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Precomprensione e ricerca storica

INTERPRETAZIONE, PRECOMPRENSIONE E VALORI NELL’ANALISI STORICA

2. Precomprensione e ricerca storica

Poiché la stessa scelta delle fonti muove dal sistema di rilevanze dello storico, poiché la precomprensione interviene in tutti tre i livelli di in- terpretazione individuati da Petöfi – interpretazione descrittiva, espli-

7 M. Del Treppo, Storia come pedagogia e storia come scienza, in Atti del Convegno della

Societa degli storici, Messina 1980, pp. 159-200, ora in Id., La libertà della memoria cit.,

pp. 71-106.

8 G. Tabacco, II cosmo del medioevo come processo aperto di strutture instabili, « Società e storia », VII (1980/1), pp. 1-34.

cativa, valutativa9 – e poiché è radicatissima la tendenza a riconoscere

una funzione politico-culturale alla narrazione storica10, non si può

non domandarsi quale visione gli storici abbiano del loro mestiere in relazione con questi problemi. Il mestiere di storico è tradizionalmente tra i più privi di autocoscienza secondo Postan11, che giudica una fin-

zione la pretesa indipendenza del materiale storico. Secondo Topolski gli storici tendono a essere per lo più «oggettivisti», mai «relativisti» mentre dovrebbero essere «realisti» ed esplicitare i loro propositi12.

Nel più specifico settore medievistico Capitani è tra i più tenaci nel chiedere ai ricercatori maggiore consapevolezza epistemologica13.

Non si può negare che il problema della ricerca della ‘verità’ e della stessa ‘verità’ storica, abbia finora impegnato in un vivo e spesso qualificatissimo dibattito più i filosofi, gli epistemologi e gli psicolo- gi che non gli storici14; né si può dimenticare che il problema della

‘verità’ implica chiarimenti in tema di condizionamenti, precompren- sione e valori. Perciò non si possono che accogliere con favore quegli interventi di storici che, con attenta disponibilità a questi problemi, riescano a coniugare impegno teorico e concreta attività di ricerca: si trova il massimo impegno teorico in un contemporaneista come Raphael Samuel, ma hanno gran valore le più empiriche indicazioni di un antichista come Pierre Vidal-Naquet15. Ma che cosa, di que-

sto complicato dibattito e dei rinnovati vivaci confronti di metodo 9 J. S. Petöfi, Interpretazione e teoria del testo, in Interpretazione e contesto (Atti del I Colloquio sull’interpretazione, Macerata 19-20 aprile 1979), a cura di G. Galli, Torino 1980, pp. 21-44; P. Bevilacqua, Sull’utilità della storia per l’avvenire della nostre scuole, Roma 1997, pp. 115-117.

10 J. Topolski, La storiografia contemporanea, trad. it. Roma 1981, p. 39 sgg. 11 M. M. Postan, Storia e scienze sociali, trad. it. Torino 1976, pp. 69-76. 12 Topolski, La storiografia contemporanea cit., p. 69.

13 Capitani, Medioevo passato prossimo cit., p. 271 sgg.

14 T. Adorno, Parole chiave. Modelli critici, trad. it. Milano 1974; J. Lacan, La scienza e

la verità, in Id., Scritti, II, trad it. Torino 1978; J. Derrida, II fattore della verità, trad. it.

Milano 1978; A. Schaff, Storia e verità, trad it. Roma 1977 ( si consideri ora D. Marconi,

Per la verità. Relativismo e filosofia, Torino 2007). Sono in minoranza gli storici in La storia comparata. Approcci e prospettive, a cura di P. Rossi, Milano 1990, mentre c’è maggiore

equilibrio (e quindi presenza di innovazioni legate alla ricerca applicata da parte di storici), in La storiografia contemporanea. Indirizzi e problemi, a cura di P. Rossi, Milano 1987.

