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Le trattative: il nodo di Cagliari Dopo la battaglia di Lutocisterna e la

NELLA CONQUISTA ARAGONESE DELLA SARDEGNA

5. Le trattative: il nodo di Cagliari Dopo la battaglia di Lutocisterna e la

morte di Manfredi sulla cui data non vi è convergenza tra le fonti, s’intensificarono le trattative tra i rappresentanti di Ranieri di Donoratico e del Comune pisano, da una sabato di fine aprile (il 21 o il 28), fu stabilito una tregua per sotterrare i morti che vennero collocati in pozzi chiusi da pietre per evitare il cattivo odore dell'aria: MUNTANER, Cronica, cit., cap. CCLXXVI.

284 ) ACB,

Llibre del Consell, I.8, f. 31v (1324, giugno 11): a Barcellona furono celebrati due giorni completi di

festa per la vittoria di Alfonso.

285 ) A. M. ARAGÓ CABAÑAS, Un monumento conmemorativo de la batalla de Lucocisterna, in Studi storici e

giuridici in onore di Antonio Era. Cesam, Padova 1963, pp. 1-16. In una nota all'edizione Pagés della Cronica di Pietro

IV, R. d'Alos-Moner osserva che vicino alla località di Elmas, presso Cagliari e probabilmente nella zona della battaglia si trova un luogo detto Pedra Santu Giorgi: Chronique catalane de Pierre IV d'Aragon, III de Catalogne, dit le

Ceremonieux ou del Punyalet, edita da Amedee Pages, Edouard Privat, Toulouse 1941 pp. 36-38.

286 ) MANCA, Aspetti dell'espansione economica catalano-aragonese nel Mediterraneo occidentale. cit, p. 68,

n.112: a volte la festa era celebrata il 2 o il'11 marzo. In quiel giorno erano sospese le attività economiche, come la vendita del sale.

287 )

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SANDRO PETRUCCI, Cagliari nel Trecento. Politica, istituzioni, economia e società. Dalla conquista aragonese alla guerra tra Arborea ed Aragona (1323-1365). Tesi di Dottorato in ‘Antropologia, Storia medievale, Filologia e Letterature del Mediterraneo Occidentale in relazione alla Sardegna’

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parte, e dell’infante Alfonso, dall’altra. Secondo la Crònica di Pietro IV, fu proprio Manfredi a chiedere di incontrare Alfonso, ricevendo il diniego dell'infante il quale rinviava ogni soluzione al campo di battaglia288. La stessa Crònica non fa cenno ai contatti successivi, attribuendo la conclusione della pace con Pisa, nel luglio 1324, ad nuova iniziativa militare di Giacomo II; l'invio di venti galee, che avrebbero spinto il comune pisano ad evitare nuovi scontri289. Trattative, però, si svolsero anche nei mesi precedenti, non solo presso l’accampamento di Alfonso e la città sarda, ma anche ad Avignone, nella corte pontificia, da parte del cardinale Orsini, non senza una concorrenza con le prime290.

La situazione bellica relativa a Cagliari, all’indomani di Lutocisterna, la descrisse, a marzo, in una lettera al re aragonese, Bernabò Doria, parente di Ranieri di Donoratico e già protagonista di precedenti trattative. A suo parere e di altri, non era possibile espugnare il castello cagliaritano con la forza, ma solo attraverso un’operazione d’assedio che avrebbe ottenuto esito positivo esclusivamente se esso non fosse stato rifornito; in caso contrario, si sarebbero dovute prendere altre iniziative: «oportet aliter fieri». Suggeriva, quindi, di impedire ai sardi di portare approvvigionamenti a Cagliari, e di tenere lontano le navi pisane dal porto cagliaritano, ed aggiungeva, con realismo, che era da considerarsi più proficuo mantenere armate le galee che proseguire i contatti («tenere toto galeas armatas,

quam negocio expedire»)291. Il quadro però cambiò il mese successivo, quando

288 ) MELONI, L'Italia medioevale nella Cronaca di Pietro IV d'Aragona, cit., p. 58, Secondo Pietro IV Manfredi

confidava sulla parentela con il re aragonese con cui era cugino e quindi zio di Alfonso.

