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Non feudatari, ma certamente signor

I ‘MUTAZIONISTI’ POLY E BOURNAZEL

3. Non feudatari, ma certamente signor

C’è invece un’istituzione che non si presta a oscillazioni interpre tative ed è chiaramente esposta da Poly e Bournazel: per i tre secoli di tran- sizione occorre cercare l’elemento caratteriz zante non nel feudalesimo bensì nel dominatus loci. Sui caratteri interni di questa signoria gli anni 27 Ganshof, Che cos’è il feudalesimo? cit.; Tabacco, Marc Bloch e lo studio cit.; Id., Il

feudalesimo cit.

28 Più esattamente «vocabulaire», Toubert, Les structures du Latium cit., p. 1182; questi usi terminologici sono molto più diffusi dei cosiddetti «feudi condizionali», rapporti in cui, in cambio di un compenso di tipo beneficiario, personaggi di umile condizione devono effettivamente prestare servizi ai loro padroni: G. Fasoli, Prestazioni in natura nell’ordi-

namento economico feudale: feudi ministeriali dell’Italia nord-orientale,, in Economia naturale, economia monetaria, Torino 1983 (Storia d’Italia, An nali, 6), a cura di R. Romano, U.

Tucci, pp. 67-79; sulla ridotta presenza di questi rapporti P. Cammarosano, Feudo e pro-

prietà nel medioevo toscano, in Nobiltà e ceti dirigenti in Toscana nei secoli X e XIII: strutture e concetti, Firenze 1982, pp. 1-12 (ora in Id., Studi di storia medievale cit., pp. 99-110).

Cfr. A. Spicciani, Protofeudalesimo. Concessioni livellarie, impegni militari non vassallatici e

castelli (secoli X-XI), Pisa 2001.

finali del Novecento hanno assistito a una larga convergenza fra i me- dievisti: il carattere territoriale (il potere è esercitato anche al di fuori dei possessi fondiari del dominus)30, il carattere tenden zialmente pub-

blico della protezione e dei poteri esercitati sui con tadini, la prevalenza di terre allodiali come perni della signoria. Superata da molti decenni, almeno fuori d’Italia, la spiegazione feudale dell’origine della signoria, il dibattito sulle origini è invece rimasto aperto. Così come sono rimasti aperti i dibattiti sulla protagonista sociale della signoria, l’aristocrazia, e sul suo principale strumento di affermazione, il castello.

I tre temi (signoria, aristocrazia e castelli) sono stretta mente legati. Le risposte di Poly e Bournazel sono ispirate ai ri sultati conseguiti da Duby per il Mâconnais, attraverso riscontri condotti prevalentemente su altre regioni della Francia meridionale. Vediamo il primo tema, le origini della signoria. Gli autori ritengono che non si pervenga all’esercizio del banno senza qualche fase di con trollo di un castello regio o comitale, senza cioè una dislocazione del potere pubblico: non feudale, tuttavia, ma di patrimonializza zione dinastica. In questa interpretazione i dòmini, discendenti di custodes castri e di vicarii, eser- citano una signoria che si dov rebbe definire di preferenza «di banno», per sottolinearne il carat tere di continuità rispetto al banno regio.

In questa prospettiva diviene un dato trascurabile l’incastellamento spontaneo, sviluppatosi al di fuori di qualche pubblica legittimazio- ne. Risultano da distinguere, in armonia con suggerimenti di Jean Richard31, castelli di più antica origine – non impegnati nella dife- sa dalle invasioni normanne e non inseribili nel grande processo di incastellamento dei secoli X-XI – dai ca stelli successivi che di quel processo sono protagonisti. Inoltre, tra questi successivi castelli, risul- tano da distinguere quelli nati da esigenze strategiche (per iniziativa o autorizzazione dell’apparato pubblico) da quelli sorti per una normale attitudine a fortificare villaggi e centri curtensi. Sono in sostanza ca- stelli di tre tipi: i primi finiscono per essere controllati ereditaria mente dalle grandi dinastie comitali, i secondi sono patrimonializ zati da un funzionariato minore. Gli ultimi – protagonisti ad esem pio del Lazio studiato da Toubert –, secondo Duby e secondo Poly e Bournazel, non incidono profondamente sulle trasforma zioni signorili. In linea 30 Quello che in tempi più recenti è oggetto di alcune riconsiderazioni (vedi sopra, n. 31 del cap. II).

31 J. Richard, Le château dans la structure féodale de la France de l’Est au XIIème siècle, in

Probleme des 12. Jahrhunderts, Konstanz Stuttgart 1968 (Vorträge und forschungen, XII),

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con questa interpretazione, quando un potere locale non nasce più da una delega pubblica, a questa subentra la «memoria collettiva»: è accettato il potere se espresso da un luogo per tradizione avvertito come pubblico32.

Nell’individuare la signoria territoriale di banno come l’ ele mento caratteristico dei secoli centrali del medioevo Poly e Bourna zel rac- colgono i risultati delle abbondanti ricerche regionali de gli ultimi de- cenni, portate a conoscenza di un più largo pubblico. Invece nello scegliere, per spiegarne l’origine, la frantumazione del po tere regio e nel dar peso esclusivo ai castelli pubblici scelgono soltanto u n a delle strade possibili. Questa strada è connessa con la loro analisi dei ceti dominanti, della nobiltà e della cavalleria. La storiogra fia francese, in contrasto con quella tedesca, è da sempre contraria all’idea di una precoce chiusura della nobiltà come ceto giuridica mente definito. In particolare Marc Bloch era favorevole all’idea di una fluida nobiltà di fatto che diventa nobiltà di diritto solo tra i secoli XI e XII, agevolata in questo dall’adoubement cavalleresco e dalla solennità del cerimo- niale. L’idea di Bloch è stata, molti anni dopo la sua formulazione, riconosciuta come la più adeguata alla tumultuosa tra sformazione dei ceti dominanti post-carolingi, anche se nella sua posizione si può in- dividuare uno schema evolutivo troppo lineare 33. Il belga Genicot e il francese Duby hanno lavorato su questo svi luppo lineare, variandolo o complicandolo. Fra le conclusioni di questi studiosi si ritagliano una linea Poly e Bournazel, con tesi coerenti alla loro classificazione dell’incastellamento. Tra X e XI secolo i poteri bannali sarebbero stati monopolizzati dalle maggiori famiglie, fin allora implicate, a di- versi livelli, negli uffici pubblici34; a queste dinastie d’ufficio se ne

