2.4 L’Italia prima di partire
Tavola 8.5 Tassi di discriminazione etnica nel lavoro attuale, per caratteristiche individuali e dell’occupazione svolta
(per 100 cittadini stranieri con le stesse caratteristiche)
Uomini Donne Totale
Cittadini stranieri arrivati in Italia con età superiore ai 12 anni (prime generazioni) 7.9 Caratteristiche individuali
Genere Uomini 9.4
Donne 6.1
Ripartizione geografica residenza Centro-Nord 9.1 6.1 7.7
Sud 11.4 6.0 8.8
Anzianità migratoria Fino a 5 anni 8.0 7.9 8.0
6-10 anni 9.7 6.4 8.0
11-15 anni 9.4 5.2 7.5
Oltre 15 anni 10.1 4.2 8.0
Caratteristiche dell’occupazione
Posizione nella professione Dipendente 9.28 6.01 7.7
Indipendente 10.05 6.65 8.8
Dimensione di impresa Fino a 10 addetti 7.5 4.7 5.9
Oltre 10 addetti 10.9 9.9 10.6
Settore di attività Agricoltura 12.8 5.0 10.8
Industria 11.0 6.2 10.0 Costruzioni 8.7 3.8 8.6 Commercio 10.6 6.8 9.3 Trasporti e magazzinaggio 11.9 15.5 12.2 Alberghi e ristoranti 6.0 9.2 7.8 Informazione e comunicazione 6.1 8.5 7.6
Pubblica Amministrazione e Istruzione 7.7 5.0 6.1
Sanità e assistenza sociale 5.0 7.0 6.7
Altri servizi personali 7.9 6.2 6.6
Personale domestico presso le famiglie 2.6 3.5 3.4
Cittadini stranieri nati in Italia o arrivati con età inferiore ai 13 anni (generazioni 1.5, 1.75 e 2) 2.9
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Vita e percorsi di integrazione degli immigrati in Italia multivariata. A livello descrittivo è particolarmente interessante soffermarsi su quanto ci raccontano le variabili relative all’occupazione svolta (Tavola 8.5). Il tasso di discriminazio- ne non differisce molto tra lavoratori dipendenti e indipendenti (gli autonomi mostrano un tasso di discriminazione leggermente superiore: 8,8 per cento contro 7,7 per cento rilevato tra i dipendenti). Come è noto (Reyneri, Pintaldi 2013), i lavoratori stranieri in Italia trovano impiego molto più frequentemente in imprese di piccole dimensioni di quanto non accada per gli autoctoni. Il tasso di discriminazione, risulta molto più elevato per coloro che lavo- rano in imprese con più di dieci addetti che non nelle realtà aziendali più piccole.I tassi di discriminazione, infine, variano a seconda del settore di attività economica. I dati totali, per maschi e femmine insieme, mostrano tassi elevati di discriminazione etnica (tra 12 e 10 per cento) in agricoltura, industria e trasporti e magazzinaggio, commercio (9,3 per cen- to) e costruzioni (8,6 per cento). I dati risentono del fatto che donne e uomini hanno tassi di discriminazione percepita diversi e si distribuiscono in modo diseguale tra i settori. Possiamo quindi guardare ai dati disaggregati per genere in cui si nota come per gli uomini il settore dove sono in assoluto più frequenti gli episodi di discriminazione sia l’agricoltura, seguita dai trasporti e magazzinaggio, industria e commercio, mentre le costruzioni mostrano valori infe- riori alla media. Per le donne, invece, il settore a più elevato tasso di discriminazione è quello dei trasporti e magazzinaggio – dove sono però poco numerose – seguito dalla ristorazione. Il lavoro domestico mostra incidenze molto basse di episodi di discriminazione.
