NELLA CONQUISTA ARAGONESE DELLA SARDEGNA
1. Ipotesi per un accordo Negli anni 1307-1309, le trattative tra
Giacomo II e le città guelfe toscane – Lucca e Firenze – conobbero progressi nella prospettiva propria del re aragonese, di allestire una spedizione per la conquista della Sardegna dove il sovrano aragonese aveva anche stabilito una rete di relazioni a lui favorevoli e aveva concesso in feudo ad esponenti dei Doria e dei marchesi di Malaspina i loro possessi isolani. Preoccupata del possibile accerchiamento, Pisa promosse un'attività diplomatica in cui, a seconda dei momenti e anche degli orientamenti interni, prese in considerazione soluzioni diverse, allo scopo di evitare, almeno momentaneamente, la guerra. Delle diverse proposte e delle risposte aragonesi, qui interessa indicare il ruolo che ebbe la città di Cagliari per la quale Pisa ipotizzò un destino particolare rispetto al resto dell'isola. Nonostante il fallimento delle trattative tra Pisa e Giacomo II, che fu costretto a rinviare la spedizione nell'isola, esse presentarono soluzioni che, da una e dall'altra parte, furono riproposte nelle trattative del 1324, durante la guerra.
Tra il giugno 1307 e il febbraio 1309 il Comune pisano inviò tre ambasciate a Giacomo II. Delle prime due – composte dal nobile Simone da Putignano e dal notaio Ildebrando Guascappa, la prima, e dallo stesso notaio, Ranieri Sampante,
168 ) Quest'espressione che per interno suona «Novitates mundi sunt tot et tales et etiam condiciones Comunis
pisani causa Sardinee», si trova in una risposta negativa al Comune di Arezzo, che chiedeva aiuti militari contro quello
di Firenze, da parte dei savi pisani, il 23 luglio 1322, con la motivazione dei cambiamenti che sarebbero seguiti dalla minacciata offensiva aragonese: ASP, Comune A, reg. 49, f. 54r.
169 ) Parte del discorso di Giacomo II rivolto al figlio, l'infante Alfonso, al momento della partenza per la
conquista della Sardegna, secondo la versione riferita da Pietro il Cerimonioso, figlio di Alfonso, nella sua Crònica: MELONI, L'Italia medioevale nella Cronaca di Pietro IV d'Aragona, cit., p. 36.
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giurisperito ed esponente di una famiglia mercantile con interessi anche nell'isola170, e il miles Giovanni Rosso Gualandi, di un'altra famiglia i cui legami con la Sardegna erano secolari, la seconda - ricevute dal re aragonese rispettivamente nel giugno e nel dicembre 1307, non è rimasta molta documentazione171. La terza fu formata da quattro elementi, un numero più ampio forse per rappresentare i diversi punti di vista che si confrontavano nella città toscana: Gano Chiccoli Lanfranchi, Giovanni Bonconti, il mercante Bonaccorso Gambacorta e Gherardo Fagioli172, anch'essi esponenti di famiglie presenti nell'isola a vario titolo173. Di essa, giunta, nel gennaio 1309, a Barcellona dove dilungò la sua permanenza più delle altre, si sono conservati i capitoli proposti per un accordo che prevedeva il passaggio di Pisa alla signoria del re aragonese174.
Un riassunto del contenuto di queste tre ambasciate fu consegnato a papa Clemente V, ad Avignone, da parte di Vidal de Vilanova, l'ambasciatore di Giacomo II nella corte pontificia e il maggior diplomatico coinvolto nella questione della Sardegna175, all'inizio del giugno 1309176. Un anno e mezzo prima gli ambasciatori
170 ) Sui Sampante, E. CRISTIANI, Nobiltà e Popolo nel Comune di Pisa. Dalle origini del podestariato alla
signoria dei Donoratico, Istituto italiano per gli studi storici, Napoli 1962, pp. 472-473; A.POLONI,Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche in un Comune italiano: il popolo a Pisa (1220-1330), ETS, Pisa 2004,
pp. 402-405.
171 ) SALAVERT Y ROCA, Cerdeña y la expansion mediterranea de la Corona de Aragòn, cit., II, docc. 218 (1307,
giugno 18), 236 (1307, dicembre 31). POLONI,Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche in un Comune italiano, cit., p. 221, ritiene quella di dicembre 1309, che colloca ad ottobre cioè al momento della partenza, la
prima della ambasciate pisane alla corte aragonese, tralasciando quella di giugno. Considera la risposta negativa di Gacomo II «un rifiuto insolitamente secco», e ritiene che essa provocasse a Pisa «sconcerto».
