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Convivenza di regni e poteri local

UN IMPERO SPERIMENTALE NEL MEDIOEVO DEI LOCALISM

5. Convivenza di regni e poteri local

Si tende da più parti e ormai da molto tempo (soprattutto in Italia e in Francia), a definire i regni del medioevo centrale come grandi coordi- natori, protagonisti adeguati a un contesto istituzio nale sperimentale: l’intermittenza e l’episodicità del loro intervento sono considerate, da Tabacco, da Lemarignier e da altri, come soluzioni originali che garantiscono gli equilibri27. Nei secoli tradizionalmente giudicati di

25 Bruhl, Deutschland-Frankreich cit.

26 Correttezza sicuramente fuori discussione almeno nel caso di Keller: si veda Intervista

a Hagen Keller, a cura di P. Guglielmotti, G. Isabella, T. Lazzari, G. M. Varanini, in «Reti

medievali. Rivista», 2008; per le prospettive generali del presente, dalla medievistica tedesca a quella internazionale, si veda ora Mediävistik im 21. Jahrhundert. Stand und Perspektiven der

internationalen und interdisziplinären Mittelalterforschung (Atti del Convegno di Paderborn,

11-13 ott. 2001), a cura di H.-W. Goez, J. Jarnut, Paderborn 2003.

27 G. Tabacco, Egemonie sociali e strutture del po tere nel medioevo italiano, Torino 1979; J. F. Lemarignier, Le gouvernement royal aux premiers temps capétiens (987-1108), Paris 1965.

«anarchia» le scarse presenze concrete del regno non ne determinano tuttavia la sparizione. Non è pura anarchia, non è solo dissoluzione: la grande pluralizzazione del potere politico medievale è in realtà un efficace modo di funzio nare (non a caso è quello che dura di più, caratterizzando almeno i secoli dal X al XIII), e attribuisce al re la funzione di lontano centro erogatore di legittimità.

Di alcune delle tesi sopra ricordate non mi sento di condividere la sottovalutazione dell’esperienza carolingia. È vero, come ho prima sostenuto, che l’impero è stato per troppo tempo sopravvalutato e che gli è stata attribuita una so lidità e una compattezza che non erano sue. Ma è vero anche che, in parallelo, una grande enfasi è sempre stata connessa con il suo crollo; e non si deve trascurare quanto grande sia stato il peso del referente carolingio nel modellare la sperimen- tazione successiva e i relativi sviluppi. La società signorile dei secoli X-XIII si ri chiama ben poco ad antichi modelli statali romani, ma li evoca nella loro mediazione caro lingia. Un multiforme apparato di termini, di concetti, di schemi politici, di spontanei com portamenti continua ad avere nell’ humus carolingio la sua matrice, pur dando copertura a funzionamenti in larga parte nuovi. In breve: a partire dal secolo X conti e marchesi man tengono per lo più i loro titoli (anzi, li mantengono tutti i membri delle loro famiglie), ma applicandoli a quel poco di dominazione signorile che ogni ramo familiare riesce a far so pravvivere intorno alle più solide presenze fondiarie, attrezzate con castelli; vari latifondisti affiancano, con il semplice titolo di dò- mini, i discendenti di conti e marchesi, sviluppando su altri nuclei territoriali incastellati un potere simile al loro e imitandone l’esercizio del banno (capacità di comando di tipo pubblico, da cui la definizio- ne di «signoria di banno»); vescovi e abati fanno la stessa cosa, per di più, come vedremo fra poco, potendo contare su riconoscimenti ufficiali da parte di quel che rimane del regno. In un mosaico del tutto rin novato sopravvivono le idee del potere comitale, del banno regio, dell’immunità ecclesiastica, dello svolgimento della giustizia per placiti (sedute di tribunale): mentre si dissolve, il si stema carolingio consegna un vocabolario concettuale e una strumentazione concreta alla nuova società28.

