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Il nazionalismo medievistico dell’Ottocento

UN IMPERO SPERIMENTALE NEL MEDIOEVO DEI LOCALISM

1. Il nazionalismo medievistico dell’Ottocento

In questo percorso per binari paralleli – quello ideologico consistente nella più recente ri lettura del passato e quello storico in stretto senso contenutistico – il nostro punto di partenza deve essere l’Ottocento: quando il nazionalismo romantico, operando sulla consa pe volezza di sé e del proprio passato del popolo tedesco, impresse una svolta agli studi di storia medievale, determinando la nascita di istituti di ricerca come i Monumenta Germaniae Historica e di scuole storiografiche di storia del diritto, delle istituzioni, dell’economia e della civiltà, animate da personaggi come Savigny, Waitz, Hartmann e Lamprecht2.

1 P. Geary, Before France and Germany. The Creation and Transformation of the Meroving-

ian World, New York Oxford 1988. La dimostrazione del libro è chiarissima, ma l’autore

lamenta che la cultura nazionalistica francese ha equivocato, rovesciandone addirittura il significato: Id., Il mito delle nazioni. Le origini medievali dell’Europa, trad. it., Roma 2009.

2 Rinvio alle pagine magistrali di Giovanni Tabacco, in G. Tabacco, G. G. Merlo,

86 ANTIDOTI ALL’ABUSO DELLA STORIA

I Tedeschi del secolo scorso cominciarono a occuparsi di me- dioevo con forte carica ideologica: nel passato dell’Europa scelsero il periodo ritenuto più ‘germanico’, liberandone le espressioni peculiari dalla tutela di una cultura la tina che – con il mito dei classici o del diritto romano – avrebbe fin allora coperto e in certo senso nascosto le espressioni più originali del millennio medievale.

I metodi positivistici corressero, in originale combinazione, le istanze romantiche e im pedirono in Germania lo sviluppo di tendenze evocative esuberanti e compromesse con la fantasia, come quelle di cui fu interprete, in Francia, Jules Michelet . Nell’illustrare il con tributo dei popoli germanici alla formazione dell’Europa moderna la maggior parte della medievistica tedesca cominciò a tendere alla rigorosa rico- struzione del pas sato attraverso i documenti. Ciò non vuol dire che ci fosse neutralità d’impostazione: studiosi coinvolti nell’esperienza guglielmina illustrarono il medioevo tedesco come la storia di una corruzione progressivamente subita a causa del contatto dei Germani con i popoli mediterranei. Protagonista era una sorta di ‘bontà origi- naria’, con il tempo perdente, del po polo tedesco: l’Europa sarebbe stata migliore se i Germani non aves sero dovuto scendere a patti con una civiltà troppo diversa dalla loro.

A questo clima è da attribuire la teoria della Markgenossenschaft, del villaggio comuni tario germanico: si riteneva – integrando le in- formazioni di Tacito con pochi riscontri – che i villaggi germanici precedenti l’incontro con i Romani fossero organizzati secondo una sorta di co munismo primitivo. Uno storico come Maurer, pur ascri- vibile alla destra politica, non esitava a celebrare quel comunismo delle origini, considerato espressione di una capa cità di egualitarismo prodotta dalla superiorità della civiltà tedesca rispetto alle civiltà del bacino mediterraneo3.

La teoria del comunismo primitivo dei Germani e dei suoi residui medievali ebbe nel se colo scorso molta fortuna è influenzò Marx ed Engels, culturalmente impegnati a usare il medioevo come grande teatro delle forme economiche precapitalistiche. Fu spontaneo, per i due teorici del socialismo, usare gli studi medievistici dei loro anni,

nella Germania dell’Ottocento, Bologna 1987; cfr. E. Artifoni, Il Medioevo nel Romanticismo. Forme della storiografia fra Sette e Ottocento, in Lo spazio letterario del medioevo, 1, Il medioevo latino, a cura di G. Cavallo, C. Leonardi, E. Menestò, IV: L’attualizzazione del testo, Roma

1997, pp. 175-221.

3 G. Tabacco, Dai re ai signori. Forme di trasmissione del potere nel Medioevo, Torino 2000, ma soprattutto oltre, n. 10 del cap. VI della parte terza.

senza un pre ventivo esame critico dell’orientamento ideologico dei loro autori: così il comunismo ger manico delle origini, esito di una congettura volta a dimostrare la superiorità di una razza, fluì in opere che, al contrario, intendevano valorizzare tutte le tendenze egualitarie manifesta tesi prima dell’affermazione del capitalismo.

Il mondo romano, pur sconfitto, avrebbe condizionato profon- damente lo spirito eguali tario dei primi Germani con la tentazione del possesso fondiario. Le diverse popolazioni germaniche, abituate a spartirsi il bottino, nel contatto con il mondo romano avrebbero cominciato a prevedere quote maggiori per i capi tribù: e, poiché le nuove guerre non erano di razzia ma di spostamento, il bottino era essenzialmente in terra e l’occupazione ineguale delle terre avrebbe determinato l’ingresso del latifondo nella civiltà germa nica.

