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Il trattato di pace Alla pace firmata il 19 giugno 1324 si giunse sulla base

NELLA CONQUISTA ARAGONESE DELLA SARDEGNA

6. Il trattato di pace Alla pace firmata il 19 giugno 1324 si giunse sulla base

della proposta che i messi pisani avevano comunicato a Bernabò Doria e questi a Giacomo II: Cagliari con il suo porto veniva ceduta in feudo dal re aragonese a Pisa, mentre le saline e le ville salinarie rimanevano all’Aragona. Lo stesso giorno si svolse la cerimonia del passaggio di Cagliari all’Aragona. I castellani Piero Federici e Ciolo Grassulini, usciti dalle mura, si recarono a Stampace, «extra fortilitia», dove Bene da Calci, il rappresentante del Comune pisano, mise in possesso del castello Guillem Oulomar, mediatore aragonese nelle trattative: «Castrum predictum Kallari

et corporalem possessionem eiusdem». Lo stesso Bene da Calci fece entrare il

rappresentante dell'infante nel castello attraverso la porta dell’Elefante e gli consegnò le chiavi delle porte. Infine sulla torre di San Pancrazio, su quella del Leone e sul campanile della cattedrale di Santa Maria vennero issati gli stendardi di Alfonso:

307 ) Sulla consistenza della flotta vi è la solita differenza tra le fonti: comunque doveva aggirarsi tra le 20 e le 25

galee: vedi MELONI, L'Italia medioevale nella Cronaca di Pietro IV d'Aragona, cit., p. 133, n. 1. Il comando fu affidato

a Pere Belloch. A favore delle galee leggere, di cui lamentava la mancanza, si espresse, in particolare, MUNTANER,

Cronica, cit., cap. CCLXXV. Per ZURITA, Anales, cit., l. VI, capp. XLVI e XLIX, LIII, la flotta era formata da diciotto galee «las mas ligeras y mejores que habia en la mar». Lo stesso cronista osservava che quelle pisane erano «mas

ligeras y de mjor churma». Sia la Cròica di Pietro IV, che gli Anales di Zurita (ibidem, l. VI, cap. 53) attribuiscono alla

venuta della nuova flotta aragonese un contributo importante nello spingere i pisani, almeno quelli che si trovavano a Cagliari, all'accordo. MELONI, L'Italia medioevale nella Cronaca di Pietro IV d'Aragona, cit., p. 58 V. anche su queste

vicende, ARRIBAS PALAU, La conquista de Cerdeña, cit., pp. 261-263.

308 ) MELONI, L'Italia medioevale nella Cronaca di Pietro IV d'Aragona, cit., p. 60. La fretta per la partenza di

Alfonso va in parte corretta, almeno rispetto alla data indicata da Pietro IV per il viaggio dall'isola, il 18 luglio. MIRET Y SANS, Itinerario del rey Alfonso, cit., p. 67, ha dimostrato che Alfonso il 19 luglio era ancora presente a Bonaria e il

24 in Sardegna. Il 21 si trovava sulla spiaggia di Pula di Nora dove nominò gli ambasciatori per Pisa: ACA, Cancilleria, reg. 342, ff. 253v-254v. Pere de Sent Climent, invece, salpò per la Catalogna per comunicare al re il trattato. ARRIBAS

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SANDRO PETRUCCI, Cagliari nel Trecento. Politica, istituzioni, economia e società. Dalla conquista aragonese alla guerra tra Arborea ed Aragona (1323-1365). Tesi di Dottorato in ‘Antropologia, Storia medievale, Filologia e Letterature del Mediterraneo Occidentale in relazione alla Sardegna’

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«vexilla regalia dicti domini Infantis»309.

