UN IMPERO SPERIMENTALE NEL MEDIOEVO DEI LOCALISM
6. Il regime signorile nelle città: vescovi e comuni di fronte all’impero
In Italia il principato territoriale di solito non c’è (fanno eccezione, alla periferia del re gno, il patriarcato del Friuli e le grandi costruzioni dinastiche piemontesi32) ed è sostituito dal comune, che in Italia non
si accontenta dell’autonomia ma instaura un controllo egemonico del contado. Ecco un’altra realtà istituzionale che complica il quadro del- l’impero. Se abban doniamo l’impostazione risorgimentale non possia- mo più leggere l’esperienza politica dei comuni in chiave antitedesca. La lotta dei comuni contro Federico I Barbarossa non ha nulla di na- zionale e ha ben poco di sociale33: molti comuni della Lega Lombarda
hanno ceti dirigenti più aristocratici che borghesi, e tutti – anche quelli che borghesi sono – risultano ben lontani dall’avere un’idea di Italia o di Lombardia. D’altra parte il Barbarossa, nelle sue famose di scese in Italia, vituperate dalla nostra manualistica, non compie che il suo dovere di re d’Italia: non dunque un oppressore tedesco in trasferta, ma semplicemente un re meno as senteista dei suoi predecessori34.
Significativa di tutto ciò è la via d’uscita di quello scontro, la pace di Costanza: il Barbarossa accetta che i comuni conti nuino a riscuo- tere gli introiti fiscali di competenza regia, e i comuni in cambio si dichiarano vassalli collettivi dell’imperatore. Se si considera che non era affatto normale che il potere fosse delegato per via feudale la tarda feudalizza zione rappresentata dalla pace di Costanza risulta un bell’ esempio di uso della più so fisticata strumentazione giuridica da parte dell’impero35, e dell’accelerazione delle logiche feu dali operata proprio
da quei comuni che, fino a qualche anno fa, erano a torto considerati la novità «antifeudale» del medioevo italiano.
32 H. Schmidinger, Patriarch und Landesherr. Die weltliche Herrschaft der Patriarchen von
Aquileja bis zum Ende der Staufer, Graz Köln 1954; Piemonte medievale. Forme del potere e della società. Studi per Giovanni Tabacco, Torino 1985.
33 M. Vallerani, Il comune come mito politico. Immagini e modelli tra Otto e Novecento, in
Arti e storia cit., IV, pp. 187-206.
34 F. Opll, Federico Barbarossa, trad. it. Genova 1994; E. Voltmer, Il carroccio, Torino 1994.
35 La pace di Costanza. 1183. Un difficile equilibrio di poteri fra società italiana ed impero (Atti del Convegno di Milano-Piacenza, 27-30 aprile 1983), Bologna 1984; G. Milani,
Lo sviluppo della giurisdizione nei comuni italiani del secolo XII, in Praxis der Gerichtsarbeit in europäischen Städten des Spätmittelalters, a cura di F.-J. Arlinghaus, I. Baumgärtner, V.
98 ANTIDOTI ALL’ABUSO DELLA STORIA
Questo accordo contiene in sé sia un bisogno di Stato di tradizio- ne profondamente ro mana (e siamo del resto negli anni della ripresa dello studio del diritto), sia la permanente vitalità del rapporto vas- sallatico-beneficiario, germanico e preterritoriale. Il regno si orienta a ‘sovrintendere’, in modo a un tempo attivo e constatativo, al sempre più complesso mosaico politico dei sui territori.
Convergono verso questa spiegazione le interpretazioni più aggior- nate dei poteri vescovili che avevano preceduto le formazioni comunali e, in particolare, della figura dei cosiddetti ve scovi-conti. Un certo uso di attribuire l’immunità (un istituto di carattere assolu tamente non feudale) a monasteri e sedi vescovili era già vivo in età merovin- gia e carolingia. I re ritenevano utile assicurarsi l’alleanza di abati e vescovi, personaggi carismatici di fronte alle popolazioni locali, e si accontentavano che la loro capacità di comando (l’immunità si svi- luppava facilmente in giurisdizione attiva) si esplicasse in modo non conflittuale rispetto al potere centrale36. Inoltre i vescovi e i maggio-
ri abati erano sempre reclutati all’interno delle maggiori famiglie e, quindi, il fatto di non mandare gli ufficiali regi all’interno dei territori immuni consentiva in molti casi un mantenimento di buoni rapporti fra il regno e l’aristocrazia.