8.6 La discriminazione sul lavoro attuale: i risultati dell’analisi multivariata
Per approfondire le esperienze di discriminazione sul lavoro attuale, abbiamo procedu- to all’analisi multivariata della probabilità di riportare episodi di discriminazione nell’attuale lavoro per chi è occupato, sulla base di un modello logit (simile a quello stimato in prece- denza) che, oltre a considerare l’area di origine degli immigrati, le loro caratteristiche indivi- duali, il credo religioso e alcune caratteristiche dell’esperienza migratoria, introduce alcune variabili di controllo relative all’occupazione svolta. In particolare, sono stati considerati il settore di attività economica, la classe dimensionale di impresa - dicotomizzando tra le imprese fine a 10 e quelle con oltre 10 addetti - e la posizione nella professione (dipendente vs indipendente). Nel modello, inoltre, è stato inserito un controllo relativo alla variabile ter- ritoriale della residenza che distingue tra regioni del Centro-nord e regioni del Mezzogiorno. I risultati delle stime confermano il ruolo delle variabili utilizzate nel modello preceden- temente stimato, con l’area di origine per lo più significativa, assieme all’età, all’anzianità migratoria, all’aver lavorato nel paese di origine prima di emigrare e alle difficoltà con la lingua. Le seconde generazioni confermano una minore probabilità di riportare episodi di discriminazione rispetto ai primo-migranti mentre il genere, il titolo di studio, la religione si confermano non significative. Visti gli stessi risultati di questo modello rispetto a quelli ottenuti dal modello precedente per le principali variabili in questione23, nella tavola 8.6 si presentano i risultati relativi alle sole variabili aggiuntive.
23 Ci sono comunque eccezioni minori: considerando il lavoro attuale perdono di significatività la maggiore probabilità di riportare episodi discriminazione rispetto al gruppo di riferimento, degli immigrati provenienti dai paesi balcanici e di quelli provenienti dal Vicino e Medio Oriente, inclusi i paesi indiani. Cambia invece il segno del coefficiente stimato per gli immigrati che si sono spostati in ragione di guerre e persecuzione che a differenza di quanto è emerso nel modello procedente evidenziano ora una minore probabilità di riportare un episodio di discriminazione rispetto a chi non ha indicati i motivi politici/religiosi tra le ragioni della migrazione.
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8. La percezione della discriminazione etnica sul lavoro
Partendo dalla ripartizione territoriale di residenza, le stime mostrano che a parità di tutte le altre condizioni considerate, gli immigrati hanno una maggiore e significativa proba- bilità di riportare episodi di discriminazione nelle regioni del Mezzogiorno, rispetto a quelle del Centro-Nord, confermando quanto era già emerso dall’analisi descrittiva.
Per quanto riguarda invece le caratteristiche dell’occupazione svolta, contrariamente a quanto emerge dalle statistiche descrittive, le differenze per settore non risultano mai significative24. Sebbene non significativi, gli odds ratios risultano però particolarmente ele- vati per il settore dei trasporti e del magazzinaggio, ad indicare che se la relazione fosse statisticamente significativa, in questo settore la probabilità di riportare episodi di discri- minazione sarebbe più elevata rispetto al settore di riferimento (l’agricoltura). Al contrario gli odds ratios risultano particolarmente bassi nel settore domestico, per quanto anche in questo caso non significativi, ad indicare che nel lavoro presso le famiglie la probabilità di discriminazione potrebbe essere inferiore. Come già sottolineato il contesto del lavoro domestico limita l’esposizione agli atteggiamenti ostili e ai comportamenti discriminatori di colleghi e superiori, sia nativi, sia di altre nazionalità.
Anche la posizione della professione, contrariamente a quanto evidenziato dai tassi di discriminazione, non sembra rilevante mentre, in linea con le statistiche descrittive, le di-
mensioni di impresa contano: chi lavora nelle imprese più grandi ha una probabilità di ripor-
tare episodi di discriminazione significativamente superiore rispetto a coloro che lavorano in imprese con meno di 10 addetti. In contesti di dimensioni ridotte, dove le relazioni sono più informali e più strette, è possibile che i lavoratori stranieri trovino maggiori possibilità di tessere relazioni con colleghi e datori di lavoro di quanto non accade in contesti organiz- zativi più complessi, formali e impersonali. Queste relazioni personali – grazie al cosiddetto “effetto Lapiere (1934)” – riducono la probabilità che abbiano luogo comportamenti discri- minatori in quanto, se anche esistono pregiudizi ostili diffusi verso gli immigrati, essi si accompagnano spesso ad atteggiamenti di accoglienza verso l’immigrato presentato da un amico, o conosciuto direttamente come collega di lavoro, che – quasi come un’eccezione - viene considerato un ottimo lavoratore e un’ottima persona (Ambrosini 2000). D’altronde i contesti di minori dimensioni sono anche quelli che più facilmente possono licenziare i lavoratori, cosicché se si sono relazioni difficili tra i (pochi) addetti, coloro che sono meno inseriti nel gruppo o che il gruppo di altri lavoratori non riesce a integrare, come per esem- pio i lavoratori stranieri verso cui si nutrono pregiudizi e avversione, possono essere più facilmente allontanati.
