NELLA CONQUISTA ARAGONESE DELLA SARDEGNA
7. La congiura anti-pisana e filo-aragonese dei burgenses Alla fine del
a Cagliari si verificò una congiura di elementi contrari ad una linea anti-aragonese e favorevole alla ripresa della guerra, che andava sempre più affermandosi, seguito dal passaggio di alcuni burgenses al campo aragonese. I protagonisti furono personaggi di primo piano tra i burgenses, cioè tra quella parte della popolazione della città sarda che, residente nel castello da generazioni, aveva allentato i rapporti con la madre- patria pisana e forse auspicava un’autonomia decisionale di Cagliari rispetto al comune toscano, autonomia che non escludeva non solo l’accettazione della signoria aragonese, ma anche la possibilità di una convivenza con i gruppi mercantili catalani che potevano sostituirsi a quelli pisani. Nelle motivazioni che li spinsero alle decisioni di dar vita ad un colpo di mano anti-pisano non vanno escluse le relazioni che alcuni tra loro intrattenevano con il giudice d’Arborea.
L'episodio va inquadrato nel contesto di un progressivo deteriorarsi delle relazioni tra Cagliari e Bonaria, il nuovo centro, voluto dall'Infante, in cui risedevano i catalano-aragonesi che lo avevano seguito. Esse, già a metà del 1323 evolvevano verso uno stato di tensioni caratterizzato da reciproci episodi di violenza che
318 ) Secondo ROSSI SABATINI, Pisa al tempo dei Donoratico (1316-1347), cit., p. 139, la colpa del cedimento di
Pisa all'accordo con l'infante va attribuita a Ranieri di Donoratico che avrebbe anteposto gli interessi familiari in Sardegna a quelli del Comune, mentre per ARRIBAS PALAU, La conquista de Cerdeña, cit., p. 257, la pace era inevitabile
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coinvolsero abitanti e mercanti dei due centri, vicende che furono all'origine di un'attività diplomatica tra Pisa e la corte aragonese dagli esiti deludenti.
Nel castello di Cagliari, dunque, nel dicembre del 1324, alcuni burgenses diedero vita ad una trama per cacciare gli officiali e i soldati pisani e concedere la città al re aragonese, tentativo stroncato sul nascere dai castellani e apparentemente senza grosse conseguenze, se non l’espulsione e la condanna dei protagonisti319. L'episodio risulta interessante non solo perché rivela gli orientamenti di una parte dei più eminenti burgenses cagliaritani, e le relazioni tra alcuni ambienti cittadini e le autorità aragonesi e il giudice d'Arborea, ma anche perché i protagonisti della congiura, alcuni dei quali passarono a Bonaria, in seguito, quando il castello cagliaritano fu ripopolato da catalani, ebbero la possibilità di risedervi proprio a motivo della fedeltà al re aragonese, e quindi costituirono quel gruppo di pisani che, insieme ad altri forestieri, ebbero analoghi privilegi dei pobladors iberici nella Cagliari catalano-aragonese.
Il resoconto più ampio della trama dei burgenses cagliaritani contro il Comune pisano e a favore del passaggio della città sarda all’Aragona è presente in una lettera dei primi giorni del gennaio 1325, inviata a Giacomo II da Guillem Oulomar, futuro console dei catalani in Sardegna, consigliere dell’infante Alfonso, protagonista delle trattative che precedettero la conclusione della prima pace con il Comune pisano, tra i più attenti osservatori e relatori delle vicende belliche320. All’interno del castello cagliaritano – raccontò – si era verificata “gran divizió” tra i polins – termine con il
319 ) L'episodio è stato reso noto, per primo da ROSSI SABATINI, Pisa al tempo dei Donoratico, cit. p. 140, sulla
base di alcuni documenti dell'ASP, che più avanti saranno analizzati. Sulla base di quella documentazione vi ha accennato, senza particolari approfondimenti o valutazioni, ARRIBAS PALAU, La conquista de Cerdeña, cit., p. 319.
TANGHERONI, Alcuni aspetti della politica mediterranea di Giacomo II, cit., pp. 112, 137-138. CADEDDU, Giacomo II d'Aragona e la conquista del regno di Sardegna e Corsica, cit., p. 292, mentre TANGHERONI, Alcuni aspetti della
politica mediterranea di Giacomo II, cit., p. 138, aggiungendo qualche dato documentale, ha proposto
un’interpretazione, considerandolo piuttosto limitato e senza possibilità di successo. Esso, anzi, indirettamente rappresenterebbe una conferma che nella città sarda la gran parte della popolazione condivideva la stessa linea politica di Pisa, di «resistenza e rivincita» nei confronti del nemico.
