2.4 L’Italia prima di partire
Tavola 7.7 Metodi di reperimento del lavoro e durata della ricerca (in mesi) del primo lavoro in Italia
7.6 Conclusioni: il downgrade e la mobilità bloccata degli immigrati in un mercato del lavoro segmentato
In questo capitolo, grazie ad alcune informazioni per la prima volta rilevate in Italia dall’Indagine sulla Condizione e Integrazione Sociale dei Cittadini Stranieri, è stata presenta- ta un’inedita analisi delle carriere occupazionali degli immigrati dal paese di origine a quello di destinazione, un problema ancora trascurato dalla letteratura nazionale. Inoltre l’analisi ha approfondito le modalità con cui gli immigrati trovano lavoro una volta arrivati, tema affrontato per lo più da studi qualitativi o da studi che non dispongono dell’informazione sulla qualificazione etnica delle relazioni che gli immigrati usano sul mercato del lavoro. Le due questioni, solo apparentemente lontane, sono in realtà strettamente intrecciate poiché, come si è mostrato, il forte declassamento occupazionale che gli immigrati sperimentano all’arrivo e le scarsissime chance di recupero dei livelli di qualificazione professionale nel tempo si accompagnano al cruciale ruolo che le relazioni con gli immigrati co-etnici rive- stono nel trovare un’occupazione.
Per quanto riguarda le carriere occupazionali, l’analisi ha messo in luce come la transi- zione al primo lavoro sia caratterizzata da un marcato declassamento occupazionale, soprat- tutto per le immigrate – in origine più qualificate degli immigrati – trainato da opportunità di impiego all’arrivo concentrate in poche e specifiche occupazioni: lavori non qualificati dell’edilizia, lavoro agricolo e domestico per gli uomini e lavoro di cura e domestico presso le famiglie per le immigrate. Se anche lo status del lavoro all’arrivo risulta sostanzialmente indipendente sia dal lavoro svolto prima della migrazione sia dall’area di origine, un più elevato titolo di studio e l’ingresso nel mercato del lavoro “dalla porta principale” – come ad esempio aver trovato un lavoro prima della migrazione e non attraverso contatti personali, conoscere la lingua all’arrivo - rappresentano importanti fattori di protezione dal rischio di declassamento, e ciò vale soprattutto per le immigrate visto il maggior rischio di downgra-
ding che corrono.
La transizione dal primo lavoro a quello attuale ha mostrato inoltre come il declassa- mento sia persistente viste le scarsissime chance di crescita della qualificazione occupa- zionale, in particolar modo per le donne, mentre per gli uomini i lavori manuali specializzati disegnano qualche opportunità di carriera, seppur limitata. Si tratta di una situazione molto più vicina a quella descritta dalla letteratura per il caso spagnolo, dove l’elevato fabbisogno di lavoro scarsamente qualificato e la forte segmentazione del mercato del lavoro intrap- polano gli immigrati nel mercato del lavoro degli impeghi secondari (Simón et al. 2014, Aysa-Lastra e Cachón 2013), che a quella predetta dall’ipotesi dell’assimilazione che invece prevede una mobilità ascendente dopo l’iniziale declassamento (Chiswick 1978). Tuttavia, coerentemente con l’ipotesi dell’assimilazione per cui l’acquisizione di capitale umano spe- cifico del paese di arrivo dovrebbe favorire nel tempo il recupero dello status occupazio- nale, l’analisi rileva che avere ottenuto un titolo di studio in Italia – secondario superiore e universitario – accresce significativamente le chance di crescita dello status occupazionale e che l’anzianità migratoria e la conoscenza della lingua esercitano qualche effetto positivo, seppur più limitato. Viste le scarse possibilità di recupero successive, per gli immigrati, e soprattutto per le immigrate, è dunque cruciale limitare il declassamento nella transizione dal lavoro in origine al primo lavoro.