La dimensione di impresa, dunque, è l’unica delle variabili occupazionali che risulta si- gnificativa. Calcolando gli effetti marginali medi della classe dimensionale sulla probabilità di riferire un’esperienza di discriminazione sull’attuale luogo di lavoro, risulta però che la differenza è relativamente contenuta perché gli immigrati che lavorano in imprese con oltre 10 addetti hanno il 4 per cento di probabilità in più di riportare episodi di discriminazione rispetto agli immigrati che lavorano in quelle più piccole.
24 Il modello è stato stimato anche in una versione distinta per uomini e donne nel tentativo di tenere conto del diverso profilo di occupazione degli immigrati - molto più concentrati nel lavoro industriale, edile e nei servizi non qualificati - e delle immigrate, molto più concentrare nel lavoro domestico e di cura presso le famiglie. Anche in quella versione il settore non risulta mai significativo per cui si è optato per la stima del modello sul campione complessivo degli immigrati e delle immigrate, in analogia a quanto fatto nel modello stimato in relazione a qualsiasi episodio di discriminazione sul lavoro.
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Vita e percorsi di integrazione degli immigrati in Italia8.7 Conclusioni
In questo capitolo, ci siamo proposti di analizzare la discriminazione percepita da- gli immigrati nel mercato del lavoro italiano sulla base dei dati rilevati dall’Indagine sulla
Condizione e Integrazione Sociale dei Cittadini Stranieri, che per la prima volta indagano
la percezione della discriminazione in un quadro informativo relativo anche all’esperienza migratoria. L’analisi si è concentrata sugli immigrati con cittadinanza straniera, per lo più immigrati di prima generazione, e si è focalizzata sulla discriminazione sui luoghi di lavoro attribuita al fatto di essere stranieri.
Come illustrato nel primo paragrafo, la discriminazione può essere rilevata e studiata in modi diversi. Se, da un lato, i dati sulle percezioni di essa da parte dei soggetti che la subiscono possono apparire una fonte diretta e quindi meno soggetta a distorsioni dei dati rilevati indirettamente attraverso simulazioni o analisi delle penalizzazioni che potrebbero nascondere pratiche discriminatorie, dall’altro lato, essi hanno un limite con cui ci siamo misurati di continuo nel corso delle analisi: rilevano le percezioni soggettive di un fenome- no che non è sempre facile qualificare. Nell’analisi dei dati sulla discriminazione percepita, pertanto, è necessario tenere sempre in considerazione che la maggior frequenza degli episodi di discriminazione citati da un gruppo di soggetti rispetto ad un altro può essere determinata sia da una maggior esposizione oggettiva a comportamenti discriminatori sia da una maggior consapevolezza e capacità di individuazione di questi ultimi sia, ancora, da una maggior predisposizione a leggere i comportamenti altrui come discriminatori anche quando essi non necessariamente lo sono. Le aspettative degli individui, insieme alla loro capacità di leggere il contesto in cui si trovano, giocano un ruolo importante a questo riguardo: chi soffre particolarmente per le difficoltà di integrazione nel paese di arrivo, ad esempio, così come chi aspira più fortemente a integrarsi, sarà probabilmente più sensibile a comportamenti discriminatori che questa integrazione negano.
Tavola 8.6 - Stime logit (odds ratios) della probabilità di riferire un’esperienza è di discriminazione sull’attuale luogo