15 R. Samuel, History and Theory, in People’s History and Socialist Theory, a cura di Id., p. 40 sgg.; non si può credere alla «verità assoluta», ma uno dei compiti dello storico è «svelare l’impostura» secondo P. Vidal-Naquet, Le choix de l’histoire, Paris 2004; Id., L’hi-

stoire est mon combat. Entretiens avec Dominique Bourel et Hélène Monsacré, Paris 2006 (si

veda sopra, Introduzione, per l’impegno di «smascheramento»); cfr. anche N. Gallerano,

Le verità della storia. Scritti sull’uso pubblico del passato, Roma 1999; L. Jordanova, History in Practice, London 2001.

30 ANTIDOTI ALL’ABUSO DELLA STORIA

storico degli ultimi anni16, può essere utile presentare in un contesto

multidisciplinare? Credo che uno storico possa avvicinarsi al nodo ermeneutico presente nei dibattiti presenti in altre scienze17 non solo

con il contributo di una modesta esperienza concreta – del tutto pri- va di sorprese, come le pagine precedenti hanno messo in evidenza – ma anche illustrando con necessaria brevità e arbitraria se lezione quali frammenti del travaglio epistemologico facciano concretamente avvertire la loro presenza nella prassi della ricerca storica e scegliendo, in questa presentazione, una visuale privilegiata, quella del rapporto con la fonte. Esiste in sede storiografica qualche problema – che qui cercherò di non trascurare – che prescinde dalle fonti e dai soggetti che le hanno espresse. Ma è indubbio che, nel caso di due tra le fonti più usate, un cronista e un notaio non sono produttori ma in- terpreti. Certamente l’ego di Wertheimer è un grande problema anche per la ricerca storica18, con in più una complicazione: lo storico non

può, come Werthei mer, indurre una persona a una narrazione e poi verificarla attraverso una constatazione diretta di luoghi e situazioni narrate. C’è l’ego dello storico che studia le cronache dell’abbazia di S. Michele e c’e l’ego dei cronisti che le hanno scritte. C’è il proble- ma dei correttivi del peso dei due ego e c’e il problema, più tecnico, delle verifiche sostitutive della constatazione diretta (che se non dà garanzie di oggettività19, costituisce almeno la fase di un controllo in-

crociato). Esistono tendenze, ben note, ad accentuare il discorso delle 16 Rinvio all’Introduzione, in particolare al frammento di discussione sulla metahistory; mi piace qui ricordare un intervento giornalistico di Umberto Eco («L’Espresso», 26 dicembre 2007), in cui, perplesso sull’ipotesi che «non ci sono fatti ma solo interpretazioni», scrive «i fatti sono quella cosa che, non appena li interpretiamo in modo sbagliato, ci dicono che a continuare così non si può andare avanti (…) anche gli scienziati procedono in questo modo. Se si tratta di andare sulla Luna l’interpretazione di Galileo funziona meglio di quella di Tolomeo. Vi pare un fatto da poco?».

17 G. Myrdal, L’obiettività nelle scienze sociali. L’illusione della «neutralità» della scienza, trad. it. Torino 1973; su questi rapporti erano già impegnati alcuni interventi in La teoria

della storiografia oggi, a cura di P. Rossi, Milano 1983; negli ultimi anni risulta in profonda

crisi nelle scienze in generale l’idea di prevedibilità dei processi: N. N. Taleb, Il cigno nero.

Come l’improbabile governa la nostra vita, trad. it. Milano 2008; sulla ‘storicità’ dei paradig-

mi scientifici, che non possono essere predittivi perché caratterizzati dai vincoli delle loro prime domande cfr. ora M. Ceruti, Il vincolo e la possibilità, Milano 2009.

18 M. Wertheimer, Il pensiero produttivo, trad. it. Firenze 1970; cfr. anche A. Zuczkowski,

Interpretazione e valutazione in un protocollo di Max Wertheimer, in Interpretazione e valori

cit., pp. 43-78.

19 Sulla prudenza con cui si devono usare i racconti dei «testimoni» rimangono fondamen- tali le osservazioni di M. Bloch, La guerra e le false notizie. Ricordi (1914-1915) e riflessioni

(1921), a cura di M. Aymard, Roma 1994; cfr. J. C. Lòpez, Il telaio della memoria. Come il cervello tesse la trama dei ricordi, trad. it. Bari 2004.