Questa nuova società individua essenzialmente i poteri là dove il detentore di una buona base fondiaria riesce ad aggiungere una legit-

28 Rinvio a ragionamenti condotti in più parti di G. Sergi, I confini del potere. Marche e

96 ANTIDOTI ALL’ABUSO DELLA STORIA

timazione di qualunque tipo: non ha rilievo una delega «feudale» di poteri, ecco perché i signori locali (che si affermano con i loro mezzi, non per una rinuncia di chi stava sopra di loro) nella medievistica più attuale non sono chiamati «feudatari» ma «signori».

Le campagne sono caratterizzate da una sorta di contrattualismo: il contadino riconosce il carisma del potere regio ma paga i tributi più volentieri al signore locale, perché è da quest’ultimo che, attraverso le fortificazioni, riceve protezione concreta; e ricorre al re in funzione antisignorile soltanto in fasi di scontro sociale, quando un potere lon- tano e di stratto risulta più attraente di uno vicino e efficiente. Perché questo equilibrio si mantenga, è neces sario che di tanto in tanto, attraverso qualche affondo ben calibrato, si av verta la pre senza del potere regio e dei suoi ufficiali29. È una continua sperimentazione per

attuare la convivenza di tre livelli diversi di potere, ben individuabili in Germania e in gran parte dell’Europa non mediterranea: il regno, i principati territoriali, le si gnorie locali30. Ogni con tadino sa di essere

inserito in un dominatus loci, cioè una signoria locale31, al di sopra della

quale c’è un principe (titolare di una grande dominazione territoriale, laica o vescovile), al di sopra del quale c’è il re.

29 A. Fiore, L’Impero come signore: istituzioni e pratiche di potere nell’Italia del XII secolo, in «Storica», 30 (2004), pp. 31-60.

30 Lucida distinzione dei tre livelli nella sintesi di D. Barthélemy, L’ordre seigneurial.

XIe-XIIe siècle, Paris 1990, forte della solida ricerca regionale successivamente conclusa:

Id., La societé dans le comté de Vendôme de l’an mil au XIVe siècle, Paris 1993; sull’Italia meridionale V. Loré, Signorie locali e mondo rurale, in Nascita di un regno. Poteri signorili,

istituzioni feudali e strutture sociali nel Mezzogiorno normanno (Atti delle XVII giornate

normanno-sveve, Bari, 10-13 ottobre 2006), a cura di R. Licino, C. Violante, Bari 2008, pp. 207-237.

31 Si segnalano recenti e qualificate inversioni di tendenza in tema di definibilità ter- ritoriale delle signorie locali: M. Innes, State and Society in the Early Middle Ages: the

Middle Rhine Valley, 400-1000, Cambridge 2000; S. Carocci, I signori: il dibattito con- cettuale, in Señores, siervos, vasallos en la Alta Edad Media (XXVIII Semana de Estudios

Medievales, Estella, 16-20 julio 2001), Pamplona 2002, pp. 147-181; Id., Signori e si-

gnorie, in Storia dell’Europa e del Mediterraneo. Dal medioevo all’età della globalizzazione,

a cura di A. Barbero, IV: Il medioevo (secoli IV-XV), a cura di S. Carocci, VIII: Popoli,

poteri, dinamiche, Roma 2006, pp. 409-448. Tuttavia le argomentazioni, pur serie, non

convincono a dismettere concetti di territorialità, di banno e di ‘zonalità’ elaborati nella seconda metà del Novecento, concetti che sono stati fondamentali per distinguere il semplice possesso terriero dal controllo signorile del territorio: G. Duby, L’economia

rurale nell’Europa medievale. Francia, Inghilterra, Impero (secoli IX-XV), Bari 1966, pp.

267-447; P. Cammarosano, Studi di storia medievale cit., pp. 53-98; G. Sergi, Lo sviluppo

signorile e l’inquadramento feudale, in La storia cit., 1/II, pp. 369-393; L. Provero, L’Italia dei poteri locali, Roma 1998.

6. Il regime signorile nelle città: