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Stime logit (coefficienti e odds ratios) della probabilità di riferire un’esperienza di discriminazione sul luogo di lavoro

2.4 L’Italia prima di partire

Tavola 8.4 Stime logit (coefficienti e odds ratios) della probabilità di riferire un’esperienza di discriminazione sul luogo di lavoro

β Odds Ratio exp(β) Sig. Origine (Rif. EU15 e altri paesi avanzati)

Est Europa comunitario 0.616 1.852

Romania e Bulgaria 1.758 5.800 ***

Paesi balcanici (Albania, Ex-Jugoslavia) 1.098 2.999 **

Est Europa non comunitario 1.834 6.256 ***

Centro e Sud America 0.859 2.361

Paesi andini 1.554 4.732 ***

Nord Africa 1.785 5.958 ***

Altra Africa 2.098 8.152 ***

Vicino e Medio Oriente (inclusa India) 1.193 3.296 **

Asia e Estremo Oriente (inclusa Cina) 0.730 2.074

Genere (Rif. Uomini)

Donne -0.134 0.875

Genere e origine

Est Europa comunitario (donne) 1.064 2.899

Romania e Bulgaria (donne) 0.240 1.271

Paesi balcanici (Albania, Ex-Jugoslavia) (donne) 0.045 1.046

Est Europa non comunitario (donne) -0.175 0.840

Centro e Sud America (donne) 0.636 1.888

Paesi andini (donne) -0.010 0.990

Nord Africa (donne) 0.188 1.207

Altra Africa (donne) -0.073 0.930

Vicino e Medio Oriente (inclusa India) (donne) -0.664 0.515

Asia e Estremo Oriente (inclusa Cina) (donne) 0.023 1.023

Religione (Rif. Nessun credo religioso)

Musulmana 0.112 1.119

Cattolica 0.024 1.025

Ortodossa -0.060 0.941

Altre cristiane e ebraica 0.493 1.637 **

Altre 0.279 1.322

Dato mancante 0.000 1.000

Generazione (Rif. Prima generazione)

Seconda generazione -0.948 0.388 *** Caratteristiche individuali Età (Rif.15-29) -0.139 0.871 30-39 -0.349 0.705 *** 40-49 -0.498 0.608 *** 50 e oltre

Istruzione (Rif. Fino all’obbligo) 0.048 1.049

Scuola professionale 0.082 1.085

Secondaria superiore 0.183 1.201

Universitaria

Anzianità migratoria (Rif. Fino a 5 anni) 0.353 1.424 ***

6-10 anni 0.455 1.576 ***

11-15 anni 0.723 2.061 ***

Oltre 15 anni

Esperienza di lavoro prima della migrazione (dummy) 0.337 1.401 ***

Migrazione economica (dummy) 0.106 1.112

Ricongiungimento familiare (dummy) -0.157 0.855

Guerre, persecuzioni(dummy) 0.418 1.519 **

Difficoltà con la lingua (dummy) 0.155 1.167 *

Costante -3.797 0.022 ***

Numerosità 12 918

Nota: *** p<0.01, ** p<0.05, * p<0.1.

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8. La percezione della discriminazione etnica sul lavoro

gine, il motivo della migrazione, l’anzianità migratoria e la difficoltà con la lingua16. Il focus dell’analisi multivariata è dunque sul ruolo che l’area di origine riveste sulla probabilità di riportare episodi di discriminazione poiché, nell’analisi descrittiva, questa dimensione si è rivelata tra le più rilevanti nel disegnare differenze significative.

I risultati delle stime – presentati nella tavola 8.4 sia in termini di coefficienti logit (β),

sia in termini di odds ratios17 - mostrano come, a parità di caratteristiche socio-anagrafiche, la probabilità di segnalare un episodio di discriminazione vari in modo significativo al va- riare dell’area geografica di origine. In particolare, gli immigrati provenienti dagli altri paesi africani hanno una probabilità significativamente molto maggiore di riportare un episodio di discriminazione rispetto a coloro che provengono dai paesi comunitari dell’Europa oc- cidentale e dagli altri paesi a più elevato livello di sviluppo (che costituiscono il gruppo di riferimento). Seguono, con probabilità significativamente maggiori del gruppo di riferi- mento, gli immigrati dai paesi del Nord Africa, i romeni e i bulgari, coloro che provengono dagli altri paesi dell’Est europeo non comunitario (soprattutto dall’Ucraina) e gli immigrati dai paesi andini del Sud America. Positive ma a un minore livello di significatività statistica sono le stime per gli immigrati provenienti dal Medio Oriente, dal subcontinente indiano e dai paesi balcanici. Per contro, pur essendo positivi i coefficienti, non risultano statistica- mente significative le stime relative agli immigrati provenienti dai paesi comunitari dell’est europeo (che sono soprattutto polacchi), dai paesi latino americani (soprattutto brasiliani, argentini, dominicani e cubani) e dai paesi asiatici dell’estremo oriente, tra i quali i cinesi. Approfondiremo più avanti le ragioni di queste differenze, guardando agli effetti marginali; ma, prima, è utile passare in rassegna il ruolo delle altre variabili considerate.

La variabile relativa al genere, nonostante indichi nell’insieme una minore probabili- tà delle immigrate di riportare un episodio di discriminazione sul luogo di lavoro rispetto agli uomini (coerentemente con quanto messo in luce dall’analisi descrittiva), non risulta statisticamente significativa, né risultano significative le variabili di interazione tra genere e paese di origine.Ciò significa che le immigrate dei diversi gruppi etnici non evidenziano probabilità significativamente diverse da quelle degli uomini della stessa origine di percepire discriminazione di tipo etnico sul lavoro. Le differenze di genere messe in luce dai dati de- scrittivi, pertanto, sono in realtà spiegate da un effetto di composizione che nel modello vie- ne tenuto in considerazione inserendo altre variabili come quella relativa al paese di origine.

Le variabili di controllo relative alle altre caratteristiche individualimostrano la sostan- ziale irrilevanza del titolo di studio, a differenza di quanto emerso da alcune ricerche con- dotte in altri contesti nazionali che mettono in luce come i più istruiti percepiscano una maggiore discriminazione (Russell et al. 2010, Beauchemin et al. 2010). Per spiegare l’as- senza di differenze rilevanti nei nostri dati - che emergevano anche nei dati descrittivi - si può ipotizzare l’azione contrapposta di due diversi meccanismi. Da un lato, è probabile che gli immigrati più istruiti percepiscano una maggiore discriminazione perché sono più in grado di cogliere dinamiche discriminatorie, ma, dall’altro, ci si può attendere che proprio 16 La macro-regione di residenza nel territorio italiano non è stata considerata nel modello poiché si riferisce al luogo di residenza al momento dell’intervista mentre l’episodio percepito di discriminazione potrebbe essere avvenuto in un qualsiasi momento precedente; considerando l’elevata mobilità territoriale degli immigrati (Istat 2006), assumere che la residenza dell’intervistato corrisponda al luogo in cui è avvenuto l’episodio di discriminazione, magari a parecchi anni di distanza, introdurrebbe un elemento di probabile distorsione. Per la stessa ragione questa variabile non è stata inclusa neppure nelle statistiche descrittive del paragrafo precedente.

17 Per semplificare la lettura dei coefficienti del modello logit (β), nella tavola 8.4 è riportata anche la loro trasformazione esponenziale che corrisponde agli odds ratios. Valori degli odds ratios diversi da 1 indicano un’associazione tra le variabili: se superiori all’unità l’associazione è positiva, se inferiori all’unità l’associazione è negativa.

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Vita e percorsi di integrazione degli immigrati in Italia in virtù della maggiore istruzione siano più capaci di evitarle. Ovviamente, utilizzando dati sulla discriminazione percepita, non possiamo valutare se queste differenze sono legate invece alla diversa esposizione oggettiva a fenomeni discriminatori.