Per quanto riguarda i canali attraverso cui gli immigrati trovano lavoro, l’analisi ha mo- strato come le relazioni interne al proprio gruppo etnico siano il canale di gran lunga più effi- cace per il primo inserimento nel mercato del lavoro, soprattutto per gli uomini, mentre per le
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Vita e percorsi di integrazione degli immigrati in Italia donne gli amici e i conoscenti italiani rivestono un ruolo non trascurabile anche per il primo lavoro. Per i lavori successivi, l’importanza dei contatti con italiani cresce notevolmente per immigrati e immigrate ma se per le donne i nativi diventano addirittura il canale di colloca- mento prevalente, per gli uomini trovare lavoro attraverso amici e conoscenti co-etnici resta il metodo di gran lunga più frequente. Tuttavia, sia per gli immigrati, sia per le immigrate le re- lazioni con i co-etnici sono quelle che più probabilmente veicolano l’accesso a impieghi scar- samente qualificati e irregolari, rispetto ai metodi formali e alle reti di relazione con italiani.Le diverse evidenze emerse rafforzano l’ipotesi di un particolare modello di inserimento degli immigrati nel mercato del lavoro italiano e contribuiscono a mettere in luce alcuni meccanismi che lo strutturano. In Italia, come negli altri paesi dell’Europa meridionale, gli immigrati sperimentano una limitata penalizzazione rispetto ai nativi per quanto riguarda la possibilità di trovare un’occupazione, ma corrono un elevatissimo rischio di svolgere lavori poco o per nulla qualificati dove risultano massicciamente concentrati (Fullin e Reyneri 2011; Fullin 2011; Bernardi et al. 2011; Fellini e Fullin 2016)25. L’analisi delle traiettorie ha mostrato in proposito come il facile accesso al lavoro per gli immigrati e le immigrate sia associato e favorito dal sistematico declassamento occupazionale che sperimentano all’ar- rivo in Italia, indipendente sia dai livelli di qualificazione del lavoro prima della migrazione, sia dalla diversa origine etnica degli immigrati. L’inserimento occupazionale in un mercato del lavoro segmentato e caratterizzato da una scarsa domanda di lavoro qualificato come quello italiano è cioè simile per tutti gli immigrati e passa dall’esperienza di un primo lavoro sotto-qualificato, con una marcata segmentazione per genere.
Per quanto riguarda gli uomini immigrati, la relativa arretratezza, la frammentazione e la scarsa capacità di innovazione dell’assetto produttivo italiano mantengono elevato il fabbisogno di occupazioni manuali qualificate e non, da inserire in organizzazioni produttive tradizionali e scarsamente innovative, che offrono numerose opportunità di inserimento ai nuovi venuti, sempre più complementari alla forza lavoro nativa, meno disponibile per que- ste occupazioni (Fellini 2015; Reyneri 2016)26. Per quanto riguarda le immigrate, il debole assetto del sistema di welfare italiano, che offre scarsi servizi pubblici di cura (Saraceno e Naldini 1998; Esping-Andersen 1999), nel preoccupante quadro di invecchiamento socio- demografico (Del Boca e Rosina 2009), ha invece strutturato una specifica domanda di lavoro domestico e di cura da parte delle famiglie, che spesso si intreccia con il mercato del lavoro irregolare e/o informale degli impieghi scarsamente qualificati. In assenza di adegua- te politiche sociali e di un’alternativa di mercato a basso costo, le immigrate hanno rappre- sentato la peculiare risposta italiana al problema della “malattia dei costi” che accompagna l’espansione della domanda di servizi alla persona (Baumol 1967; Sciortino 2004).