sarebbero affiancate altre, ben disposte a collaborare con le prime nonostante fossero escluse dall’esercizio del banno: queste sarebbero le famiglie, ben distinte, dei cavalieri. Ciò che avrebbe determinato la tendenza della nobiltà dinastica a separarsi in uno status definito non sa rebbe dunque più, come nella chiusura più tarda pensata da Bloch, l’elemento rituale dell’addobbamento cavalleresco, bensì la co- scienza di sé e del proprio sangue: una coscienza tipica dei dina sti quando abbiano patrimonializzato poteri di origine pubblica. In quella

32 Poly, Bournazel, Il mutamento cit. cap. I.

33 Tabacco, Su nobiltà e cavalleria cit., pp. 5-25; vedi ora R. Bordone, Introduzione e

L’aristocrazia territoriale tra impero e città, in Le aristocrazie dai signori rurali al patriziato, a

cura di R. Bordone, Roma Bari 2004, pp. V-IX, 3 sgg. 34 Si consideri ora, per l’Italia, Cammarosano, Nobili e re cit.

situazione che giovava ai cavalieri solo in quanto al banno non erano soggetti, rimane dubbio che cosa potesse spingerli a col laborare con i dinasti: è forse un elemento di debolezza di questa ricostruzione35, a meno che non la si voglia confortare – immet tendo un elemento caratteristico della «prima» età feudale – con il dinamismo di un ceto di vassalli impegnato e combattivo perché intravede possibilità di asce- sa politico-sociale nella prospettiva di spartire con i seniores quote di proventi signorili36.

Pur senza mettere in discussione il peso della consapevolezza dinastica, si ha l’impressione che il secolo XI risulti di difficile spiega- zione se socialmente lo si cristallizza. La storia italiana ha bisogno, ad esempio, che si superi il luogo comune dei piccoli e dei grandi vassalli contrapposti37, e la collaborazione che Poly e Bour nazel ci presentano contribuisce a questo superamento: c’è da chie dersi d’altra parte se questa collaborazione meglio non si possa in tendere in un quadro di fluidità che, prudentemente, non contrap ponga ancora dinasti e ca- valieri; che riconosca tendenze di consape vole politica dinastica nelle minori come nelle maggiori famiglie; che non trascuri i raccordi feudali come strumenti di ascesa so ciale, in una fase precedente a quella in cui sono strumenti di coordinamento politico.

Rimane da riconoscere che nell’applicare all’Italia, e forse non solo all’Italia, lo schema della signoria di banno qui riassunto (dove sono protagonisti castelli di origine pubblica e famiglie che afferma- no una superiorità dinastica) un alto numero di poteri locali riman e senza spiegazione. Non è più in discussione il feudo: in questa parte della storiografia francese recente ciò che caratterizza il mondo ca- rolingio e postcarolingio non sono i vincoli vassallatico-beneficiari, di applicazione troppo poco sistematica, ma le idee forti della casa e della familia38. Anche in Italia la dinastizza zione di poteri nati da

35 Tabacco, Su nobiltà e cavalleria cit.

36 Ho accertato che quella di vassus è una «condizione sociale dinamica» in una ricerca sul Milanese prima del 1000: Sergi, I confini del potere cit, pp. 272-295.

37 Cammarosano, Le strutture feudali cit., p. 865, la giudica una distinzione «arbitraria e inutile»; G. Tabacco, Vassalli, nobili e cavalieri nell’Italia precomunale, in «Rivista storica italiana», 99 (1987), pp. 247-268; cfr. Il secolo XI: una svolta? (Atti della XXXII Settimana di studio dell’Istituto storico italo-germanico di Trento, 10-15 settembre 1990), a cura di C. Violante, J. Fried Bologna 1993; La vassallità maggiore del Regno Italico. I capitanei

nei secoli XI-XII (Atti del Convegno di Verona, 4-6 novembre 1999), a cura di A. Casta-

gnetti, Roma 2001.

38 Si vedano le conclusioni di Poly, Bournazel, Il mutamento cit., i riferimenti a Duby e all’idea che i riti feudo-vassallatici non fossero che la «ridondanza metaforica» delle strutture domestiche.

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uffici pubblici – e non investiture feudali di contenuto giurisdizionale – spiega molte affermazioni signo rili. Ma non tutte. La tradizione fondiaria romana con le sue empi riche potenzialità di dominio non può essere trascurata. C’è una capacità di proteggere e di dominare espressa da grandi latifondi sti non implicati con l’apparato pubblico e, soprattutto, afferma tisi dopo lo sfaldamento di quell’apparato: si deve riconoscere, sulle orme di Boutruche impegnato a definire la sua signoria «rurale», che la ricchezza fondiaria può bastare a favorire l’avvio della signoria. Certo deve essere variamente integrata da ele- menti che favoriscano la legittimazione (castelli che garantiscano la di fesa, politiche matrimoniali che colleghino a famiglie più affer mate, richiami a immunità anche solo di fatto): e ciò vale a correg gere la semplificata théorie domaniale dell’inizio del secolo39.