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L’inopportuna cancellazione del feudalesimo altomedievale

I ‘MUTAZIONISTI’ POLY E BOURNAZEL

2. L’inopportuna cancellazione del feudalesimo altomedievale

Perché il titolo Il mutamento feudale ? Perché «feudale», e perché «mu- tamento»? La medievistica francese fra gli anni Settanta e Ottanta, come fosse stanca di combattere contro gli usi correnti dell’aggettivo feudale, giudicato da Boutruche «l’abuso di un lin guaggio pretenzioso», da Duby «comodo ma molto mal scelto», da Ta bacco espressione di un «concetto proteiforme, monstrum divenuto qu asi inafferabile»16, si è empiricamente adattata a distinguere un concetto rigoroso di «féoda- lité» (il complesso dei rapporti vassal latico-beneficiari, il feudalesimo propriamente detto se ci si at tiene alle fonti medievali) da uno più ampio e labile definito «féodalisme», in cui entra tutto ciò che gli uomini del medioevo non vivevano come feudale ma che si è accu- mulato nella cultura suc cessiva: rapporti di potere nelle campagne, modi di produzione, tipi di insediamento17. Una distinzione che nel Mutamento feudale il traduttore Ugo Gherner ha intenzionalmente e opportunamente evitata, perché in italiano è in uso il termine «feu- dalità» per indicare non un istituto o una struttura, bensì uno strato sociale, quello dei vassalli. È stato giustamente notato che creare una definizione «innocua» finisce per farne il contenitore di elementi di- sparati, ma anche per rendere questo contenitore «insostituibile»: la categoria «feudalesimo» ha così ripreso a di latarsi proprio mentre la ricerca «empirica e locale», al contrario, constatava sempre più l’as- senza degli istituti feudo-vassallatici nei processi di formazione dei poteri locali18.

Ci può essere anche una componente di rassegnazione, nella scelta del titolo. Ma non si tratta solo di questo. In Bloch il titolo So ciété féodale era in parte, sì, concessione alla terminologia cor rente, ma anche frutto della convinzione che i rapporti tecnicamente vassalla-

16 Molto efficaci le pagine iniziali di Boutruche, Signoria e feudalesimo cit., I; cfr. Duby,

Una società francese cit., p. 405 (p. 364 dell’ed. francese, per il passo di cui qui è più utile

la traduzione letterale); Tabacco, Il feuda lesimo cit., pp. 55-115 (partic. p. 58).

17 Cfr. il «Discours inaugural» (Les féodalités méditerranéennes: un problème d’histoire com-

parée) di P. Toubert in Structures féodales cit.; una storia completa del concetto, orientata a

ritenerne valide tutte le accezioni e, al tempo stesso, a definire un modello di lunga durata adeguato per le scienze sociali, in A. Guerreau, Le féodalisme. Un horizon théorique, Paris 1980; del medesimo autore è la voce Feudalesimo, in J. Le Goff, J.-C. Schmitt, Dizionario

dell’Occidente medievale. Temi e percorsi, ediz. ital., I, Torino 2003, pp. 410-428, con biblio-

grafia ragionata di L. Provero alla p. 429. Si veda qui, sopra, cap. III di questa parte. 18 Cammarosano, Le strutture feudali cit., p. 846 sg. Belle pagine su questi processi di formazione in C. Violante, Ricerche sulle istituzioni ecclesiasti che dell’Italia centro-settentrionale

tico-beneficiari fossero non i più condizionanti, ma certa mente i più caratteristici del medioevo europeo: inconfrontabili con altri ambiti di civiltà, non reperibili (a differenza della signoria su base fondiaria) nel mondo antico. In seguito le esigenze di chiarezza concettuale hanno determinato la fortuna di titoli con l’endiadi Seigneurie et féodalité19. Nel 1980, con Poly e Bournazel, torna, da solo, l’aggettivo «féodale»: ma il sostantivo a cui è ri ferito ci assicura che la concessione all’uso corrente è blandis sima. Mutamento feudale è infatti un titolo program- matico20: indica un cambiamento v e r s o il feudalesimo, in direzione della struttura feudale, di una società che secondo i due autori fin allora non era stata affatto caratterizzata dai legami vassallatico-bene- ficiari. Essi identificano come «feudali» proprio gli elementi nuovi dei secoli X-XII, in contrasto con una tradizione che voleva i rapporti feudali fondamentali in età carolingia e responsabili della successiva dissoluzione.