172 ) SALAVERT Y ROCA, Cerdeña y la expansion mediterranea de la Corona de Aragòn, cit., docc. 295 (1308,
novembre 16): Ranieri di Donoratico annunciava al re aragonese l'invio dell'ambasciata; 298 (1308, dicembre 3): stesso annuncio da parte di informatori; 319 (1309, gennaio 23): gli ambasciatori annunciavano il loro arrivo a Barcellona; 321 (1309, gennaio 28): il re rispondeva di aver ricevuto le credenziali degli ambasciatori.
173 ) Sui Chiccoli Lanfranchi, i Bonconti, i Gambacorta e i Fagioli, v. CRISTIANI, Nobiltà e popolo nel Comune di
Pisa, cit., pp. 410-411, 448-449, 457-458, 4543-455: POLONI,Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche in un Comune italiano, cit., pp. 389-394, 415-420, 427-429;
174 ) SALAVERT Y ROCA, Cerdeña y la expansion mediterranea de la Corona de Aragòn, cit., doc. 335 (1309, fine
febbraio); doc. 344 (1309, marzo 12): Giacomo II scriveva al Comune di Pisa sulle trattative e l'approvazione regia ai diversi capitoli proposti; doc. 358 (1309, aprile 3): gli officiali pisani scrissero al re del fatto che, nonostante gli ambasciatori non fossero ritornati, erano informati dei cinquanta giorni per confermare gli accordi.
175 ) Su Vidal de Vilanova, v. R.SÁINZ DE LA MAZA LASOLI, La orden de Santaigo en la Corona de Aragón. La
encomienda de Montalbàn bajo Vidal de Vilanova (1327-1357), Institución «Fernando el Católico, Saragozza 1988.
176 ) SALAVERT Y ROCA, Cerdeña y la expansion mediterranea de la Corona de Aragòn, cit., II, doc. 382 (1309,
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pisani – la missione del giugno 1307 - avevano proposto al sovrano aragonese di concedere in feudo il regno di Sardegna e Corsica alla città toscana, in cambio di un censo e di servizi annuali, oltre che di una cospicua somma di denaro. Di fronte al rifiuto di Giacomo II i rappresentanti pisani – la missione del dicembre 1307 - scelsero un nuovo orientamento, chiedendo che il sovrano aragonese, in cambio del versamento di una somma di denaro, rinunciasse alla conquista dell'isola e concedesse la tregua per un certo periodo. Anche in questo caso la risposta fu negativa: le proposte pisane non non avrebbero rispettato le prerogative della Sede Apostolica e della Corona aragonese177. Una nuova ambasciata – quella del gennaio- febbraio 1309 - dai caratteri più solenni, diede inizio a lunghi colloqui il cui esito fu una nuova proposta pisana: il comune avrebbe consegnato la Sardegna e quanto deteneva in Corsica, a determinate condizioni, al re, dal quale avrebbe avuto in feudo Cagliari, il castello e le sue pertinenze, «quod est pars maxima dicti regni», commentava il Villanova. Giacomo II, di nuovo, respinse l'offerta, ma si dichiarò pronto a concessioni alternative. Gli stessi ambasciatori, resesi conto delle difficoltà di giungere ad un accordo accettabile, riaprirono le trattative, lamentando che se Pisa avesse perduto la Sardegna – «caput et sustentacio Pise» -, non avendo più a disposizione i mezzi necessari a difendersi che da quell'isola provenivano, sarebbe stata destinata a soccombere ai suoi nemici toscani. La nuova proposta, dunque, prevedeva la concessione della città e del suo distretto al sovrano aragonese, che l'accettò, ma a determinate condizioni.
Al nuovo orientamento Pisa era giunta dopo una non troppo favorevole contatto con Genova, dove, prima di ottobre, gli ambasciatori Gano Chiccoli Lanfranchi, e Banduccio Bonconti - «due cittadini più influenti della vita politica pisana di quegli anni»178 - avevano cercato di convincere la dirigenza cittadina della necessità di un'alleanza tra le antiche rivali contro l'eventualità della conquista
177 )
Ibidem, doc. 236 (1307, dicembre 31): lettera di Giacomo II al podestà di Pisa, Tommaso da Fabriano.
