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REGIONI ALPINE E PROBLEMI DI METODO

2. Le Alpi vissute

In tema di clima e natura, quando apprendiamo da Gambi che i ghiac ciai occupavano già in passato solo il 2% della superficie alpina siamo in dotti a pensare che nella storia quel 2% sia presente in modo diverso non solo nell’immaginario degli uomini, ma anche nella loro vita concreta, via via che si modificano i mezzi tecnici con cui la montagna viene affrontata, attraver sata e vissuta21.

Ma non è solo sul terreno della percezione che occorre sfuggire da 18 P. Schiera, Introduzione, in Lo spazio alpino: area di civiltà, regione cerniera, a cura di G. Coppola e P. Schiera Napoli 1991; Id., L’autonomia locale nell’area alpina. La prospettiva

storica, in L’autonomia e l’amministrazione locale cit.

19 M. Dorfmann, Régions de montagne: de la dépendance à l’auto-dévelop pement, in «Revue de géographie alpine», 1983.

20 P. Guichonnet, Destino storico, in Storia e civiltà delle Alpi cit.

21 L. Gambi, Introduzione, in Gli uomini e le Alpi cit.; Id., Generi di vita o strutture sociali?, in Una geografia per la storia, Torino 1973; Guichonnet, Destino storico cit.

una visione statica delle condizioni climatiche. Se già Borst e Guichon- net hanno parlato di «medioevo caldo» (1 grado in più dal secolo IX alla metà del XVI secolo)22, due specialisti svizzeri, Gabriela e Werner

Schwarz-Zanetti23, hanno scom posto poi quell’arco cronologico, attri-

buendo al periodo compreso tra il secolo IX e il XIII una differenza di 1,2-1,4 gradi in più rispetto a oggi: ciò spiegherebbe la tendenza alla colonizzazione delle zone di montagna e delle valli e, in particolare, l’ affacciarsi della viticoltura nei Grigioni. Seguirebbe un netto abbassa- mento di temperatura, con precipitazioni torrenziali parti colarmente negli anni 1315-1316, un freddo accentuato fino al 1348, una certa risalita e, infine, una vera «piccola età glaciale» dalla metà del secolo XVI al 1850. I parametri sono ancora pochi, le ricerche si possono certa mente ampliare e approfondire, tant’è vero che sta entrando in profonda crisi l’idea stessa di medioevo «caldo»24.

Ci sono poi eventi naturali che segnano profondamente la vita delle popolazioni. Ad esempio i sismi (interessarono particolarmente l’arco alpino quelli del 1116 e del 1348)25 o, più modestamente, le frane,

tra cui non si contano quelle veramente disastrose: meno prevedibili delle valanghe (l’uomo di montagna ha sempre tenuto molto conto dei percorsi iterati delle valanghe nel decidere i suoi insediamenti), le frane sono quasi il simbolo di un ambiente naturale che in ambiente alpino esercita una pressione fortissima sugli abitanti. Infatti per Arno Borst le Alpi nel medioevo «sono state soprattutto una sfida alla vita in comune dei loro abitanti», sfida che creava bisogni specifici ma costan- ti, corrispondenti al «livello di vita naturale» definito da Guichonnet. Sappiamo che quelle che cambiano, nelle diverse fasi storiche, sono le soluzioni, le risposte che gli uomini danno a quei bisogni specifici: soluzioni da cercare nel «livello degli scambi», per usare di nuovo un con cetto di Guichonnet, senza escludere tuttavia un impulso innova- tore che non provenga solo dal ‘basso’, cioè dalla pianura.

22 A. Borst, Der Wandel geistiger Horizonte und Bewegungen in der Alpinen Umwelt vom 11.

zur 16. Jahrhrundert, in Le Alpi e l’Europa, IV: Cultura e politica, Roma Bari 1975.