‘molte verità’20: tendenze che conducono a criticare Wertheimer che

contrappone all’egocentrica esposizione di un’impiegata che descrive il suo ufficio, la realtà, molto diversa, delle gerarchie di quell’ufficio. La verità dell’impiegata, si afferma, è un’altra verità, non è una fal- sificazione: perché accettare sempre soltanto la verità del ‘sistema’? Non posso sottrarmi a una considerazione banale. Una ditta che voglia stipulare un accordo commerciale con la ditta che ha quell’ufficio o, al contrario, il militante rivoluzionario che voglia inceppare il si stema che si regge su uffici come quello, di quale descrizione delle gerarchie hanno bisogno, per operare di conseguenza? Certamente non di quella, unica e irripetibile, legata allo status psicologico di un singolo impie- gato. Certamente, invece, di quella che, anche se non si può definire oggettiva, garantisce la continuità dei funzionamenti: insomma, hanno biso gno appunto della ‘verità del sistema’ (da intendere qui senza accezioni propagandistiche, ma nel senso della verità che il sistema dichiara a se stesso). Ecco, lo storico – si occupi o non anche del ‘mentale’ di un singolo personaggio – deve comportarsi come quella ditta o come quel rivoluzionario: deve conoscere la verità del sistema o perché se ne occupa direttamente, o perché deve raffrontare con essa diverse percezioni di fatti e situazioni.

Scrivevo sopra che il metodo storico ha il problema dell’ego delle fonti indirette e dell’ego del ricercatore: è facile constatare che, negli scritti di metodo storico, gli storici – con poche eccezioni – si occupano del primo ego (convinti che accurate tecniche esegetiche siano garanzie di og gettività), e gli epistemologi del secondo ego (in polemica con l’‘oggettivismo’ degli storici)21. Ma vediamo, senza troppe distinzioni

dei campi disciplinari di provenienza, alcuni spunti del dibattito. Lo storico inglese Michael Postan non condivide le opposte tendenze alla sociologia e all’antiquaria della storiografia contemporanea: propone che lo storico-scienziato affronti argomenti microcosmici (studiabili nella loro specificità ma rilevanti tuttavia per i problemi più ampi della storia sociale). Si profila un lavoro ordinato e sistematico, via via impegnato sul «residuo irrisolto» – ecco l’orientamento costruttivo 20 La presentazione sincrona delle ‘molte verità’ ha avuto realizzazioni narrative impor- tanti: la più famosa (per la traduzione cinematografica di Akira Kurosawa), è nel Rashomon (del 1916) di Akutagawa Ryunosuke, Rashomon e altri racconti, trad. it. Milano 2008, ma è da ricordare anche James Barlow, Torno presto, trad. it. Palermo 1991.

21 Ma si consideri lo spazio dedicato all’«ego» dello storico e all’itinerario che nello spe- cifico può condurre a occuparsi di medioevo in C. Violante, Le contraddizioni della storia.

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e antiscettico dello storico! – e non alieno da spiegazioni che rispon- dano a esigenze di «previsione» insite nel rapporto storici-società: un risvolto di pensiero, questo, da collegare con la volontà dello studioso di riconoscere una potenzialità politica al lavoro dello storico22. In

queste posizioni ci sono un po’ tutti gli elementi del discorso episte- mologico sulla storia. Gli storici sono lenti (descrivono e non spiegano, non usano leggi generali23 da sottoporre a verifica come elementi di

accelerazione della ricerca); gli storici non sono rigorosi (generalizza- no per condizionamenti ideologici, conducono analisi soggettive con presunzioni filologiche); due ordini di accuse che contengono elementi spesso in diretta contraddizione fra loro.

