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e politico-istituzionale nel quale si muovono i protagonisti della ricerca

3.4. Il contesto urbano di inserimento

Il contesto urbano nel quale si sono insediate queste famiglie è caratte- rizzato in prevalenza da quartieri misti con persone appartenenti al ceto medio e medio-basso. I lavori maggiormente svolti dai vicini, non neces- sariamente di origine straniera, degli intervistati, secondo quanto riportato da questi, sono prevalentemente dipendenti, in rari casi gli altri abitanti dei quartieri considerati sono professionisti o imprenditori.

Tanti nigeriani non lavorano più, chi lavora fa l’operaio (Eu., 45, nigeriana). C’è chi lavora in fabbrica, c’è chi fa il barista, chi fa la commessa (Gr., 46, ecua- doriana).

Uomini muratore, le donne maggior parte fanno assistenza familiare e in fabbrica (Li., 42, albanese).

Impiegati di banca, di ufficio, i baristi e tabaccai (Sa., 18, ecuadoriana).

Le abitazioni degli intervistati sono curate, dignitose, ma abbastan- za modeste, fanno eccezione quelle i cui coniugi sono coppie miste, con il marito/compagno italiano, in possesso di abitazioni di almeno 100 mq2 circa e con arredamenti di pregio.

I giovani coinvolti nella ricerca stanno crescendo in condizioni nelle quali vengono favoriti gli scambi tra persone di origine diversa e la quali- tà di vita del quartiere viene considerata nel complesso buona o molto buo- na, a parte tre casi:

– a Montegranaro (Fm)

Conflitti molto spesso tra italiani e marocchini. È una zona abbastanza problema- tica (Am., 24, italo-marocchino).

– a Fermo

Ci sono molti problemi, che si risolvono alcune volte con la polizia, ma maggior- mente facendo la pace. I motivi dei conflitti sono a volte razziali, come quando un italiano chiama un altro ‘marocchino’, per esempio, a volte perché vogliono im- possessarsi di qualcosa. Questo per me è negativo, perché se siamo stranieri, non c’è bisogno di insultare le persone che vengono al tuo paese, perché potrebbe suc- cedere anche a un italiano che va in Germania, così, che viene trattato male per- ché italiano (Ax., 12, italo-ivoriano).

– ad Ancona, nel quartiere della stazione, dove sono presenti situazioni di conflitto e confusione

Ci sono i vari servizi, ma è pessimo, si è degradato, c’è delinquenza. Prima era meglio, abito in questa zona praticamente da quasi nove anni. Mi sono trasferita qua e la situazione è cambiata, perché prima era più tranquillo. Si viveva tranquil- lamente, adesso no. Ci sono sempre casini fuori con gli stranieri, incidenti, di tut- to di più. Sicuramente si è degradato, perché sono venuti a vivere a questo quar- tiere più stranieri che italiani. Gli italiani se ne sono andati, hanno cominciato a vendere le case o affittare come questa casa mia. Abitava una famiglia italiana in questa casa e, tramite mia figlia che era compagna della proprietaria mi ha affitta- to questa casa, e così via, quasi tutti gli appartamenti di qua o in affitto o in ven- dita. Perché questa zona di stazione è diventata una zona di stranieri. Si è degra- dato. Si è degradato sia perché sono arrivati gli stranieri, sia perché il Comune non ha gestito questo fenomeno, un insieme di cose, perché sono arrivate perso- ne che non hanno uno stile di vita sano, che non fanno niente e il Comune non in- terviene. Qua è vero che passa la polizia, però è per rimediare qualcosa che è suc- cesso, non per curare qualcosa che c’era.

D.: Secondo te non sarebbe meglio la presenza dei mediatori invece dei poliziot- ti nei quartieri?

Sono favorevole, io preferirei, perché ho una figlia sedicenne, che si muove da sola. Mandarla fuori a studiare, se deve andare in palestra o in palestra, io non mi fido di lasciarla venire da sola, verso le nove io sono impaziente, guardo l’o- rologio. Mi dispiace dirlo, sono pure straniera io, ma non mi fido, non mi fido per niente. Questo secondo me è imputabile alla mancanza di gestione da parte dell’amministrazione, è una cosa molto ovvia, perché si può, se i vigili facessero qualcosa per avere questo quartiere sotto gli occhi e guardarlo bene, tutte quelle persone che sono lì fuori, italiani e stranieri, si comporterebbero meglio.

D.: Secondo te, mettere in questo quartiere una biblioteca, un centro polivalen- te per immigrati o qualche altra struttura di carattere culturale, come un teatro, potrebbe in qualche modo appianare le ansie?

Forse, in qualche cosa potrebbe aiutare, ma tutto dipende, perché ci sono razzi- smi. Forse potrebbe aiutare in qualche cosa. Mi auguro che si possa fare qualche cosa (Mi., 38, peruviana).

Ad Ancona, come in molte altre città italiane, il fenomeno migrato- rio non viene gestito con gli strumenti che potrebbero portare ad una sana convivenza tra autoctoni e rappresentanti delle varie etnie presenti sul ter- ritorio. Il sostanziale lassismo nel medio termine provoca da un lato istinti xenofobi e dall’altro il ricorso ad interventi emergenziali di stampo polizie- sco o a delibere particolarmente restrittive verso gli immigrati, mentre sa- rebbe opportuno avviare azioni preventive mediante altri strumenti, come la mediazione e strutture culturali, che avrebbero un controllo sul territorio efficace, funzionale alla coesione sociale e meno dispendioso. Questa situa- zione è l’effetto della sempre più diffusa incapacità delle amministrazio- ni locali di rassicurare i cittadini. La dinamica urbana che si è determinata nel quartiere della stazione di Ancona è indicativa di una trasformazione in atto negli ultimi anni in Italia, caratterizzata dalla maggiore presenza, ri- spetto al passato, di quartieri segregati e ad alta concentrazione di migran- ti (Petrillo, Tosi, 2013). A ciò si aggiunga che la percezione di insicurezza non è più caratteristica degli autoctoni, ma riguarda anche gli immigrati, che stanno svolgendo un processo di integrazione, per cui il fenomeno mi- gratorio è giunto ad un certo livello di maturità e lo si dovrebbe affronta- re con quella lungimiranza che troppo spesso non è prerogativa della clas- se politica attuale.