Al contrario dell’istruzione, l’età sembra avere un ruolo rilevante, dato che la probabi- lità di riportare un episodio di discriminazione decresce progressivamente passando dai più anziani ai più giovani. Come per l’istruzione, anche in questo caso sono possibili due interpretazioni contrapposte: da una parte, si può, infatti, ipotizzare che i più “anziani” siano più consapevoli dei propri diritti e, quindi, più capaci di rilevare comportamenti discriminatori rispetto ai più giovani; dall’altra, la differenza potrebbe dipendere anche da una maggiore esposizione temporale a oggettivi episodi di discriminazione su base etnica al crescere dell’età.

Per quanto riguarda le variabili di controllo relative all’esperienza migratoria, rilevante e significativa è l’anzianità migratoria con la probabilità di riportare episodi discrimina- zione che aumenta al crescere del tempo trascorso in Italia18. In questo caso, potrebbero agire due meccanismi che si rinforzano a vicenda. In primo luogo, un più lungo periodo di presenza nel paese di destinazione può rafforzare i processi di assimilazione. La mag- giore “vicinanza” ai nativi può accrescere le aspettative in ambito lavorativo e affinare la capacità di riconoscere la discriminazione. In secondo luogo, più lungo è il periodo di per- manenza nel paese, maggiore è l’intervallo temporale in cui gli episodi di discriminazione si sono potuti effettivamente verificare, con un conseguente aumento della probabilità di esserne vittima.

Significativa ma negativa è la relazione tra la probabilità di riportare episodi di di- scriminazione sul lavoro e l’essere immigrati di seconda generazione, così come è stata definita nel paragrafo 8.2. Il risultato è coerente con il minor tasso di discriminazione che questo piccolo gruppo di intervistati (453 casi) presenta rispetto a quelli del resto del campione (5,9 contro 15,8 per cento), sebbene da alcuni studi condotti in altri paesi emerga la tendenza opposta (Beauchemin et al. 2010 per la Francia). Anche in questo caso si deve considerare che differenze nei fenomeni oggettivi – maggiore o minore frequenza di episodi di discriminazione – si intrecciano con le differenze nella percezione di questi ultimi: da un lato, ci si può attendere che gli immigrati di seconda generazione, forti della maggior conoscenza del contesto, siano più capaci di evitare comportamenti discrimina- tori e siano ad essi meno esposti per il fatto di essere più integrati nella società di arrivo. Dall’altro lato, se le loro aspettative sono più elevate di quelle dei loro genitori, è possibile che siano più sensibili e quindi percepiscano più frequentemente i comportamenti discri- minatori. Sul punto, tuttavia, la scarsa numerosità dei casi non ci permette riflessioni più approfondite. L’ancor scarsa presenza delle seconde generazioni nel mercato del lavoro italiano, date le caratteristiche dell’immigrazione nel nostro paese, rende inoltre questo gruppo molto auto-selezionato poiché si tratta per lo più di giovani e giovanissimi. Si può ipotizzare, allora, che il processo di identificazione con le seconde generazioni - e di costruzione delle aspettative – sia ancora acerbo e predomini l’identificazione o con i primo-migranti o con i nativi.

18 In teoria ci si sarebbe potuti attendere un andamento molto simile per le due variabili relative all’età degli intervistati e alla loro anzianità migratoria. In Italia, infatti, data la natura relativamente recente dei flussi migratori in ingresso (e la quota abbastanza ridotta di immigrati non più giovani che arrivano), sono sostanzialmente i più anziani ad avere una più lunga anzianità migratoria. Invece, il fatto che la relazione tra la probabilità di riportare un episodio di discriminazione e l’età sia di segno negativo mentre quella con l’anzianità migratoria sia positiva porta a pensare che gli effetti esercitati dall’una siano indipendenti da quelli esercitati dall’altra.