I capitoli del trattato stabilirono innanzitutto la liberazione dei rispettivi prigionieri e il libero commercio dei sudditi della Corona aragonese a Pisa e nel suo territorio e viceversa, i pisani nelle terre di Giacomo II. Il castello di Cagliari –

Castrum Callari, secondo la ridefinizione degli scrivani della curia di Alfonso, invece

del Castrum Castri dei pisani – «cum faldis sive appendicis», cioè con Stampace, Villanova e gli Orti, con il porto e lo stagno che si trovava dalla parte di Stampace – lo stagno di Gilla -, quindi tutto il circuito cittadino, era concesso «in feudum

perpetuum» dal re al Comune di Pisa, con piena giurisdizione e con i redditi da essa

ricavabili. Il Comune pisano avrebbe versato il censo di 1.000 lire di denari aquilini, ma, a sua volta, avrebbe ricevuto dalla Corona aragonese 2.000 lire annue della stessa moneta come risarcimento delle saline e dei suoi redditi che invece passavano definitivamente all’Aragona. Era, inoltre, concesso agli abitanti del castello e della appendici di poter comprare il sale per il proprio uso personale, al prezzo già praticato dal Comune pisano.

La pace regolava anche l’ordinamento istituzionale di Cagliari: la scelta dei castellani e dei capitani di guerra rimaneva di competenza del Comune pisano. Al momento della nomina, essi dovevano giurare sia nelle mani del priore dei frati predicatori di San Domenico di Villanova dove, come si è visto, si erano svolte le trattative tra i rappresentanti pisani e quelli aragonesi, sia in quelle del salinario delle saline che in quel momento era l'unico officiale regio nell'area di Cagliari. L’approvazione dei capitoli del trattato, da parte della città sarda, venne espressa dal castellano Ciolo Grassulini e dal notaio Percivalle, burgensis, i quali, come il rappresentante del comune pisano Bene da Calci, giurarono nelle mani dell’infante310.

309 ) TANGHERONI, Alcuni aspetti della politica mediterranea di Giacomo II, cit., doc. I. La cerimonia è descritta

anche in MUNTANER, Cronica, cit., cap. CCLXXVIII, e nella Crònica del Cerimonioso (MELONI, L'Italia medioevale nella Cronaca di Pietro IV d'Aragona, cit., pp. 58-59). Per la ratifica da parte del Comune pisano, per cui furono inviati

nella città toscana Bernat de Boixadors e Guillem Oulomar, avvenne a Pisa il 3 agosto 1324: ACA, Cancilleria, reg. 342, ff. 253v-254v, in cui è inserita la nomina da parte dell'infante dei ricordati ambasciatori,

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Gli aspetti economici e commerciali furono regolati da un capitolo specifico. Se le saline e le strutture portuali ad esse collegate passavano alla Corona aragonese, il porto cittadino rimaneva a Pisa, così come le entrate legate al commercio. Come si era verificato nei tentativi di accordo del 1309, anche nella pace del 1324 alla questione delle esportazioni di cereali fu dedicato uno spazio importante. Si stabiliva, infatti, che i pisani avrebbero potuto esportarli a Pisa, a meno che non ci fosse stata qualche proibizione per i catalani e gli altri sudditi della Corona. Anche in questo caso, dal divieto sarebbero stati esclusi gli abitanti del castello e delle appendici cagliaritane, che avrebbero potuto acquistare grano ed altre merci nelle terre sarde, purché necessarie al consumo familiare, o introdurle dai propri campi nel mercato cittadino, pagando i dazi previsti.

Il trattato di pace era centrato su Cagliari che, come già le trattative precedenti avevano rivelato, era considerata la chiave politica ed economica dell’isola. Non mancarono però capitoli sul resto dei territori sardi del Comune pisano. Il suo rappresentante, Bene da Calci, concesse all’infante tutto ciò che spettava a Pisa in Gallura e nel Cagliaritano, con le giurisdizioni e i diritti collegati. Gli uomini dell’isola venivano quindi affrancati da qualsiasi giuramento di fedeltà al Comune toscano. I castelli di Acquafredda, Terranova, Quirra, Fava o Posada, Galtellì e di Villa Pedres, tenuti da Pisa, passavano all’infante, insieme ai diritti e ai censi, ma erano salvaguardate le proprietà dei cittadini pisani.