320 ) Sugli Oulomar feudatari in Sardegna, vedi C.CRABOT
, Noblesse urbaine et féodalité. Les citoyens catalano- aragonais feudataires en Sardaigne aragonaise (1324-1420), in «Anuario de estudios medievales» 32/2 (2002), pp.
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quale i catalani indicavano i burgenses – da una parte, e i castellani e i soldati che Pisa aveva inviato nella città sarda, dall’altra. A causa di quella situazione, per quattro giorni dal castello non era uscito nessuno, né era stato permesso ai catalani di entrarvi. Ma nel momento in cui Oulomar scriveva, era di nuovo possibile per i catalani accedere entro le mura cagliaritane, purché senza armi, mentre prima dell’episodio della congiura, era lecito entrarvi anche armati. I motivi della scelta delle autorità pisane, di vietare l’ingresso ai catalani in possesso di armi, secondo quanto il console era in grado di sapere, risiedevano nel fatto che i polins cagliaritani erano scontenti della signoria di Pisa e volevano che la città passasse a quella aragonese, e quindi, evidentemente, si temeva che i catalani armati potessero, in qualche modo, favorire queste aspirazioni. I polins, infatti, avevano tentato di organizzare una rivolta contro i castellani e i soldati pisani, ordinando di ucciderli e di affidare il castello agli officiali aragonesi. Se il re – continuava lo scrivente - per rispetto della pace sottoscritta con Pisa, non avesse voluto accettare la concessione del castello, essi sarebbero stati disposti a reggere da soli il governo e ad affidare la città al giudice d’Arborea il quale poi l’avrebbe consegnata al sovrano aragonese. I castellani, venuti a conoscenza delle intenzioni dei polins, ne fecero prigionieri molti, mentre circa quaranta – tra i più eminenti – erano fuggiti nell’isola ed altri due, anch’essi tra più in vista, erano stati giustiziati con la decapitazione321. Fin qui il racconto di Guillem Oulomar.
321 ) ACA,
Cancilleria, Cartas reales Jaume II, caja 85, f. 10.343 ([1325], gennaio 8), in gran parte trascritta in Diplomatario aragonés de Ugone II de Arborea, Edizione di Rafael Conde y Delgado de Molina, Stampacolor Industria
Grafica, Muros (SS) 2005 (Raccolta di documenti editi e inediti per la storia della Sardegna, vol. 6), n.127 (pp. 153- 154): «Senyor, el Castell de Càller a ahuda gran divizió entre los polins del Castell e los castellonos e soldats qui hi són
de Piza, així que ben per IIII jorns no exí null hom de Castell ni hi leixaren entrar català negun, e ara leixen-hi entrar catalans sens arms negunes, e ans que assó fos podia entrar tohom ab arms. La rahó, senyor, perquè assò han fet, aytant com jo n-e pogut saber, és que.ls polins del Castell són fort despagats de la senyoria de Piza e volrien ésser de la vostra senyoria e que vós, senyor, poderosament tenguéssets lo Castell. En així que dien que los polins avien hordonat que.s alsassen contra los castellans e los soldats de Piza, que.ls tallassen tots e que liurassen lo Castell a vos, senyor, e als officials vostres. E si vós, senyor, per raho de la convinensa de la pau reebre no.l volguessets, que.l tenguessen per ells mateys e que.l liurassen al jutge d’Arborea, pensant que depuys ben tornarà a vostra senyoria. E així, senyor que los castellans del Castell saberem assó, an prezes molts polins, e an fuyts ben XL dels mellors qui y eren e són per la illa, e an-ne tolt lo cap dins el Castell a II los mellors que y eren”. Vedi anche CADEDDU, Giacomo II d'Aragona e la
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La documentazione pisana offre, però, altri particolari su quanto era accaduto. Infatti, i castellani di Cagliari avvertirono il Comune pisano con lettere del 1° gennaio, che a Pisa vennero discusse il 18 dello stesso mese, dal consiglio dei savi, formato da quarantacinque membri “rappresentanti pressoché tutte le principali famiglie pisane del momento”322. In esse si offriva un resoconto – di cui è noto solo quanto sintetizzato nel registro dei magistrati pisani – del tentativo di alcuni
burgenses di far ribellare Cagliari contro il Comune pisano e della situazione dei
protagonisti della congiura: chi era stato ingannato, chi era al confino, chi era stato bandito, chi si era nascosto323. Lo stesso 18 gennaio i savi decisero d’inviare una
vacchetta, accompagnata da lettere in cui si appoggiavano le decisioni già prese dai
castellani, che comunque venivano invitati a compiere un’inchiesta, a punire i colpevoli e a cacciare dal castello e dal suo territorio i familiari, maschi e femmine, di qualsiasi condizione fossero, sia di coloro che tra i burgenses erano stati già banditi, sia di quelli che lo sarebbero stati, mentre le loro abitazioni dovevano essere confiscate a favore del Comune pisano324. Il 19 gennaio i savi tornarono sulla questione: pur lasciando ai castellani facoltà di prendere le decisioni ritenute più opportune, li invitavano a risparmiare quelli che si fossero dimostrati disponibili ai loro ordini e a mandarli a Pisa con la promessa che sarebbero stati trattati bene325.