178 ) POLONI,
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aragonese della Sardegna, che avrebbe colpito entrambe179. Alla definizione della nuova proposta diede un contributo Ranieri di Donoratico, che, preoccupato della sorte dei suoi domini sardi e forte di un ruolo sempre più autorevole nella città toscana, aveva stabilito contatti con i messi di Giacomo II180.
La sintetica ricostruzione di un anno e mezzo di trattative tra Pisa e l'Aragona compiuta dal Vilanova mostra un progressivo cedimento nelle richieste pisane fino alla proposta di sottomissione alla signoria di Giacomo II. In particolare, la questione di Cagliari per cui la città toscana aveva chiesto l'infeudazione, ottenendone un rifiuto, si presentava quella centrale e decisiva per entrambe le parti, e nelle trattative risultò più complessa di quanto venne sintetizzata dall'ambasciatore catalano.
Innanzitutto, sembra che la proposta pisana, di consegnare all'Aragona l'isola senza Cagliari da tenere in feudo, fosse già presente nelle prime trattative. Lo può dedurre dalle preoccupazioni dei comuni di Firenze e Lucca, comunicate da Vanni Gattarelli, il fuoriuscito pisano, tra i più autorevoli informatori di Giacomo II, oltre che mediatore tra questi e i guelfi toscani181. Egli, infatti, scrivendo al re aragonese, nel gennaio 1308, esprimeva il timore per un accordo con Pisa che avrebbe evitato la guerra cui, al contrario, erano favorevoli le città toscane, e lo metteva in guardia del fatto che senza il possesso di Cagliari non avrebbe potuto controllare neanche il resto dell'isola182. Secondo il Vilanova, invece, per la prima volta, la proposta pisana di tenere in feudo Cagliari fu avanzata nel gennaio 1309: rifiutata dal re, gli ambasciatori l'avrebbero sostituita con la cessione della signoria di
179 ) SALAVERT Y ROCA, Cerdeña y la expansion mediterranea de la Corona de Aragòn, cit., II, doc. 286 (1308,
ottobre 14): lettera di Cristano Spinola a Giacomo II.
180 )
Ibidem, I, pp. 492-493.
181 ) Su Vanni Gattarelli, v. ibidem, pp. 300 e ss.
182 )
Ibidem, II, doc. 237 (1308, gennaio 11): «Dicesi di qua [Lucca] che per la venuta degli ambasciatori del chomune di Pisa ala vostra signoria siate in chonchordia choi pisani, diche li guelfi di Toschana molto si meraviglano ed e quanto posso, peroche sensa avere la vostra signoria in possessione Chastel di Chastro del.altra Sardignia non si puo far gran ragione». Ibidem, doc. 240 (1308, febbraio 3): dopo aver ribadito la sua, e dei toscani, meraviglia, lo
avvertiva delle intenzioni ingannatrici dei pisani: «pero che ogni chosa che i Pisani vo facessero non dandovi Chastel di
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Pisa a Giacomo II. Dell'ambasciata del gennaio-febbraio 1309 sono rimasti diciannove capitoli pisani - corrispondenti alla seconda fase delle trattative, secondo la ricordata ricostruzione del Vilanova - con le risposte aragonesi che il Vilanova portò con sé ad Avignone per discuterne con Clemente V183. Di essi solo sei riguardavano la signoria dell'aragonese su Pisa e distretto; gli altri interessavano la Sardegna e in particolare Cagliari, salvo qualche questione generale. Sui primi, in cui si stabiliva che Giacomo II e i suoi successori sarebbero diventati «rex civitatis
Pisane et eius districtus», il sovrano diede il suo consenso, salvo per alcuni aspetti
relativi alla gestione delle entrate fiscali.