L’esercizio di potere temporale da parte dei vescovi è dunque non solo innegabile, ma anche di origine altomedievale. Perché allora la storiografia contesta oggi la definizione di «vescovo-conte»? Vito Fumagalli ha verificato che in alcune zone d’Italia, come l’Emilia oc cidentale, gli Ottoni, di fronte a immu nità concesse dai loro prede- cessori, tendevano a ridi mensionarle perché non erano a loro graditi quei particolari vescovi37. In modo radicale Fumagalli ha sostenuto
che la politica ottoniana fu più filocomitale che filovescovile: i conti, muniti di nuovo appoggio, servivano a ridimensionare la tracotanza dei vescovi muniti di giurisdizione.
Ciò non è vero per tutta l’Italia: ad esempio in Piemonte i vescovi, già potenti, ricevettero ulteriori appoggi dagli Ottoni. Ma il quadro complessivo dell’operare ottoniano non sembra affatto obbedire a una coerente logica filovescovile, quanto a un atteggiamento constatativo: 36 B. Rosenwein, Negotiating Space. Power, Restraint and Privileges of Immunity in Early
Medieval Europe, Ithaca 1999; sulla resistenza nella manualistica scolastica dell’inopportuna
congiunzione feudo-immunità V. Sepe, Medioevo inventato: la storia raccontata, illustrata e
spiegata dentro e fuori la ricerca, Bari 2007 (tesi di dottorato di ricerca).
37 V. Fumagalli, Vescovi e conti nell’Emilia occidentale da Berengario I a Ottone I, in «Studi medievali», 3a serie, XIV (1973), pp. 137-204.
c’erano vescovi già potenti che conveniva tenersi alleati, altri da rimuo- vere per la loro ec cessiva potenza, in entrambi i casi i re tendevano a razionalizzare l’esistente con interventi correttivi38.
Basterebbe questo per allontanare da noi l’immagine di un regno italico che si copre di vescovi-conti. Ma la figura del vescovo-conte ha una più dettagliata e convincente smentita interna. Il già ri cordato sviluppo positivo dell’immunità era il districtus: diritto di costringere, nel suo primo significato, e area d’applicazione di quel diritto nella storia successiva del termine (così come nel concetto odierno, tutto territoriale, di «distretto»). Quando i diplomi regi all’immunità aggiun- gevano il districtus, definivano il numero di miglia su cui la giurisdi- zione vescovile si applicava intorno alle mura cittadine.
Questi diritti, fra i secoli X e XI, ampliarono il loro raggio d’inci- denza. Diplomi regi di sponevano che immunità e districtus si dovessero considerare estesi «a tutto il territorio corrispondente al comitato» che faceva capo alla città. Documenti di questo tipo, se analiz zati con cura, fanno capire come il terri torio comitale fosse usato essenzial- mente come entità geografica: anche i pochi vescovi che ottennero un districtus così ampio erano ben lungi dal diventare ufficiali regi. Non dovevano infatti riferire al re del loro operato come invece dovevano fare i conti, perché non erano inseriti in senso funzionariale nell’ap- parato pubblico: non erano «conti», dunque, erano invece titolari di un privilegio, avevano cioè poteri di qualità signorile ma ufficializzati da un superiore riconoscimento pubblico39.
Principi territoriali, signori locali, comuni, enti religiosi immuni: la sperimentazione po litica del medioevo attraversa il regno teutonico e quindi l’impero senza elevarlo a protago nista unico. Ma l’imperato- re, almeno per il fatto di controllare contemporaneamente tre re gni, sovrintende a tutti i ten tativi compiuti dalle diverse parti delle società locali che organiz zano la loro coesistenza per mezzo di strumenti con- traddittori: istituzioni di matrice pub blica carolingia, rapporti feudali, signorilizzazioni del possesso fondiario, nuove tendenze associative.
38 Sergi, I confini del potere cit., p. 142 sgg.
39 Id., Poteri temporali del vescovo: il problema storiografico, in Vescovo e città nell’alto me-
dioevo: quadri generali e realtà toscane, a cura di G. Francesconi, Pistoia, Società Pistoiese
di Storia Patria, 2001 (Convegno internazionale di studi, Pistoia, 16-17 maggio 1998), pp. 1-16.