289 )

Ibidem: «de la qual cosa los enemichs foren molt esmayats e començaren a parlar tractament». Su questa

flotta, v. più avanti.

290 ) Su questo punto, v. TANGHERONI, Alcuni aspetti della politica mediterranea di Giacomo II, cit., p. 106. In una

lettera di Alfonso, di risposta ad alcuni capitoli del padre, si faceva riferimento all'invio di ambasciatori pisani ed aragonesi nella corte pontificia, decisione che l'infante approvava («enten lo senyor Inf. Que es be provist per lo senyor

Rey. E que si ha bona via»), ma ricordava che anche a Cagliari erano iniziate le trattative, seppure non fossero

particolarmente avanzate. Quindi concludeva: «segons que ls feyts eixene s.in sabra tantost lo senyor Rey, e plagues a

deu que mentre en Cort de Roma començaen a tractar ja agues fet aci lo senyor Infans per ço cor all,o serien paraules e aço seria exequecio de feyt per deliurament de Càller e de altres forçes». ARRIBAS PALAU, La conquista de Cerdeña,

Apéndice documental, cit., doc. XLIV (databile al maggio 1324, poco prima della pace).

291 )

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circolavano notizie sui preparativi pisani per rifornire Cagliari di fanti e cavalieri292. Il Doria tornò al centro delle trattative tra Pisa e l’infante. A quest’ultimo riferì, infatti, di aver ricevuto, ad Alghero, da due frati predicatori, a nome del Comune toscano e del conte Ranieri di Donoratico, una proposta di accordo, che egli stesso presentava come ultima possibilità: «istud est ultimum ad quod devenire potest». I pisani chiedevano la concessione in feudo di Cagliari e del suo porto, pur senza le saline e le ville salinarie, da parte del re aragonese al Comune, per un censo di mille fiorini293. Nella sua lettera, il Doria riferiva anche dello scambio di vedute avuto con i due frati: è diffcile distinguere quanto, nel suo resoconto, fosse attendibile e veritiero e quanto si trattasse di argomenti per convincere Alfonso che a quella proposta non vi erano alternative e che in fondo essa non risultava troppo sfavorevole all’Aragona. Sembra, infatti, che Bernabò Doria ritenesse la proposta pisana fosse dannosa per la città toscana – «istud erat dampnum Comuni pisano» – dal momento che – lo aveva fatto osservare ai due frati – il re, controllando il resto dell’isola, avrebbe imposto a chi si fosse recato in Sardegna, di approdare nei suoi porti, vietando alle navi di frequentare quello di Cagliari, che così avrebbe visto ridurre le proprie attività allo stesso livello di quello di Alghero che evidentemente erano molto più limitate che nella città meridionale. Ad una tale evoluzione negativa avrebbe contribuito anche la perdita delle saline. La contro-proposta del Doria, che riecheggiava quelle già avanzate dagli ambienti ghibellini, prevedeva la sottomissione di Pisa al re d'Aragona riconosciuto come proprio signore, in cambio di notevoli vantaggi economici; in tal modo la città toscana avrebbe acquistato maggior forza internazionale: «si ipsi [i pisani] requirerent immunitates pro Comuni et vellent esse magni et ob reverentia

domini timeri, istud esset melius pro pisanis». All'opinione del signore sardo-ligure,

per cui, in cambio della fine della libertà politica e della perdita di Cagliari, i pisani

292 ) Su queste notizie, v. TANGHERONI, Alcuni aspetti della politica mediterranea di Giacomo II, cit., p. 106. 293 ) Secondo Zurita, invece, i pisani chiedevano in feudo anche le saline e le ville salinarie: Anales, cit., l. VI,

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avrebbero conservato ampie possibilità commerciali nella città sarda e nell’isola, uno dei frati interlocutore - sempre secondo il racconto del Doria - aveva replicato che in quel momento a Pisa chi controllava le magistrature cittadine era favorevole a tenere Cagliari e, anche se quella non fosse stata la scelta migliore, Ranieri di Donoratico, che evidentemente non la condivideva, avrebbe dovuto adeguarsi ai desideri della popolazione che in città gridava «habemus Callarum»294.