Il 26 gennaio del 1325 ben centoquarantatrè savi pisani discussero le nuove lettere giunte con il pisano Ciolo Formentini e il burgensis Pedone, giudice, ambasciatori inviati da tutte le principali autorità cagliaritane: castellani, anziani,
322 ) TANGHERONI, Alcuni aspetti della politica mediterranea di Giacomo II, cit p. 138. 323 ) ASP,
Comune A, reg. 50, f. 42v: i savi pisani esaminarono le lettere dei castellani che contenevano «novitates ibi ortas de quibusdam burgensibus qui intendebant et contraverant rebellare terram Castelli comuni pisano certo modo et ordine un in ipsis licteris continetur, quorum burgensium aliqui sunt decepti, aliqui confinati, aliqui banniti et aliqui recesserunt in requisiti prout dicte lictere declarant».
324 )
Ibidem, f. 43v: «Remictatur vacchetta ad Castellum statim […] cum litteris pisani Comunis quibus comendetur dicti castellani de gestibus usque tunc, et quod studeant veritatem negotii inquirere et investigare et culpabiles viriliter puniere, et familias omnes exbannitorum et exbannendorum pro proditione tam mares quam feminas cuiuscumque condictionis expellatur de terra e eius confinibus, et quod aliquas domos occasione predicta non destinant set eas teneri faciant pro comuni».
325 ) Ibidem, f. 45r: «Mictantur statim lictere castellanis predictis quod inquirendo factum, si possunt facere quod
illi venient ad mandata, recipiant eos, servando eos de personis, dum modo veniant Pisas ad confines et dicendo que Pisis bene tractabuntur et circa ea que in predictis videntur necessaria et opportuna».
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consoli del porto e capitani delle rughe. Esse riguardavano ancora la congiura dei
burgenses cagliaritani – «super tractatu prodicionis quem fecerunt certi burgenses Castelli et perdicere intendebant» – oltre ad altre questioni: le offese degli officiali e
di semplici catalani verso i pisani, il censo da pagare al re e all’infante, la mancanza di grano, orzo e paglia, la condizione dei soldati a piedi e a cavallo e delle difese del castello326. Il 31 gennaio i magistrati della città dell’Arno, stabilite importanti decisioni riguardanti le fortificazioni di Cagliari, l’invio di due galee con soldati, l’aumento dei salari degli officiali pisani, esaminati i processi già svolti dai castellani contro i burgenses traditori e le testimonianze recapitate con l’ambasciata, decisero di inviare nella città sarda, come ambasciatore, il notaio Nocco Castiglione327, con il compito di far esiliare i condannati e le loro famiglie a Pisa o nel contado, in Barberia o a Napoli – «confinentur vel Pisis, vel in comitatu, vel in Barbaria vel Neapoli» - e di inviare nella città toscana quelli che erano tenuti in carcere e i sospettati con i loro parenti. In particolare, i castellani dovevano spedire Pucciarello Caulini e il figlio di Lotto Serragli, che si trovavano nel carcere cagliaritano328, evidentemente considerati tra i protagonisti della trama.