Per la Sardegna i pisani chiedevano libertà di commercio, senza il pagamento di alcun dazio. Venne loro accordata, salvo per le miniere iglesienti e nei casi in cui si fosse stato ordinato il divieto di esportazione: in questo caso, comunque, i traffici verso la città toscana sarebbero stati garantiti. Il re accettò anche che i cereali da Cagliari e altre località del giudicato omonimo fossero inviati solo a Pisa, senza dazi. Come si vedrà, in una successiva ambasciata, questo capitolo rappresentò un possibile compromesso che sostituisse la richiesta di infeudazione della città sarda: faceva parte, cioè, di quelle concessioni alternative di cui riferiva il Vilanova nella sua relazione al pontefice. I pisani ottennero, pur con alcune significative limitazioni, di avere consules a Cagliari e in altre località sarde, il riconoscimento dei possedimenti dei conti di Donoratico, Bonifacio e Ranieri, e dei fratelli Andreotto e Mariano, giudici d'Arborea, nel giudicato cagliaritano. Pisani e abitanti di Cagliari (castello ed appendici) avrebbero potuto fornirsi gratuitamente di sale per l'uso personale. I dinieghi di Giacomo II giunsero sulle questioni riguardanti il controllo di Cagliari. Pisa chiedeva che nel giudicato di Cagliari non esistessero altri porti oltre quello della città sarda, dove avrebbe potuto continuare ad esercitare un monopolio di fatto, impedendo le concorrenti presenze di catalani. Il sovrano aragonese, giudicando
183 )
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sia questa richiesta che quella per cui i castellani e gli officiali di Cagliari si sarebbero dovuti scegliere solo tra cittadini pisani, ritenne che esse rappresentassero una restrizione delle prerogative regie184.
Tra i capitoli non vi era presente la proposta che Cagliari restasse in feudo a Pisa, il contenuto della prima fase dell'ambasciata. Come ricordò il Vilanova, essa fu cassata e sostituita con la cessione della signoria pisana all'aragonese. Probabilmente, però, la questione non era del tutto chiusa. Infatti all'interno del documento che conteneva i citati capitoli, una cedula, che lo stesso Vilanova portò con sé ad Avignone, riassumeva i territori che il comune di Pisa, secondo gli accordi, avrebbe concesso all'aragonese e i relativi redditi. Dopo la Gallura, le ville e i castelli del giudicato di Cagliari, Iglesias, per Cagliari si annotava che la città sarebbe rimasta al comune pisano185.
Mentre Vilanova si trovava ad Avignone per relazionare al pontefice sulle trattative in corso, nel maggio 1309, giunse alla corte di Giacomo II una nuova ambasciata pisana formata da ben sette elementi, alcuni dei quali già presenti in precedenti missioni, indizio probabilmente, come si è già osservato, di diversi orientamenti all'interno della città che furono in essa rappresentati186. Giacomo II avrebbe voluto riceverli, una volta ottenute le risposte della corte di Avignone: la
184 )
Ibidem, doc. 335 (p. 418): «Non est decens quod dominus rex se astrigat ad hoc, set dominus rex, secundum quod sibi expediens videbitur, ponet ibi officiales quandoque Pisanos quandoque alios»
185 )
Ibidem, doc. 335 (p. 420): «Remanet Comuni Pise Castellum Castri cum suis appendiciis et cum salinis et tribus villis deputatis ad servicium ipsarum salinarum, de quibus annuatim habentu florini III milia».
186 )
Ibidem, docc. 372 (1309, maggio 5): Giacomo II attendeva i nuovi ambasciatori pisani che avrebbero
proposto nuove aggiunte; 377 (1309, maggio 10); 379 (1309, maggio 27): lettera del re a Vidal de Vilanova in cui gli comunicava il prossimo arrivo degli ambasciatori pisani, invitandolo a tornare il prima possibili con delle risposte da Avignone, in modo da poter incontrali. Gli ambasciatori pisani erano Pellario Chiccoli Lanfranchi, Bacciameo di Bonifacio Gualandi, Giovanni Fagioli, Banduccio Bonconti, Giovanni Tadi, Betto Alliata. Il Bonconti era già stato presente nella precedente ambasciata, come un altro esponente dei Chiccoli Lanfranmchi e dei Fagioli. Sui Gualandi e i Tadi, v. CRISTIANI, Nobiltà e popolo nel Comune di Pisa, cit., pp. 393-407, 479; POLONI,Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche, cit., pp. 352-354; sugli Alliata, ibidem, pp. 443-444; F. ARTIZZU, Betto Alliata e alcuni
possessi vittorini nel cagliaritano, in Studi sui Vittorini in Sardegna, CEDAM, Padova 1963, pp. 7-12; IDEM,Appunti sulle proprietà cagliaritane di Betto Alliata, in IDEM, Ricerche sulla storia e le istituzioni della Sardegna Medioevale, Il
centro di ricerca, Roma 1983, pp. 47-59; M.TANGHERONI, Gli Alliata. Una famiglia pisana del Medioevo, CEDAM,
Padova 1969; G.BENNATI, Un libro di memorie e possessioni: un libro del dare e dell'avere. Per la biografia di un
uomo di affari pisano del Trecento: Cecco di Betto Agliata, GISEM-ETS, Pisa 2002; POLONI,Trasformazioni della società e mutamenti delle forme politiche, cit., pp. 411-415.