Le difficoltà di condurre l’assedio a Cagliari e di impedire il rifornimento dall’interno della città da parte dell’esercito catalano-aragonese erano condivise da Alfonso che, infatti, le comunicò, a maggio295, al padre a cui ricordava che il castello

«se fornex tots jorns de vianda» e i suoi abitanti uscivano a saccheggiare le ville dalla

parte in cui era impossibile porre l’assedio296. Sperava, dunque, in nuovi e consistenti soccorsi organizzati, mentre cercava, ordinando la realizzazione di un grosso fossato, di ostacolare la costruzione di un ponte di collegamento tra lo stagno di Santa Gilla e il mare che avrebbe permesso ai pisani di far giungere nel castello victualia dalla curatoria di Nora297. A Cagliari – scriveva sempre Alfonso – non solo si organizzavano scorrerie nel territorio da parte di gruppi dietro il vessillo imperiale, ma si rafforzavano le posizioni più radicali, determinate a non cedere al nemico e a voler difendere la città, com'era stato giurato in un'assemblea svoltasi nella chiesa di San Francesco, dei frati minori, nell'appendice di Stampace. Nell’accampamento di Alfonso non erano mancati i problemi: un incendio fortuito aveva distrutto le

294 ) ACA,

Cancilleria, Cartas reales Jaume II, c. 7696, citata da TANGHERONI, Alcuni aspetti della politica

mediterranea di Giacomo II, cit., p. 106.

295 ) ARRIBAS PALAU,

La conquista de Cerdeña, cit., Apéndice documental, cit., doc. XLIV (1324, maggio): «[…] non pot setjar lo Castell de Caller cunplidament, sino da una part».

296 )

Ibidem: «E aquels de dins corren le villes del senyor Infans e les barrejen de la part on no son assetjats».

297 )

Ibidem. L'iniziativa pisana e la risposta di Alfonso, attribuite a dopo la battaglia di Lutocisterna, sono

ricordate nella Cronica di Pietro IV con parecchi particolari. I pisani costruirono un ponte nel canale che univa lo stagno al mare, ricoprendolo «ab gran verdesca» e da quel momento cavalieri e fanti potevano raggiungere la curatoria di Nora. Dai catalano-aragonesi non poteva essere impedito perché, per aggirare lo stagno, dovevano percorrere trentacinque, contro le dieci dei pisani. L'infante fece costruire un ponte coperto tra il mare e lo stagno, presso la villa di Santa Maria Maddalena, dove presidiavano dieci galee, ottanta cavalieri e cinquecento fanti, e ciò impedì il rifornimento da Nora a Cagliari. La villa Santa Maria Maddalena apparteneva ai conti di Donoratico e, come si vedrà, venne indicata tra quelle da cui arrivarono victualia a Cagliari. Verso l'interno Alfonso fece stazionare cento cavalieri nella villa di Palma, molto vicina al castello di Cagliari. Nei stessi termini il racconto di ZURITA, Anales, cit., l. VI, cap.

