certamente una scoperta di quel seminario, che si limitò a metterli in rilievo e a classifi- carne alcuni. Tra i valori d’approccio alla documentazione storica sono certamente quelli più costantemente condizionanti ed efficaci. Non a caso Mario Del Treppo, cercando di individuare le linee principali a

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cui è informato l’insegnamento della storia nelle scuole7, ha identifi-

cato tre orientamenti: il personalismo comunitario di tradizione cri- stiana; un humus culturale che coinciderebbe con una composita area marxista, storicista, liberaldemocratica e laica; il formalismo logico- epistemologico di derivazione anglosassone (interessato, quest’ultimo, solo alle implicazioni didattiche dei procedimenti conoscitivi propri delle scienze storiche). Se questi sono valori vivi nell’insegnamento della storia in sede pre-universitaria, valori analoghi, anche se diversamente classificabili, sono presenti nei procedimenti di ricerca storica. Classifi- cazione ulteriore, operata da Giovanni Tabacco8, è quella che collega

a diversi orientamenti ideologici diverse visioni totalizzanti di un’età discussa, il medioevo: l’integralismo religioso, che conduce a ritenere componente egemonica del medioevo la Christianitas occidentale; il progressismo sociale, evidentemente di orientamento marxista, che conduce a occuparsi del medioevo essenzialmente come età del ‘modo feudale di produzione’; il conservatorismo laico ed elitario che conduce ad assolutizzare il peso e la funzione della nobiltà carismatica di tradi- zione germanica; lo spontaneismo pluralistico, caro a generazioni più recenti di studiosi, che conduce a un’attenzione pressoché esclusiva per la proliferazione semianarchica delle autonomie locali, signorili e comunali. In questi diversi orientamenti di ricerca è evidente che il consapevole e l’inconsapevole si mescolano. L’esperienza individuale induce lo studioso a operare una selezione di oggetti d’interesse del passato e a stabilire gerarchie di rilevanza fra gli oggetti selezionati. È frequente che questi meccanismi di precomprensione siano esplicitati e organizzati in veri e propri sistemi di riferimento: è certamente il caso di almeno tre su quattro dei filoni individuati da Tabacco.