La lentezza degli storici e la differenza fra il metodo storico e quello di altre scienze sono temi centrali dell’empirismo logico. Il ‘falsificazionismo’ di Popper, le sue «quasi-teorie», sono proposte di rimedio24: si tratta di sostituire, nell’analisi storica, a valori d’approccio

soggettivi altri valori, parametri generali formalizzati da verificare caso per caso. Hempel, molto meno fiducioso di Popper nella scientificità della storia, le riconosce tuttavia la possibilità di essere scienza del par- ticolare e dello specifico25. Ma le difficoltà sono molte e le possibilità

di errore sono insidiose. Con troppa facilità le «working hypothesis» si confondono con le finalità stesse del processo di interpretazione26,

è troppo raro che le «covering laws» riescano a ‘coprire’ davvero un singolo evento27. Non si può non tener conto di una differenza della

storia dalle altre scienze: alle asserzioni causali è ben difficile che pos- 22 Postan, Storia cit., pp. 31-49; in evidente contrasto con il rifiuto di Georges Duby di essere «futurologo» (oltre, n. 2 del cap. IV).

23 Questo era già il cuore del dibattito fra positivisti e antipositivisti fra Otto e Novecento: E. Artifoni, Salvemini e il Medioevo. Storici italiani fra Otto e Novecento, Napoli 1990, in particolare pp. 11-48.

24 K. R. Popper, Scienza e filosofia, trad it. Torino 1969; Id., Miseria dello storicismo, trad. it. Milano 1975; ma soprattutto Id., Logica della scoperta scientifica. Il carattere autocorrettivo

della scienza, trad. it. Torino 1995; D. Antiseri, Epistemologia contemporanea e didattica della storia., Roma 1974; A. Alt Jürgen, Karl R. Popper, trad. it Roma 2004; risulta impermea-

bilità della filosofia italiana a questo orientamento in C. A. Viano, La filosofia italiana del

Novecento, Bologna 2006.

25 C. G. Hempel, Aspects of Scientific Explanation, New York 1965.

26 D. Bo, Logica della spiegazione storiografica e modelli esplicativi. Alcune considerazioni, in Problemi di teoria e storia della storiografia, Genova s.a. (ma 1979), part. p. 104 sgg.; eloquenti esempi di questa coincidenza sono quelli risultanti dalla tipologia costruita da Tabacco per la medievistica (cfr. sopra, n. 8).

27 Bo, Logica cit., p. 106 sgg.; il riferimento d’obbligo è a W. Dray, Leggi e spiegazioni in

storia, trad. it. Milano 1974 e a M. Mandelbaum, Historical Expla nation: the Problem of «Co- vering Laws », in « History and Theory », 1961; cfr. G. Borsa, Introduzione alia storia, Firenze

sano corrispondere ‘controfattuali’ rigidi (all’affermazione ‘se A allora B’, non è detto corrisponda ‘se non A, allora non B’)28.

La crisi della spiegazione causale conduce nel vivo del discorso, in certo senso opposto, sulla superficialità di certe generalizzazioni degli storici. È indubbio che il concentrarsi del dibattito sul tema della ‘spie- gazione’ storica muove già dalla discutibile presunzione di neutralità della ‘descrizione’. Inoltre non mancano pericolose parentele spiega- zione-predizione. È stato spesso troppo viva la ricerca di regolarità causali: una ricerca talora consapevole, spesso invece fondata sull’uso spontaneo di ipotesi generali scontate. Si pensi all’esempio classico di chi fa dipendere s e m p r e un’insurrezione dal «malcontento popolare»29 sottraendosi così a un’analisi di fattori specifici e magari

in netto contrasto con l’ipotesi scontata. La spiegazione causale ha energici detrattatori e parziali difensori30, e nonostante tutto è forse

ancora da affrontare a fondo la critica alle spiegazioni monocausali e alle tentazioni di predizione in cui lo storico che si ponga come scienziato sociale rischia di cadere.