Le dimensioni strutturali e istituzionali alla base del declassamento degli immigrati all’arrivo sono le stesse che ne bloccano la mobilità occupazionale nel tempo e ne favori- scono l’intrappolamento nella circoscritta area occupazionale definita dal primo lavoro, e ciò vale soprattutto per le immigrate, essendo i percorsi di carriera nel lavoro domestico e di cura sostanzialmente inesistenti mentre nell’area del lavoro manuale industriale qualche 25 Poiché nei paesi dell’Europa centro-settentrionale gli immigrati sono molto più a rischio di disoccupazione dei nativi ma la segregazione nei lavori poco qualificati è molto più attenuata, i paesi dell’Europa occidentale sembrano nell’insieme essere caratterizzati da un trade-off tra le due dimensioni. Nei paesi di nuova destinazione dei flussi migratori come l’Italia per gli immigrati è perciò relativamente facile trovare un lavoro, al costo di inserirsi nel mercato dei lavori meno qualificati, a minore valore aggiunto, con le peggiori condizioni retributive e di tutela, in posizioni spesso irregolari (Reyneri 1998, 2004; Ambrosini 2001), ovvero nel mercato del lavoro secondario (Doeringer e Piore 1971).
26 La complementarietà tra forza lavoro nativa e immigrata non esclude spazi di competizione, per esempio nelle regioni del Sud, per lavori dequalificati e occasionali in agricoltura e in edilizia.
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7. I percorsi lavorativi degli immigrati: declassamento occupazionale, intrappolamento e reti etniche
opportunità di crescita è presente. Le caratteristiche degli immigrati (uomini) rivestono in questo caso un ruolo decisivo perché solo un profilo più forte dal punto di vista della dota- zione di capitale umano specifico – titolo di studio acquisito in Italia, anzianità migratoria e conoscenza della lingua – consente di sfuggire all’intrappolamento nel primo lavoro.
In questa prospettiva, i canali attraverso i quali gli immigrati trovano lavoro si rivelano un meccanismo cruciale nell’accompagnare questi processi e contribuiscono a spiegare l’esistenza del trade-off, per gli immigrati, tra lavori di scarsa qualità e bassa disoccupazio- ne. Infatti, come già ricordato, i contatti interni al proprio gruppo etnico non solo sono il canale di gran lunga più diffuso per collocarsi ma sono associati a lavori qualitativamente inferiori e più spesso irregolari. D’altro canto questo canale riduce fortemente i tempi di ricerca, un fattore plausibilmente critico all’arrivo in Italia quando gli immigrati hanno più “fretta” di trovare un lavoro. I contatti con i nativi, per quanto poco diffusi, in particolare all’arrivo, veicolano invece verso migliori esiti occupazionali. Anche in questo caso le dif- ferenze di genere sono molto importanti e contribuiscono a spiegare la maggiore difficol- tà delle donne a sfuggire dall’intrappolamento. Il lavoro domestico e di cura in cui sono massicciamente segregate favorisce infatti i contatti con i nativi – le famiglie presso cui prestano servizio – fin dall’arrivo in Italia, ma non amplia la sfera di opportunità di lavoro all’ambito extra-domestico.
Il quadro che emerge dai risultati di questo capitolo pone non poche questioni rilevanti dal punto di vista delle implicazioni di policy nel nostro paese. In Italia lavorano ormai milioni di immigrati intrappolati in cattivi lavori e condizioni lavorative difficili, nonostante livelli di qualificazione e istruzione in origine in linea con quelli dei nativi. Nel breve periodo, nonostante il notevole spreco di capitale umano, questa situazione viene sopportata dagli immigrati alla luce dei guadagni superiori rispetto a quelli che avrebbero potuto incamerare nel paese di origine, anche svolgendo occupazioni più qualificate. Tanto più che molti immi- grati, soprattutto donne provenienti dai paesi dell’Est, utilizzano i guadagni ottenuti in Italia per mantenere i componenti della famiglia rimasti nel paese di origine27. Tuttavia, al cre- scere dell’anzianità migratoria e alla luce dei progetti di insediamento che ne conseguono, la frustrazione derivante da anni di sotto-occupazione e da prospettive di mobilità sociale molto scarse può diventare insostenibile e sfociare in una crescente tensione sociale.
27 Nel campione di immigrati con esperienza di lavoro nel paese di origine (seconda colonna di tavola 7.1), il 66 per cento delle immigrate in questione era sposata e il 53 per cento aveva figli al momento dell’arrivo in Italia, contro medie complessive, per le immigrate provenienti dalle altre aree di origine, rispettivamente pari al 47 per cento e al 33 per cento.
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