Così, attraverso un titolo tutt’altro che casuale o a effetto, siamo introdotti nel problema centrale del libro. I due autori af frontano la questione delle istituzioni feudali nel tempo e nello spazio. Negano che la culla del feudalesimo sia stata le zona com presa fra la Loira e il Reno e che tutte le altre regioni d’Europa siano punti d’arrivo tardo degli istituti feudali. Negano che prima del Mille i rapporti vassallatico-beneficiari abbiano avuto una si gnificativa incidenza poli- tica e abbiano caratterizzato la società. Bloch distingueva una «prima» da una «seconda» età feudale. Ed era già sconcertante, per i lettori italiani, scoprire che i medievisti più aggiornati definivano «seconda età feudale» quella che essi sui banchi di scuola avevano imparato a conoscere come «età comunale», succeduta a quella feudale e nata dalla sconfitta del feudale simo. Ma Poly e Bournazel non si accontentano di rompere, giusta mente, l’equivalenza «feudatari=signori rurali», né di scagliarsi contro l’ottocentesca contrapposizione città-campagna, ricordandoci, altrettanto giustamente, che i contadini spesso odiava- no i comuni, nient’affatto libertari, esperti in esosità fiscale e in uso spregiudicato proprio degli strumenti giuridici feudali. I due autori 19 Oltre a quella di Boutruche già citata, è da ricordare l’opera di G. Fourquin, Seigneurie

et féodalité au moyen âge, Paris 1970. Questa giustapposi zione, se ha avuto il merito di valo-

rizzare la signoria, ha tuttavia fatto sì che nella categoria feudalesimo fluissero indisturbati elementi estranei ai vin coli vassallatico-beneficiari: Cammarosano, Le strutture feudali cit., p. 847; cfr. G. Tabacco, Fief et seigneurie dans l’Italie communale, in «Le moyen âge», 1969, pp. 5-37; 205-218 (ora in Id., Dal re ai signori cit.)

20 Questo concetto di «mutamento» si trova applicato al Mâconnais degli anni 980-1030 nelle conclusioni di Duby, Una società francese cit., p. 698.

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vanno oltre. Sostengono che soltanto la seconda età feudale (dalla fine del secolo XI) era davvero feudale, e negano il carattere feudale della prima (cioè, si noti, della s o l a età feudale della nostra cultura scolastica). Si può dire che si spingono a correggere e a scavalcare Bloch appunto là dove la no stra cultura corrente non l’ha ancora completamente recepito.

È vero che occorre superare una visione in cui la rete vassalla tica e la rete funzionariale dello «Stato» carolingio sono la stessa cosa. È vero anche che non si può più attribuire ai rapporti feudo-vassallatici, subito degenerati, una funzione disgregante dell’apparato pubblico: del resto da molti anni e da parte di molti studiosi si insiste sulla fun- zione coesiva e non disgregante del feudo. È vero che la pluralità dei poteri locali dei secoli X-XI non nasce da investiture feudali di quelle giurisdizioni e nasce piuttosto – in forme su cui si sta ancora inda- gando – dal con vergere di due elementi: egemonie concrete espresse dal possesso fondiario (allodiale, cioè in piena proprietà, ben più che benefi ciario, cioè feudale) e dislocazione dei poteri pubblici attraverso ramificazioni di dinastie comitali, patrimonializzazioni di «custodie» di castelli, frantumarsi di diritti di immunità. È vero pertanto che, alla luce dell’evoluzione accertabile, non ha alcun senso chiamare «feudi» le autonomie signorili.

Tutto ciò è poco noto, per quanto non più in discussione fra gli studiosi, e le pagine di Poly e Bournazel lo affermano con lodevole chia rezza. Tuttavia si sarebbe dovuto dare minor peso a due idoli polemici: quello della prima età feudale e quello della Francia setten- trionale come sede del vero feudalesimo. Se con l’aggettivo «feudale» si vuole davvero indicare un inquadramento completo della società, piramidale e gerarchico; se si considerano solo i feudi che hanno con- tenuto giurisdizionale (i «feudi di signoria»), allora è certo che nulla del genere si trova nella prima età feudale ed è altrettanto certo che in quegli anni neppure il nord dell’Europa carolingia è teatro di qual- cosa di simile. Insomma i due autori hanno condotto un’operazione da cui mi sento di prendere le distanze: hanno costruito a posteriori un mo dello feudale ‘da senso comune’, troppo compatto ed efficiente, per poi denunciare le giuste difficoltà a trovarlo realizzato. Come se ritenessero feudale solo il modello ‘piramidale’, trovassero qualcosa di simile solo nel basso medioevo e negassero il carattere feudale del- l’alto medioevo. Ma perché non prendere atto di un altro e diverso feudalesimo come carattere militare e sociale (più che politico) delle istituzioni carolinge e non ammettere che quella è la rete di rapporti

in cui si manifestano i primi legami vassallatico-beneficiari? Perché cedere alla vulgata sul feudalesimo e valorizzare in modo esclusivo il periodo – tardo – in cui davvero qualcosa di simile a quella vulgata si trova realizzato?21