Fra critiche spesso opposte, non mancano proposte intermedie che non a caso sono le più pronte a entrare nel bagaglio del ricerca- tore: il superamento delle contraddizioni della causalità attraverso le ‘interazioni’ dello strutturalismo, il ricorso a generalizzazioni limitate, le sistematiche mutuazioni di tecniche di altre scienze31. La storia è

spesso trattata come un grande malato da curare32, e qualche volta

alcune cure radicali o conducono al più completo relativismo (la storia come come narrazione di Hayden White33), o finiscono per sfiorare

ipotesi abolizioniste nei confronti della ricerca storica. È questo forse il caso del ‘finto ottimismo’ di Foucault34 che riconosce un senso al-

l’attività dello storico solo se riesce ad attingere ai livelli più profondi della realtà, se riesce a indagare sull’ «esperienza nuda» prescindendo 28 Bo, Logica cit.; cfr. anche L. Zanzi, Procedure dimostrative e conoscenza storica, Genova 1978.

29 Bo, Logica cit., p. 102; si considerino anche orientamenti radicati in Postan, Storia cit.

30 Fra i primi E. I. Scheffler, Anatomia della ricerca, trad. it. Milano 1972; fra i secondi G. Left, History and Social Theory, New York 1971.

31 E. Nagel, The Logic of Historical Analysis, in « The Scientific Mon thly », LXXIV (1952), e qui, testo successivo alla n. 52.

32 La definizione è di Topolski, La storiografia cit., p. 217 sgg.

33 H. White, Forme di storia. Dalla realtà alla narrazione, trad. it. Roma 2006.

34 M. Foucault, Le parole e le cose, trad. it., Milano 1967 e Id., L’archeologia del sapere, trad. it., Milano 1971; ma è ora ricca di spunti sul tema specifico la raccolta di Id., Il

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dal linguaggio, mai neutro né nel passato né nel presente. È anche il caso di Bagby e di quella sorta di cura antropologica da lui proposta per la storia, cura produttrice di un connubio fra un positivistico esame di tutti i dati storici accessibili di una realtà e lo studio di avvenimenti su grande scala: lo scopo è l’individuazione di modelli generali e di regolarità, senza la quale si potrebbe mettere in discussione – secondo Bagby – l’opportunità di fare ricerca storica35.

Sono certo meno paralizzanti le cure ‘interne’ alle malattie della storia, quelle proposte dagli storici stessi e che si presentano come proposte di graduali e complesse innovazioni di metodo. Topolski clas- sifica in modo tripartito le tendenze della storiografia nel Novecento avanzato: la quantificazione, la trattazione per modelli, l’integrazio- ne36. Sotto quest’ultima etichetta – la sola cui accenno per ragioni di

spazio ma anche per lo specifico rilievo nel dibattito storiografico – si collocano varie esperienze, dallo strutturalismo alla stessa social history inglese d’ispirazione marxista, dalle «Annales» a «Past and Present», dall’histoire totale francese alla microstoria. Un ambito storiografico vastissimo, con gerarchie di rilevanza fortemente differenziate, e tut- tavia con innegabili parentele. Ciò che qui importa è che ne nascono stimoli che condizionano larga parte della ricerca storica degli ultimi decenni del Novecento: lo studio delle interazioni tra fattori diversi di una società, l’accentuata interdisciplinarità, l’interesse per la di- mensione ‘mi cro’ come punto di attraversamento di tutti i processi di una società (di qui la rifondazione su nuove basi teoriche della storia locale e della prosopografia)37. Dall’antropologia e dall’etnografia la

storia tende ad assumere suggerimenti talora in contrasto: l’interesse per la diversità e per il particolare irripetibile e, per contro, la ricerca

35 P. Bagby, Culture and History. Prolegomena to the Comparative Study of Civilisations, Berkeley Los Angeles 1959; lo spessore storico è intrecciato all’uso di categorie antropolo- giche nel classico M. Mauss, I fondamenti dell’antropologia storica, trad. it. Torino 1998.