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baracche di mercanti e tavernieri e di altri fornitori dell’esercito. Mancavano i cavalli, molti dei quali erano morti per l’eccessivo carico di lavoro e durante i trasferimenti via mare; chiedevano, quindi, rifornimenti, rassicurando che erano rimaste solo sei navi pisane le quali non avrebbero attaccato imbarcazioni nemiche munite di almeno quaranta uomini. Per quanto riguarda le trattative, Alfonso ricordava che i pisani, ad Avignone, erano spinti all'accordo dal cardinale Orsini, mentre Bernabò Doria gli aveva inviato una lettera – molto probabilmente quella sopra ricordata - del cui contenuto informava il padre, aggiungendo, però, che la proposta pisana non gli piaceva: «pactum nobis tantum non placet»298. Sembra, dunque, che in Sardegna, tra Cagliari e la futura Bonaria, nei due fronti, si concentrassero le posizioni più radicali, pur senza interrompere del tutto canali di trattative. Da parte pisana, a spingere per l’accordo furono soprattutto i Donoratico, nonostante la contrarietà di parte di quella popolazione sia di Pisa che di Cagliari, che difendeva non solo un simbolo del tradizionale imperium pisano, ma anche i radicati interessi economici, piccoli o grandi. Due giorni dopo aver annunciato la proposta pisana fattagli conoscere dal Doria, Alfonso annunciò al padre che nuovi contatti erano stati stabiliti tra i rappresentanti pisani del conte con Guillem Oulomar299. Infatti, quest’ultimo, consigliere di Alfonso e già mediatore nella resa di Iglesias, oltre che confidente del giudice Ugone II, insieme a Filippo di Saluzzo, futuro primo governatore dell'isola, si era incontrato con i messi di Ranieri di Donoratico e del Comune: il suo confessore, un anziano cavaliere di Cagliari e il giudice Andrea, uomo fidato del conte300. Erano le difficoltà di Pisa, stretta dai suoi nemici toscani, a spingere il conte a proporre la signoria di Pisa da cedersi all’infante che vi avrebbe scelto un proprio vicario, mentre Cagliari sarebbe stata tenuta in feudo dai pisani. Si tornava ad allettare il re

298 ) ACA, Cancilleria. Cartas reales Jaume II, c. 7.702 (1324, maggio 5). 299 ) ACA,

Cancilleria. Cartas reales Jaume II, c. 7.707 (1324, maggio 7): «[..] supervenit alium tractatum a parte comitis».

300 ) Il contenuto dell'incontro è noto attraverso la lettera dell'Oulomar al sovrano aragonese, in Acta Aragoniensa,

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d’Aragona con la prospettiva di divenire così il signore della Toscana e dell’Italia, sulla base di un progetto politico visto favorevolmente negli ambienti ghibellini, rilanciato da Bernabò Doria, forse in accordo con il Donoratico. A Pisa non ci sarebbero state resistenze – sottolineavano i messi di Ranieri Donoratico – vista la buona opinione nei riguardi di Giacomo II. Guillem Oulomar avrebbe riferito la proposta, assicurando che l’infante, se fosse divenuto signore di Pisa, l’avrebbe difesa dai suoi nemici, Roberto d’Angiò, il principe di Taranto e Castruccio Castracani. Ma le divergenze tra pisani e aragonesi vertevano sul destino di Cagliari. Riferendo del colloquio al re, Guillem Oulomar riferiva la propria opinione manifestata ai messi pisani: la città, «clau de Zerdenya», era necessaria al controllo del resto dell’isola; conservandola, i pisani avrebbero potuto tentare la riconquista della Sardegna o comunque ribellarsi al dominio aragonese, «ab Cayler tornar fan revolta». Condizione imprescindibile per il raggiungimento della pace era, dunque, il passaggio di Cagliari all’Aragona: in cambio, i pisani avrebbero potuto ottenere privilegi commerciali nell’isola: «aver part del profit». Il colloquio, dunque, non aveva raggiunto una conclusione condivisa: a rimanere in sospeso era il destino di Cagliari301. Come nel 1309, si confermava, da parte aragonese, l'imprescindibilità di Cagliari, garanzia del controllo dell'isola, mentre scarso interesse, come in precedenza, veniva manifestata per la signoria pisana.

I colloqui ripresero pochi giorni a seguire, se il 17 maggio Bernat de Aversò poteva scrivere al re in merito alle trattative che si svolgevano nel convento domenicano di Villanova, grazie alla mediazione dei frati predicatori, trattative che

301 ) Acta Aragoniensa, cit., III, n. 211 (1324, maggio 6): Guillem Oulomar ricordava che era stato l’infante ad

ordinargli di scrivere al re il contenuto del colloquio con i messi dei Ranieri Donoratico. ARRIBAS PALAU, La conquista de