23 G. e W. Schwarz-Zanetti, Il clima nel tardo medioevo, in La vita quoti diana in Svizzera

dal 1300, a cura di G. Gentile, B. Schneider, B. Schwarz, Locarno 1991

24 M. K. Hughes, H. F. Diaz, Was there a “Medieval Warm Period”, and if so, where

and when?, in The Medieval Warm Period, a cura di M. K. Hughes, H. F. Diaz, Dordre-

cht Boston 1994, pp. 109-142: ringrazio Luca Mercalli per questo e altri suggerimenti bibliografici, sulla base dei quali risulta da correggere non tanto l’idea di una temperatura maggiore rispetto ai periodi immediatamente precedenti e successivi, quanto il paragone con gli ultimi trent’anni, che risultano invece più caldi rispetto al medioevo.

25 A. Borst, Il terremoto del 1348. Contributo storico alla ricerca delle ca tastrofi, trad. it. Salerno 1988.

180 ANTIDOTI ALL’ABUSO DELLA STORIA

Per Bergier quella delle Alpi è «natura nemica che trattiene gli uomini»26: perché sottolinea le differenze, perché induce modelli di

comportamento che diminuiscono le capacità e le volontà d’integra- zione, perché fa constatare estraneità (rispetto agli abitanti della pia- nura) che inducono i montanari a ridurre al minimo la loro mobilità. Considerato poi che anche i boschi creano «generi di vita», Georges Bertrand invita gli storici a non interessarsi dei boschi solo quando vengono tagliati27: finora è stato prevalentemente così, dato l’in teresse

dominante per le forme insediative, ma è vero che la «civiltà dei resi- dui» o «del consumo integrale», caratteristica di aree d’alta quota non sog gette a prospettive di diboscamento, merita ricerche ad hoc.

In campo insediativo si rischia di dare per scontato che tutta la monta gna fosse cosparsa di quelli che Blanchard definiva «commu- nes de poches»28, cioè comunità così piccole da sfiorare il limite del-

la sopravvivenza: invece la differenziazione interna dell’insediamento alpino è molto forte, più di altre zone montuose del mondo, e si va da vere e proprie città ai cosiddetti «co muni fantasma». Nel defini- re soprattutto le aree intermedie di questa ricca tipologia insediativa può essere utile la classificazione, proposta da Philippe Arbos29, che

distingue due tipi di «sfruttamento», quello «a piccola montagna» e quello «a grande montagna». Si tratta, in termini meno formalizzati, dell’a rea d’incidenza dell’attività economica della comunità: le strut- ture familiari sono influenzate dalla prevalenza di uno dei due tipi di sfruttamento, o dalla frequente compresenza di entrambi, quella che induce il gruppo fami liare a dividere la propria forza lavoro fra i campi vicini e gli alpeggi.

Le ricerche sulla storia dell’ economia alpina devono tener conto sia di attività non peculiari ma nelle specifiche accezioni montane (agricoltura, artigianato), sia di attività per cui l’arco alpino è sede privilegiata: alpeggio e transumanza, lo sfruttamento di risorse energe- tiche, i servizi legati ai tran siti (si pensi ai marrones, le guide-portatori del medioevo), l’attività mine raria30 (e Niederer definisce i minatori «i

proletari delle Alpi»). In ogni caso, già a partire dagli anni Cinquanta 26 Bergier, Le trafic à travers les Alpes cit.

27 G. Bertrand, Pour une histoire écologique de la France rurale, in Histoire de la France

rurale, a cura di G. Duby, A. Wallon, Paris 1975.

28 R. Blanchard, Les Alpes Occidentales, Grenoble Paris, 1938-1956. 29 Ph. Arbos, La vie pastorale dans les Alpes françaises, Grenoble 1922.

30 H. Kellenbenz, Le strutture dell’industria mineraria nel settore dei minerali non ferrosi e

e Sessanta del secolo XX, come risulta da un’utile rassegna di Jean Billet31, i convegni di storia economica hanno visto prevalere l’idea

della non-specificità alpina dal punto di vista dei contenuti e dei me- todi della ricerca storica. Oggetto d’indagine deve essere sempre un si stema complesso e integrato, corrispondente alla somma di un’area circo scrivibile di arco alpino e di una o più zone di pianura con essa in comuni cazione32.