I savi pisani tornarono a ridiscutere la questione in risposta ad una nuova lettera dei castellani nella quale si raccontava che il medico Grazia Orlandi –
magister Gratia – e Mascerone Bonaquisto ed altri burgenses – tra cui Lotto
Serragli329 - erano contumaces. Accordatisi con i catalani, si erano rifugiati a Bonaria e avevano nominato un procuratore per dichiarare davanti ai castellani che in quanto
burgenses del centro catalano, non era più sottoposti alla loro giurisdizione. A
326 ) ASP,
Comune A, reg. 50, f. 55v.
327 )
Ibidem, f. 57r. Il mandato dell’ambasciatore veniva illustrato ai castellani attraverso una lettera affidata a
Vanni Granchi, capitano di due galee, con le quali avrebbe trasportato soldati «versus partes Castelli castri». Doveva trattarsi di Giovanni Granchi, probabile fratello del poeta Ranieri, e futuro capitano di Cagliari: M.RONZANI, Granchi,
Ranieri, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2002, vol. 68, pp. 450-451.
328 ) ASP,
Comune A, reg. 50, f. 57v: «Et mictant Pisas Pucciarellum Caulinum et etiam filium Locti Serragli quos habent in carceribus»-.
329 ) ACA, Cancilleria, reg. 403, f. 116v (1327, luglio 25): ordinando di restituire i beni che Grazia Orlandi e Lotto
Serragli avevano nel castello di Cagliari, il re ricordava che essi, oriundi del castello, erano diventati burgenses di Bonaria.
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difenderli era intervenuto Berenguer Carrós, che allora ricopriva le funzioni di governatore ed era figlio dell’ammiraglio Francesc, protagonista della conquista della Sardegna e massimo esponente del “partito della guerra” nel campo aragonese330: l’officiale regio aveva scritto ai castellani cagliaritani, non solo per ribadire che essi non potevano procedere contro chi era ormai era burgensis di Bonaria, ma anche per pretendere che essi partecipassero,“in adiutorum domini regis et domini Infantis”, ad una spedizione contro la villa di Seulo, che si era ribellata, per riportarla all’obbedienza del nuovo sovrano331. Il caso dei burgenses “traditori” diveniva dunque occasione, insieme ad altre questioni, per riaffermare, da parte delle massime autorità aragonesi, la sottomissione e i doveri a cui erano tenuti gli officiali cagliaritani nei confronti del sovrano e dei suoi rappresentanti, dal momento che la città sarda era infeudata a Pisa, ma apparteneva a Giacomo II. I savi pisani, sulla base di queste informazioni, decise le solite fortificazioni e ordinata la custodia “terre
Castelli”, chiesero ai castellani di fare in modo che “contumaces et exitictios”
rispondessero ai loro ordini e si ripresentassero al loro cospetto332.
La sorte dei burgenses incarcerati e banditi venne di nuovo discussa dai savi, il 4 marzo, quando tornò a Pisa l’ambasciatore, Nocco Castiglione, inviato a Cagliari per chiudere il caso. L’ambasciatore era latore di una lettera dei castellani che descriveva la situazione cittadina, i comportamenti dei catalani, del giudice arborense, dei marchesi Malaspina, e più in generale dei sardi – «super condicionibus
330 ) ASP,
Comune A, reg. 50, f. 67r (1325, febbraio 16): Berenguer Carrós è chiamato officiale dell’infante.
Successivamente fu nominato capitano di Bonaria e suo padre Francesc governatore. Vedi M. TANGHERONI, Su un contrasto tra feudatari in Sardegna nei primissimi tempi della dominazione aragonese, in IDEM, Sardegna
Mediterranea, cit., pp. 5-20, in particolare p. 8; M. M. COSTA, Un episodi de la vida de Ramon de Peralta, in
Mediterraneo medievale. Scritti in onore di Francesco Giunta, Rubettino, Soveria Manelli (CZ)1989, 3v, I, pp. 313-
327, in particolare p. 316. Sui Carrós, feudatari di origine valenzana in Sardegna, vedi Genealogie medioevali di
Sardegna, cit., pp. 398-409.
331 ) La villa Seulo si trovava nella curatoria di Barbagia Seulo, al confine meridionale con la parte centrale della
Barbagia. Su questo territorio nel Trecento, S.PETRUCCI, Al centro della Sardegna: Barbagia e barbaricini nella prima
metà del XIV secolo. Lo spazio, gli uomini, la politica, in Sardegna, Mediterraneo e Atlantico tra Medioevo ed Età Moderna, I: Sardegna, cit, pp. 283-318.