Poly e Bournazel sono nel vero quando affermano che solo dalla fine del secolo XI il «groviglio» dei legami vassallatico-benefi ciari incide effettivamente sul funzionamento dell’edificio poli tico-sociale22: da

quando cioè si è sviluppata una diffusa patrimonializzazione dei feudi e dopo che, alla fine del secolo X, si era fatto sistematico l’aggregarsi vassallatico delle aristocrazie locali intorno ai conti. È anche vero che proprio nelle regioni più meridionali di Francia, oltreché nei regni normanni d’Inghilterra e d’Italia, troviamo forse la realizzazione più com piuta di un feudalesimo così inteso23: hanno ragione insomma gli au tori a individuare nell’affermazione degli istituti feudali un unico vasto movimento, senza centri generatori esclusivi e senza periferie 24. Si deve tuttavia salvare la definizione blochiana di «prima età feudale» se dei legami vassallatico-beneficiari si prendono in esame anche le manifestazioni meno sistematiche e meno totalizzanti: le gami che non disgregavano – non è detto che prima età feudale e feudo disgregante coincidano – ma che potevano conferire una «tonalité particulière» ai rapporti fra regno, ufficiali pubblici e primi protagonisti del movimen- to signorile25; legami che, arricchendo di terre beneficiarie i grandi patrimoni allodiali e aumentandone di fatto l’estensione, potevano anche agevolare il passaggio delle si gnorie dalla fase «fondiaria» a quella «territoriale»26.

In Poly e Bournazel c’è il gusto della provocazione sottile là dove sostengono che il programma carolingio di costruzione gerar chica in

21 Abbiamo visto, anzi, che la vulgata è tale proprio perché si fonda sulla valorizzazione delle strutture feudali del medioevo finale, inopportunamente applicate ai secoli precedenti (sopra, cap. III); Poly e Bournazel spingono il loro corretto giudizio sull’inopportunità di questa applicazione retroattiva fino a negare del tutto la definizione di «feudale» per la rete di raccordi, le parentele artificiali, le solidarietà militari dell’alto medioevo: e questo mi pare eccessivo.

22 Poly, Bournazel, Il mutamento cit., p. 143. 23 Tabacco, Il sistema delle fedeltà cit., p. 412.

24 Una ricerca aggiornata non rileva tuttavia neppure nella Provenza succes siva alla «mutation» ed egemonizzata dai conti di Barcellona un uso sistema tico e caratterizzante del vincolo feudale: G. Giordanengo, Le droit féodal dans les pays de droit écrit. L’exemple

de la Provence et du Dauphiné. XIIe-début XIVe siècle, Rome 1988.

25 Tabacco, Marc Bloch e lo studio cit., p. 25 sg.; Cammarosano, Le strutture feudali cit., pp. 843-845.

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una società feudalizzata si realizza proprio quando i Caro lingi sono un lontano ricordo, fra i secoli XI e XII: ma quel pro gramma era davve- ro così chiaro? Le istituzioni carolinge e i loro residui funzionamenti del secolo X erano caratterizzati da relazioni politiche asistematiche: queste da un lato erano lungi dall’essere completamente feudalizzate, dall’altro avevano elementi vassalla tico-beneficiari da non trascurare27. Certamente dopo gli anni della «mutation féodale» la componente feudo-vassallatica non è più solo caratteristica della clientela regia e non si limita a completare l’efficienza dell’apparato militare: permea la società. La stessa terminologia feudale comincia a essere applicata a gran parte dei rapporti fra uomo e uomo, anche ai rapporti fra co- lono e padrone: ma è appunto, come osserva Toubert, terminologia28. Si diffonde – come abbiamo già visto altrove – il feudo oblato (un proprietario cede le sue proprietà a un principe per riottenerle subito in forma di beneficio, garantendo fedeltà e ri cevendo protezione), e anche attraverso la forza coesiva di questo strumento si costruiscono i principati territoriali. La maggior parte degli studiosi sostiene che, quando la mentalità feudale ha ormai permeato la società, il beneficio è ormai più importante del vincolo di fedeltà, meno carico di valori sacri e inviolabili di qu ando era di applicazione più limitata29.