Se si esclude il castello di Acquafredda311, che al momento della pace era ancora in mani pisame, nel trattato non si faceva riferimento ai centri della parte sud- occidentale dell’isola – Iglesias, Domusnova, Villamassargia – passati all’infante con accordi separati, né alle proprietà dei conti di Donoratico per le quali si rimandava ad accordi successivi: «cum quibus [i conti ] dictus Dominus Infans intendit graciose et

specialiter convenire». Il 1° luglio Ranieri e Bonifacio di Donoratico ebbero

311 ) Su questo castello, v. P.F.SIMBULA, Il castello di Acquafredda: appunti sulla vita quotidiana in una fortezza

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riconosciuti i loro possedimenti sardi in concessione feudale312.

Se si considera l’opposizione dell’infante e del suo entourage alla cessione in feudo di Cagliari, non appare verosimile che i pisani considerassero il trattato di pace a loro favorevole, come scrivevano da Avignone, alcuni osservatori meravigliati dell'esito delle trattative, come Bernat Jordan313. Ferrer de Abella, allora vescovo di Neopatria, stretto collaboratore di Giacomo II e del cardinale Orsini314 osservò che i pisani già pensavano a recuperane l’isola a partire da Cagliari, o almeno a conservare la città, e aggiungeva che gli amici del re aragonese presenti ad Avignone consideravano la pace «bonam et utilem Pisanis, set minus bonam et securam regie

meiaestati»315. Lo stesso vescovo e il cardinale Orsini mettevano in guardia il re

dall’astuzia dei pisani – «astuti et sagaces» – i quali erano rimasti «inimici occulti», nonostante la pace: in ogni caso – osservava il cardinale – ciò che era stato raggiunto

«per potenciam», poteva conservarsi «per amicabilem obedieciam»316. I due

corrispondenti del re, in ogni caso, gli consigliavano di costruire fortificazioni e castelli per contrastare eventuali iniziative pisane.

Il timore che i pisani di Cagliari e della madre-patria pensassero ad una ripresa bellica era ben presente anche tra gli aragonesi dell'isola, se il primo governatore, Filippo di Saluzzo, inviò spie a Pisa per conoscere le eventuali iniziative contro la pace317.

La conclusione del trattato, da parte pisana, rappresentava una parziale vittoria degli orientamenti dei Donoratico (che però avevano sostenuto anche la signoria aragonese di Pisa) su quelli più bellicistici: in ogni caso la pace fissava stabilita ad

312 )

Codex Diplomaticus Sardiniae, cit., I, sec. XIV, doc. XXIV (1324, luglio 1).

313 )

Acta Aragonensia, cit., II, n. 398 (1324, luglio 10). Su questi osservatori di Avignone, v. ARRIBAS PALAU, La

conquista de Cerdeña, cit., p. 255.

314 ) Su di lui, v. F.GIUNTA, Ferrer de Abella e i rapporti tra Giacomo II e Giovanni XXII, in Studi medievali in

onore di Antonino De Stefano, Società siciliana per la storia patria, Palermo 1956, pp. 231-256.

315 )

Acta Aragonensia, cit., II, n. 396 (1324, luglio 6).

316 )

Ibidem, doc. 397 (1324, luglio 8). TANGHERONI, Alcuni aspetti della politica mediterranea di Giacomo II,

cit., pp. 110-111.

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uno status quo non sfavorevole alla città toscana. Da parte aragonese, il trattato era la conseguenza delle difficoltà di conquistare il poderoso castello di Cagliari, se non attraverso un lungo accerchiamento ed assedio che ne impedisse i rifornimenti, come suggerivano osservatori diversi come Bernabò Doria e il cardinale Napoleone Orsini, per la cui realizzazione Alfonso aveva in mente il progetto di rasformare il quartier generale in un centro vero e proprio, Bonaria. La pace chiudeva una fase e ne apriva una nuova caratterizzata da strategie diverse, da una parte e dall'altra, e dagli esiti allora non del tutto prevedibili318.

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