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8. La percezione della discriminazione etnica sul lavoro

Anche aver avuto un lavoro nel paese di origine accresce la probabilità di riferire espe- rienze di discriminazione. Le ipotesi che si possono fare a riguardo sono almeno due, una generale e una specifica per il contesto italiano, che sono in qualche modo contrapposte. Da un lato, si può ipotizzare che l’esperienza di lavoro nel paese di origine – spesso in condizioni molto peggiori di quelle in Italia – contribuisca a tenere basse le aspettative degli immigrati che, di fronte a esperienze e condizioni di lavoro più positive delle attese sono meno sensibili a rilevare comportamenti discriminatori. Tuttavia, come mostrato dall’analisi delle traiettorie occupazionali nel capitolo 7, poiché spesso chi ha lavorato nel paese di origine sperimenta in Italia un importante declassamento occupazionale in cui rimane intrappolato, si può ipotizza- re che i contesti lavorativi in Italia siano in realtà molto meno qualificati e, nell’insieme, peg- giori di quelli di provenienza, accrescendo sia la percezione sia l’effettivo rischio di esperienze di discriminazione. Si spiegherebbe così, per il caso italiano, la maggior frequenza di episodi di discriminazione citati da coloro che hanno avuto esperienze di lavoro prima di migrare.

Per quanto riguarda, infine, il ruolo della religione, la letteratura sottolinea come la discriminazione su base religiosa si sia accentuata negli anni recenti, andandosi progres- sivamente a intrecciare con quella etnico-razziale (Tuorto, 2012), data la forte relazione tra aree di provenienza e credo religioso. Le statistiche descrittive presentate nelle pagine precedenti sembravano confermare questo fatto, evidenziando differenze rilevanti nel tasso di discriminazione percepito a seconda della religione professata. Nelle stime presentate nella tavola 8.4, tuttavia, una volta tenute in considerazione le caratteristiche individuali, la probabilità di segnalare episodi di discriminazione sul lavoro non varia in modo significa- tivo a seconda dell’appartenenza religiosa dichiarata, ad eccezione del gruppo delle “altre religioni cristiane e ebraica” (la categoria di riferimento è “nessun credo/ateo”)19. Le diffe- renze segnalate dall’analisi descrittiva sono in realtà spiegate da differenze connesse con l’area di origine degli intervistati e ciò è confermato dal fatto che se si esclude dal modello la variabile relativa all’area di origine (dati disponibili su richiesta), gli immigrati di fede mu- sulmana e ancor più quelli che professano le altre religioni cristiane (protestanti, evangelici, copti, testimoni di Geova ecc.) evidenziano una probabilità di riportare episodi di discrimi- nazione significativamente maggiore rispetto a coloro che si dichiarano atei o non credenti. Va considerato, infatti, che gli immigrati che si dichiarano musulmani provengono da aree di immigrazione molto specifiche: il 50 per cento dal Nord Africa, il 10 per cento dagli altri paesi africani e il 30 per cento dai paesi dell’area balcanica (Albania, paesi non comunitari dell’ex Jugoslavia). Per il gruppo formato da coloro che professano le “altre religioni cri- stiane” – la cui probabilità di percepire discriminazione rimane significativamente maggiore dei non credenti anche una volta tenuta in considerazione l’area di origine - la geografia delle provenienze è molto ampia e dispersa e perciò il credo religioso non si sovrappone con specifiche aree di provenienza. In questo caso si può ipotizzare che le pratiche o le appartenenze comunitarie generate da una religione minoritaria possano accrescere sia la percezione di essere discriminati, sia la diffidenza da parte degli autoctoni e la probabilità di oggettivi episodi di discriminazione.

Per quanto riguarda i motivi della migrazione20, chi dichiara di essere emigrato per motivi economici evidenzia una maggiore probabilità di riportare episodi di discriminazione rispetto a chi non ha indicato questa motivazione; al contrario chi dichiara di essere emigrato per 19 In entrambi i modelli è stato considerato anche il gruppo delle mancate risposte data la numerosità (561 casi) e la

possibile selezione che le caratterizza.

20 Ricordiamo che le ragioni indicate dagli immigrati non erano esclusive poiché il questionario prevedeva più risposte. Nel modello, quindi, le ragioni della migrazione sono state trattate come variabili dummy.