Cerdeña, Apéndice documental, cit., doc. XLIV (1324, maggio): Alfonso scrisse al re sottolineando le intenzioni pisane

per un accordo sulla base del ritrovamento di un quaderno in cui erano contenute le istruzioni del Comune ai suoi rappresentanti (in questa lettera, diversamente da Oulomar, indicati in un cavaliere e un «burgues de Pisa»), il quale sarebbe stato ritrovato tra gli oggetti perduti durante la battaglia di Lutocisterna e poi recuperati, a dimostrazione che quelle intenzioni erano precedenti allo scontro. Ricordando i conatti degli ambasciatori pisani con Ouolomar e Saluzzo, osservava che da entrambe le parti si voleva la pace, «mas sobre la manera eren començat a tractar, e ans les coses non

sien encara molt avant nol cal parlar mes». Secondo ZURITA, Anales, cit., l. VI, cap. LIII, l'infante non era soddisfatto

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però vedevano l’opposizione della popolazione cagliaritana o almeno di una parte di essa che minacciava addirittura di stabilire accordi con gli antichi nemici – con il re Roberto o i fiorentini - pur di organizzare la difesa della città302, posizione velleitaria che mostra le divisioni all’interno del fronte pisano tra l’oltranzismo dei pisani a Cagliari e il tatticismo dei Donoratico.

Alla fine del mese di maggio, caratterizzato dal susseguirsi di contatti, l'infante, rispondendo ad una lettera di Bernabò Doria, gli chiese se frate Peruccio, l’inviato del comune pisano, fosse tornato con il pieno mandato necessario a concludere il trattato di pace; in caso affermativo, invitava lo stesso Doria a raggiungerlo perché voleva che la pace venisse sottoscritta alla sua presenza303. Uguale comunicazione spediva al giudice d’Arborea304. Il 5 giugno gli ambasciatori pisani e Bernabò Doria, partiti da Alghero, stavano per giungere a Cagliari305. A rappresentare il Comune pisano nella firma del trattato, però, fu un nuovo personaggio, Bene da Calci306, non più un religioso, come in precedenza, ma un giurisperito: probabilmente non espressione dei conti di Donoratico, ma di altri ambienti della città toscana.

La spinta a concludere il trattato, da parte pisana, venne anche dall'arrivo, tra maggio e giugno, di una nuova flotta aragonese di circa venti galee, da tempo preparata e più volte richiesta, composta da galee più leggere di quelle di cui allora non disponevano gli aragonesi, al contrario dei pisani. Essa avrebbe dovuto affrontare l'armata del Comune toscano, la quale, però, alla notizia dell'arrivo, nell'isola, delle navi nemiche, decise di non uscire in mare, mentre a Cagliari, il mancato sostegno

302 )

Acta Aragoniensia, cit., II, n. 897 (1324, maggio 17).

303 ) ACA,

Cancilleria, reg. 397, f. 185v (1324, maggio 28). Nella lettera di Bernabò Doria, a cui si faceva

riferimento, erano contenute due missive della figlia Ginevra: una al padre e l’altra a frate Peruccio, l’ambasciatore di Pisa.

304 )

Ibidem, ff. 187v-188r (1324, giugno 1): Alfonso informò il giudice che gli ambasciatori pisano erano giunti

ad Alghero e che aveva inviato sedici galere per caricare biscotto ad Oristano.

305 )

Ibidem, f. 189r (1324, giugno 5): Alfonso ne era venuto a conoscenza tramite le lettere del giudice.

306 ) Su di lui, v. F. ARTIZZU, In margine al trattato di pace pisano-aragonese del 1324. Le procure al

plenipotenziario Bene da Calci ed al notaio Percivalle, in IDEM, Pisani e catalani nella Sardegna medioevale, CEDAM,

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della madre-patria alimentò delusione e timore tra gli abitanti307. Infine, nell'evoluzione degli eventi, non va sottovalutato quanto si legge un passaggio della

Crònica di Pietro il Cerimonioso, forse, però, suggerito da successive tensioni interne

alla famiglia reale, e comunque non confermato da altre fonti: il padre avrebbe sottoscritto in fretta il trattato e sarebbe partito dall'isola, una volta informato delle intenzioni del fratello Pietro, di succedere a Giacomo II, nel caso in cui Alfonso fosse morto in Sardegna308.

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