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Sede Apostolica, infatti, poneva come condizione per una sua risposta favorevole, il riconoscimento da parte di Pisa che la signoria sulla città e sul distretto venisse concessa dal papa al re aragonese il quale, in tal modo, avrebbe visto accrescere il censo, oltre quello già previsto per l'infeudazione del regno di Sardegna e Corsica187. A metà giugno, fu proprio Vidal de Vilanova, insieme a Bernat ça Badia, ad essere designato dal sovrano come ambasciatore a Pisa, per trattare le ultime proposte del comune toscano e vagliarne le vere intenzioni, alla luce delle richieste pontificie: una missione probabilmente considerata definitiva da Giacomo II, dal momento che ne era protagonista chi aveva condotto, fino ad allora, le trattative ad Avignone188. La missione del Vilanova era giustificata dal fatto che, rispetto alle novità da discutere – la signoria aragonese su Pisa e le richieste pontificie – gli ambasciatori pisani avevano deleghe limitate189. Contemporaneamente, però, all'inizio di questa missione, Giacomo II firmava un trattato con i rappresentanti dei comuni di Lucca e Firenze, in vista di una collaborazione per la conquista della Sardegna190.
I capitoli proposti dall'ultima ambasciata pisana erano quattordici191. È significativo che uno solo riguardasse direttamente la città di Pisa, in relazione al numero di soldati delle terre della Corona che Giacomo II avrebbe dovuto tenere nella città toscana192; tutti gli altri interessavano la Sardegna: i pisani, pur riconoscendo il passaggio dell'isola all'Aragona, volevano conservane il controllo commerciale e a Cagliari anche politico.
La novità maggiore, anticipata dalle altre ambasciate, quindi - secondo la versione del Vilanova - lasciata cadere di fronte alla contrarietà del sovrano, era rappresentata dalla richiesta dell'infeudazione di Cagliari – il castello, le appendici, le
187 )
Ibidem, doc. 381 (1309, maggio 31).
188 )
Ibidem, docc. 385, 386.
189 )
Ibidem, doc. 394. .
190 ) Il trattato di alleanza tra Giacomo Ii , Firenze e Lucca in ibidem, doc. 384 (1309, giugno 11).
191 )
Ibidem, doc. 392 (1309, giugno 13): istruzioni regie agli ambasciatori, che contengono i capitoli pisani e le
risposte aragonesi.
192 )
Ibidem. Era il nono capitolo in cui il re approvava di tenere nella città toscana da 50 a 500 soldati «de gente sua» tra gli stipendarii di Pisa, con armi, due cavalli, un ronzino e un fante ogni due cavalli. Ogni mese avrebbero
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ville salinarie e le saline e il porto – a Pisa, la quale chiedeva anche di non essere, per questo, costretta a versare un censo, né a partecipare alle guerre regie, né ad assolvere altri servizi: con questa proposta Pisa alzava la posta a tal punto forse da renderla inaccettabile, e quindi irraggiungibile l'accordo. Il re ribadì la sua contrarietà, da momento che considerava inaccettabile che Pisa tenesse Cagliari, il «principalior et
honorabilior locus qui est in dicto regno Sardinie». Avanzava, però, una contro-
proposta – già presente nelle precedente ambasciata – per cui grano e orzo da Cagliari e altre località del giudicato cagliaritano fossero esportate a Pisa, da pisani o da altri «sine exaccione aliqua», dando assicurazione di una tale destinazione a Cagliari193. Inoltre, rispetto all'ambasciata del gennaio-febbraio 1309, alcuni punti furono precisati sia nelle richieste pisane che nelle risposte aragonesi; altri semplicemente ribaditi194. Per esempio, per i consoli in Sardegna ci si accordò che essi avrebbero competenze solo per i contratti tra pisani, analogamente a quanto accadeva per quelli catalani a Pisa: era esclusi, quindi, i pisani che facessero «continue personalem
residenciam» nell'isola, cioè i cosiddetti burgenses195.
Se una linea di continuità si può scorgere nelle trattative con Pisa, da parte di Giacomo II, essa riguarda il rifiuto di lasciare in feudo Cagliari al Comune toscano.