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Vita e percorsi di integrazione degli immigrati in Italia ricongiungersi alla famiglia evidenzia una probabilità minore rispetto a chi non indica questa motivazione. Tuttavia, in entrambi i casi, le stime ottenute tenendo in considerazione le ca- ratteristiche individuali non sono significative. Per chi, invece, dichiara di essere fuggito da guerre o persecuzioni la probabilità di riportare discriminazione risulta significativamente più elevata rispetto a coloro che non hanno fornito questa motivazione, anche a parità di caratte- ristiche individuali e area di provenienza. Poiché è poco plausibile immaginare datori di lavoro discriminino maggiormente profughi e rifugiati rispetto agli immigrati economici, possiamo ipotizzare che questi ultimi abbiano un rapporto più strumentale con il lavoro che trovano in Italia e, di conseguenza, aspettative più basse rispetto alle condizioni di lavoro e il trattamento nei luoghi di lavoro di quanto non accada per chi è fuggito da guerre e persecuzioni.

L’ultimo aspetto considerato nel modello riguarda la conoscenza della lingua che, come già illustrato nell’analisi descrittiva, è correlato negativamente con la probabilità di perce- pire discriminazione etnica sul lavoro: chi dichiara di avere qualche difficoltà con la lingua italiana risulta, infatti, avere una probabilità significativamente più elevata di citare episodi di discriminazione rispetto a chi non le indica.

Per sintetizzare i risultati delle stime, possiamo concludere che l’analisi multivariata ha messo in luce come alcune delle differenze emerse dall’analisi dei tassi di discriminazione non siano statisticamente significative, ma ha confermato come il fattore che più sembra strutturare differenze nella discriminazione percepita da parte degli immigrati sia l’area di provenienza. Si tratta di una dimensione complessa poiché se da un lato l’origine etnica può condensare in sé diversi elementi che rendono evidente la condizione di immigrato (tratti somatici, colore della pelle), più immediata l’associazione di stereotipi negativi e perciò più probabile l’esperienza oggettiva di discriminazione nei luoghi di lavoro, dall’altro lato, la provenienza può spiegare diverse “sensibilità” degli immigrati rispetto agli episodi e alle pratiche di discriminazione.

Per mettere meglio a fuoco il ruolo dell’origine etnica è utile guardare agli effetti margi- nali medi dell’area d’origine sulla probabilità di discriminazione percepita, stimati distinta- mente per uomini e donne sulla base del modello presentato nella tavola 8.4 e riportati nei grafici 8.1 e 8.2. Gli effetti marginali medi consentono di apprezzare il cambiamento nella probabilità di riportare episodi di discriminazione etnica al variare del gruppo di origine, in riferimento al gruppo degli immigrati provenienti dai paesi dell’Europa occidentale e dagli altri paesi sviluppati, a parità delle altre variabili incluse nel modello. Ad esempio nel grafico 8.1 il dato relativo ai romeni e bulgari, pari a 0,222 può essere intrepretato nel seguente modo: se l’area di origine degli immigrati (maschi) è la Romania/Bulgaria, la probabilità che venga riportato un episodio di discriminazione cresce del 22,2 per cento rispetto alla probabilità che a riportare un episodio di discriminazione sia uno straniero proveniente dai paesi dell’Europa occidentale o dai paesi a maggiore livello di sviluppo.

Le stime mostrano come, per tutti i gruppi di origine, la probabilità di riportare un episodio di discriminazione sia superiore e significativa rispetto a quella del gruppo di riferimento, con l’eccezione degli immigrati e delle immigrate provenienti dalla Cina e dalle Filippine, delle donne provenienti dai paesi indiani e dall’area del Vicino e Medio Oriente e degli uomini provenienti dal Centro e Sud America (esclusi i paesi andini) o da paesi comu- nitari dell’Est Europa. Inoltre, gli effetti marginali mostrano come le probabilità non siano significativamente diverse tra le diverse aree di origine. Tuttavia, considerando i casi estre- mi da un lato ci sono i nord africani, uomini e donne, e coloro che provengono dagli altri paesi dell’Africa, che risultano i più penalizzati, con una probabilità tra il 22 e il 26 per cento maggiore del gruppo di riferimento. Seguono i romeni e i (pochi) bulgari, e gli immigrati