L’indimostrabilità di gran parte di questi postulati è oggi sotto gli occhi di tutti, ma per molti studiosi tedeschi del secolo XIX questa introduzione del latifondo segnava l’inizio della corruzione dello spi- rito originario del ‘germanesimo’. Sono d’altra parte innegabili al cuni effetti positivi di questa tensione verso le radici tedesche: facevano ingresso nella sto ria temi di tipo etno-antropologico, mentre lo studio del passato abbandonava certe velleità universalistiche e generalizzanti per adottare prospettive nazionali che, se non le giudi chiamo ideologi- camente, erano le più idonee all’analisi minuziosa e preannunciavano la qualità della storia ‘regionale’ del Novecento. Un esempio è fornito dal fiorire di ricer che sul modo di coltivare, su diverse forme dei campi coincidenti con diverse culture – cel tica, slava, germanica –, ricerche che trovarono il loro coronamento nell’opera di Meitzen, per troppo tempo esorcizzate anche nei loro aspetti positivi4.

L’idea che ogni elemento della storia umana potesse avere manife- stazioni diverse a se conda dell’ambito di civiltà in cui si realizza è il grande contributo che la medievistica tede sca di fine Ottocento ha dato allo sviluppo storiografico. Lamprecht e la Kulturgeschichte5 hanno

anticipato sotto vari aspetti l’esperienza poi fortunatissima della rivista francese «Annales» e molti temi risultano già allora trattati con mano che non sarebbe dispiaciuta a Marc Bloch.

4 Come osserva Cammarosano, Ambienti e popolazioni cit., pp. 511-522. Ovviamente oggi quelle classificazioni sono ascritte ai difetti dell’etnostoria nazionalistica fra Otto e Novecento: Geary, Il mito delle nazioni cit.

5 R. Chickering, Karl Lamprecht: a German Academic Life (1856-1915), Atlantic Highlan- ds New Jersey 1993; G. Cacciatore, Politica, nazione e stato in Karl Lamprecht, in «Società e storia», 88 (2000), pp. 309-322.

88 ANTIDOTI ALL’ABUSO DELLA STORIA

Abbiamo prima visto come la storiografia ottocentesca insistesse su potenzialità tede sche coartate dall’incontro latino- germanico; tuttavia la medesima storiografia si impegnò anche nella ricerca degli elementi ‘vincenti’ di una cultura che avrebbe costruito l’Europa. I passaggi sono semplici: l’Europa si forma progressivamente durante il medioe- vo, il medio evo è essenzialmente germanico, l’Europa è quindi una co- struzione germanica. È la reazione dell’Ottocento tedesco nei confronti delle culture latine: quella italiana (con largo seguito internazionale) secondo cui tutto ciò che di buono c’era stato nel medioevo era legato alla faticosa sopravvivenza di elementi della classicità romana; quella francese che, in più, si era nazionalisticamente appropriata del mito di Carlo Magno, quasi mettendo fra parentesi l’etnia originariamente germanica dei Franchi. Del resto, sulla definizione francese o tedesca di Carlo Magno si è ancora alla fine del secolo XX arenato un progetto di manuale «europeo» di storia6; o ancor oggi, nelle scuole italiane,

avviene che il rapporto tra Franchi e Longobardi sia pre sentato come una storia di invasione «francese», quando in realtà il suolo italico è teatro di un grande scontro intergermanico in cui prevale il popolo più incline alle integrazioni etni che e agli accorpamenti federativi, anche se era caratterizzato da tassi più alti di ‘primitivismo’ (si passi il concetto discutibile): la Lex salica dei Franchi conteneva infatti norme (sulla condizione femminile, sul rapporto reato-pena) più arretrate rispetto alla legislazione longobarda7.

Nell’ Ottocento la migliore medievistica europea è caratterizzata da una netta bipolarità. Georg Waitz, ottimo studioso tedesco delle istituzioni, presentava un’Europa che aveva mo dellato su elementi di cultura germanica la co struzione di nuove forme di convivenza: quanto era utile del passato romano era stato conservato e interpretato da un ceto dominante germanico. Il francese Fustel de Coulanges invece valorizzava in modo diverso l’incontro fra le civiltà germanica e latina: le radici dell’Europa moderna erano fonda mentalmente ro mane, fatte di elementi che avevano trovato nella Gallia dell’incontro tra Franchi e aristocrazia senatoria romana (e quindi in Francia) un grande labo- ratorio per ridefinirsi e proporsi al futuro8.

6 Su una certa artificialità delle ricostruzioni che individuano in un percorso senza salti la definizione dell’idea di Europa F. Cardini, Le stalle di Clio. “Mestiere di storico”, divul-

gazione e giornalismo, Firenze 1996, pp. 46-49.

7 R. Ellul, Storia delle istituzioni. Il medioevo, trad. it. Milano 1976, pp. 18-21; R. Bor- done, G. Sergi, Dieci secoli di medioevo, Torino 2009, pp. 20-61.