332 ) ASP,
Comune A, reg. 50, ff. 67r (1325, febbraio 16); 67r (1325, febbraio 1325), 68r (1325, febbraio 2): fu
stabilito che un certo numero di savi esperti si sarebbero messi a disposizione degli anziani pisani per affrontare le diverse questioni relative alla situazione sarda
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ynsule et Catalanorum et iudicis Arboree et marchionum et Sardorum et aliorum» –
oltre che relazionare sui carcerati ed altri “borghesi” che erano stati spediti a Pisa – «super carceratis et aliis burgensibus missis ad civitatem super galeis Comunis per
dictos castellanos occasione prodictionis» -, come richiesto dai savi, e su quelli
banditi che avevano promesso di recarsi a Napoli, «promiserunt ire Neapolim ad
confines»333. I magistrati pisani stabilirono che i burgenses già incarcerati a Pisa non
si sarebbero potuti allontanare dalla città, mentre quelli che si trovavano ancora nel carcere cagliaritano, cioè Pucciarello del fu Batto Caulini, Vannuccio, figlio di Lotto Serragli – questi già ricordati all’inizio di gennaio – e Vanni Ursi e Romano Napoleone dovevano passare nella città toscana. I castellani erano invitati a indagare sui loro delitti e a procedere come meglio ritenessero334. I savi, infine, manifestarono compiacimento del fatto che Grazia Orlandi, Lotto Serragli ed altri, che avevano lasciato il castello cagliaritano a causa della congiura in cui erano implicati, avessero promesso di andare a Napoli e si erano accordati con l’ambasciatore inviato da Pisa sul loro esilio335.
In una nuova ambasciata cagliaritana ricevuta dai savi il 5 maggio 1325 si tornò sulla questione dei colpevoli di tradimento: i magistrati pisani presero atto di quelli che erano fuoriusciti a Napoli, ai quali andavano confermate le promesse fatte loro (forse relative ai beni cagliaritani), mentre per quelli – tra cui erano nominati Piero e Mello Costantini – che non avevano obbedito a quanto richiesto dal Comune pisano, invitavano i castellani ad agire come ritenessero più opportuno336. La
333 ) ASP,
Comune A, reg. 50, f. 73r (1325, marzo 4). Nocco di Castiglione negli anni precedenti era stato eletto
savio a Pisa e aveva partecipato nel 1309 alle trattative con il re aragonese: CRISTIANI, Nobiltà e popolo nel Comune di
Pisa, cit., pp. 218, 220, 284.
334 ) ASP,
Comune A, reg. 50, f. 74r (1325, marzo 5).
335 ) ASP, Comune A, reg. 50, f. 74v (1325, marzo 5): «Et quod de Magistro Gratia e Locto Serraglio et aliis que
exiverunt de Castello pro novitatibus ibi occursis et de quibus inculpati fuerunt et qui promiserunt ire Neapolim respondeatur castellanis quod sumus contenti de eo quod tractavetur et firmavetur cum ser Nocco Castilionis. Et quod studeant quod vadant sicut promiserunt et quod rescribant sicut inde fecerint».
336 ) ASP,
Comune A, reg. 50, ff. 96r-97r (1325, maggio 5), in TANGHERONI, Alcuni aspetti della politica
mediterranea di Giacomo II, cit., pp. 155-156 (doc. VI): «De extrinsecis vero qui iverunt Neapolim et obediverunt, contentatur comune et placet ei quod promissa serventur eis, prout rescribitur castellanis per speciales litteras. De Pero et Meglo Costantini et aliis qui non obediverunt, faciant castellani officium suum sicut viderint convenire».
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questione a Pisa doveva considerarsi chiusa, se nelle istruzioni all’ambasciatore Bene da Calci, inviato a Cagliari, ad essa non si faceva alcun cenno337.
Dunque, la trama per sollevare Cagliari contro i castellani, i soldati e i rappresentanti del Comune pisano, e darlo ai catalani coinvolse circa o forse oltre quaranta burgenses: non pochi, considerando che, come si vedrà, almeno quelli noti, appartenevano ai ceti più eminenti della società cagliaritana all’interno della quale, dunque, non mancavano aree di ostilità verso la madre-patria. La trama fu soffocata sul nascere da un’azione sembra efficace e dura – i due condannati a morte – dei castellani, sostenuti da Pisa, quindi si cercò di arrivare a patti di sottomissione da