36 Topolski, La storiografia cit.

37 Si vedano i diversi contributi in La nuova storia, Milano 1980, a cura di J. Le Goff; E. Le Roy Ladurie, Le frontiere dello storico, Bari 1976; A. Gargani, L’altra storia, Mila- no 1990 (non convincenti, perché condizionate da un eccesso di emotività polemica, le obiezioni di G. R. Elton, Ritorno alla storia, trad. it. Milano 1994). Per gli altri aspetti H. R. P. Finberg, V. H. T. Skipp, Local History. Objective and Pursuit, Newton Abbot 1967; E. Grendi, Polanyi. Dall’antropologia economica alla microanalisi storica, Milano 1978 e, nell’ antologia People’s History cit., i contributi di P. Burke, J. White, P. Thompson e P. Worsley, insieme con le pagine di G. Levi, Villaggi, premesse al fasc. 46 (aprile 1981) di « Quaderni storici». Per la prosopografia in particolare, pur di tutt’altro orientamento, Le

médiéviste et la monographie familiale: sources, méthodes et problématique, a cura di M. Aurell,

di aspetti profondi e immutabili della realtà umana38. Rappresentazioni

mentali, percezioni individuali e collettive, vita quotidiana, cultura materiale sono le preferenze tematiche di quella che per un certo tempo si è definita nouvelle histoire: ma dentro e ai margini di essa si elaborano tecniche d’indagine adatte a una rilettura dei più diversi aspetti del passato.

Uno dei valori più radicati e condizionanti la ricerca sto rica, quel- l’idolo delle origini e delle filiazioni genetiche che già Marc Bloch denunciava39, ne esce fortemente incrinato. Si producono altresì prese

di posizione antiteoriche spregiudicate e positivamente liberatorie40.

Ma non mancano i pericoli di nuovi valori esclusivi ed egemoni, sia nella ricerca sia nella didattica della storia. A una diffusa antipatia per il passato come preparazione del presente tendono a sostituirsi modelli di prospezione che troppo nettamente attingono al presente le domande da porre al passato41. II meccanismo idiocentrico nell’as-

similazione è promosso a categoria ineliminabile della conoscenza e con ciò si privilegia il gusto per la ‘lunga durata’ di Braudel, per le somiglianze passato-presente42. Si riafferma un accentuato soggettivi-

smo, non in forma di esplicitazione iniziale di parametri o linguaggi soggettivamente scelti, ma in forma di vera liberazione dell’ego dello storico: in una vena espositiva più liberata da preoccupazioni positivi- stiche la narrazione diventa evocazione, diventa mezzo di conoscenza, in una sorta di scommessa in cui, ricostruendo la scena, si ritiene di aver qualche probabilità di riprodurre situazioni passate43. L’errore

da evitare è quello di atemporalizzare la storia, cercandovi elementi immobili e archetipali; l’obiettivo da perseguire è quello di una storia globale vera, senza rilevanze nuove e spesso gravemente inconsape-

38 G. R. Cardona, La foresta di piume. Manuale di etnoscienza, Roma Bari 1985, tra i più attenti ad aspetti che interessano i medievisti. Cfr. P. P. Viazzo, Introduzione all’antro-

pologia storica, Roma Bari 2000; cfr. ora M. Aymard, La “lunga durata”: e la storia batté l’antropologia, in «Vita e pensiero», XCII (2009), 3, pp. 79-90.

39 M. Bloch, Apologia della storia o mestiere di storico, trad. it. con introduzione di G. Arnaldi, Torino 1969.

40 C. Ginzburg, Miti, emblemi e spie. Morfologia e storia, Torino 2000.

41 Pericoli segnalati da Grendi, Del senso comune cit.; cfr. G. Sergi, Omogeneità di tendenze

e pluralità di metodi nello studio delle campagne medievali, in «Bollettino storico-bibliografico

subalpino », LXXIX (1981), pp. 257-268.

42 E. Artifoni, G. Sergi, Microstoria e indizi, senza esclusioni e senza illusioni, in «Quaderni storici », 45 (dic. 1980), pp. 1116-1127.

43 L. Stone, The Revival of Narrative: Reflections on a New Old History, in « Past and Present», 85 (nov. 1979); E. J. Hobsbawm, The Revival of Narrative: Some Comments, in « Past and Present», 86 (feb. 1980).

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voli, priva di illusioni circa la concentrazione in un solo studioso di