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8. La percezione della discriminazione etnica sul lavoro

provenienti dall’Est Europa non comunitario, con circa il 22 per cento della probabilità in più. Per comprendere queste differenze si può ipotizzare che la discriminazione percepita, in qualità di variabile soggettiva, in parte colga gli effettivi episodi di discriminazione ma in parte colga le diverse capacità e le diverse “sensibilità” di riconoscere la discriminazione. Così, nel caso dei nord africani e degli immigrati provenienti dagli altri paesi dell’Africa si può ipotizzare che la religione o il colore della pelle possano giocare un ruolo non irrilevante nell’accrescere il rischio di effettivi episodi di discriminazione. Anche alcune ricerche di tipo sperimentale sia sui processi di selezione per determinati impieghi (Allasino et al. 2004, Zegers de Beijl 2000) che sull’accesso al mercato immobiliare in Italia rafforzano questa ipotesi (Baldini, Federici 2011, Membretti, Quassoli 2015), evidenziando come proprio i nordafricani siano il gruppo maggiormente discriminato e come vi sia un forte collegamen- to tra la diffusione di rappresentazioni negative e stigmatizzanti dei vari gruppi nazionali e la probabilità di subire un trattamento differenziale. Nel caso dei romeni, invece, riteniamo che l’esito dipenda dall’intreccio tra gli stereotipi negativi nel contesto di arrivo (e la discri- minazione oggettiva) e le aspettative elevate di coloro che sono emigrati dalla Romania. La “vicinanza” con l’Italia e, soprattutto, il fatto di essere cittadini comunitari rende più inattesi e quindi più facilmente percepibili comportamenti discriminatori nella società di arrivo.

Sul versante opposto le immigrate provenienti dai paesi asiatici (indiane, pakistane e ben- galesi) e gli immigrati e le immigrate cinesi e filippine evidenziano una probabilità di riportare episodi di discriminazione non significativamente diversa da quella dei cittadini comunitari dell’Europa occidentale. È piuttosto difficile fare ipotesi riguardo la minore esposizione di que- sti gruppi di immigrati a episodi di discriminazione sui luoghi di lavoro. Per gli immigrati e le immigrate cinesi è plausibile che la forte presenza di piccole imprese gestite da connazionali

-0,20 -0,15 -0,10 -0,05 0,00 0,05 0,10 0,15 0,20 0,25 0,30 0,35 0,40 0,45 0,50 0,55 0,60 Es t E ur opa co mu ni ta rio R om an ia e Bu lg ar ia Pa es i b alc an ic i (A lb an ia , Ex- Ju go sl avi a) Es t E ur opa no n co mu ni ta rio C ent ro e Su d Am er ic a Pa es i a nd in i N or d A fri ca Al tra A fri ca Vi cin o e Me di o O rie nte (inc lu sa Indi a) As ia e Es tremo O rient e (in clu sa C in a)

Grafico 8.1 - Effetti marginali medi dell’area di origine sulla probabilità di riferire un episodio di discriminazione sul lavoro - Uomini

Fonte: Istat, Indagine Condizione e integrazione sociale dei cittadini stranieri - Anni 2011, 2012

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Vita e percorsi di integrazione degli immigrati in Italia possa rendere effettivamente meno frequente la convivenza con persone di nazionalità diversa e quindi ridurre la probabilità di esperienze di discriminazione sul lavoro. Ma questa è solo una parte della questione, in quanto potrebbero giocare anche, come accennato per altre dimen- sioni, diversi livelli di sensibilità e diverse aspettative rispetto ai comportamenti di datori di la- voro e colleghi. Per gli immigrati filippini è probabile invece che il minor rischio di discrimina- zione percepita sia legato al fatto che più probabilmente lavorano in contesti domestici, dove il contatto con altri colleghi è assente (Catanzaro, Colombo 2004, Fullin, Vercelloni 2009).

8.5 Gli episodi di discriminazione avvenuti nel lavoro svolto al momento dell’intervista

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