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Gli elementi emersi dalle interviste permettono di rispondere alle do- mande che hanno ispirato e guidato la ricerca, ma le conclusioni non han- no la pretesa di essere esaustive, perché il fenomeno delle seconde gene- razioni è complesso ed in continuo mutamento, come lo è in generale il fenomeno migratorio in Italia, per cui è necessario monitorarlo continua- mente.

Dopo questa doverosa premessa è il momento di proporre alcune rifles- sioni conclusive, che si spera non restino chiuse nell’ambito accademico, ma che possano essere oggetto di confronto e dibattito in quei settori nei quali interagiscono le seconde generazioni, perché va ricordato che la ri- cerca è stata motivata dalla necessità di comprendere come la migrazione conduce al cambiamento nella società di accoglienza.

Rispetto al tipo di integrazione che stanno intraprendendo le seconde generazioni nella ricerca sono state riscontrate tutte le tre traiettorie ide- altipiche delineate da Portes e Zhou, ma quelle maggiormente emerse so- no l’assimilazione selettiva e l’assimilazione tradizionalmente intesa. La prima si riscontra in quel gruppo di intervistati che sta svolgendo percor- si virtuosi, grazie alla capacità di far convivere con successo dentro di sé le due culture e a utilizzarne gli elementi ritenuti più utili per un più efficace adattamento alla società nella quale vive. La seconda si rileva in un grup- po abbastanza nutrito di intervistati che tende a nascondere o a rinnegare le proprie radici culturali, a causa di due fattori: la dimensione delle discri- minazioni in ambito massmediatico e il contesto di ricezione che in più oc- casioni ha attuato dinamiche discriminatorie.

È ancora prematuro prevedere se nelle Marche e in Italia si verifiche- ranno dinamiche sociali esplosive come è accaduto nelle periferie di Pari- gi nel 2005, perché dalle interviste sono emerse due forme di ambivalenza rilevanti. La prima riguarda una generale tendenza ad avere un atteggia- mento mentale cosmopolita, che non sempre trova un corrispettivo ne-

gli autoctoni, i quali in diverse situazioni si sono mostrati ostili, nonostan- te le seconde generazioni intervistate si sentano sostanzialmente accettate. La seconda ambivalenza riguarda la condizione socio-economica, ritenuta soddisfacente dalle prime generazioni, ma non dai loro figli. Questa ambi- valenza si inquadra in una dinamica sociale nella quale questi ultimi riten- gono che gli immigrati siano sfavoriti nell’accesso al mercato del lavo- ro qualificato. Alcuni di loro, infatti, un laureato e alcuni laureandi, non escludono di emigrare se in Italia non dovessero trovare il lavoro che desi- derano svolgere, per cui il fenomeno del brain drain sta coinvolgendo an- che questi giovani.

Nella ricerca è stata data molta rilevanza alla questione identitaria, per- ché in questo momento storico la maggior parte delle seconde generazio- ni la sta costituendo, quindi è molto importante valutare come questi gio- vani si sentono percepiti. Mi preme sottolineare che in nessuno di questi sono emersi segni di identità ostili alla società nella quale stanno crescen- do. Piuttosto ad essere state vittime di discriminazione sono state maggior- mente le prime generazioni, le quali tuttavia non sembrano intenzionate ad instillare in loro sentimenti di ostilità verso l’Italia, perché tra l’altro han- no beneficiato di molte buone prassi che enti locali, terzo settore e semplici cittadini hanno attivato nei loro confronti. Negli ultimi due decenni in Ita- lia, infatti, le politiche migratorie sono state gestite sostanzialmente dagli enti locali, per cui si è attivato un welfare locale, che grazie anche ad altri fattori (distretti industriali, e ossatura dell’economia italiana, costituita pre- valentemente da piccole e medie imprese), ha fatto in modo che fossero li- mitate le forme di ghettizzazione e che si favorisse l’inserimento nel tessu- to sociale di molti immigrati. In questo modo il welfare locale ha svolto un ruolo di mediazione sociale, riuscendo a tamponare le reazioni di alcune istanze discriminatorie di parte degli autoctoni. Tuttavia, resta il fatto che anche alcuni intervistati di seconde generazione sono stati oggetto di atteg- giamenti discriminanti ai quali si è risposto preferenzialmente con la stra- tegia del mimetismo. Le varie forme di discriminazione hanno suscitato sensazioni di fastidio e insofferenza, ma neanche i giovani hanno manife- stato un atteggiamento rivendicativo verso l’Italia. Se questo atteggiamento mentale, per il momento induce a ritenere che probabilmente in Italia non si verificheranno conflitti per motivi etnico-razziali, una parte di dubbio re- sta, perché la percezione del razzismo è piuttosto elevata. Questo fattore è direttamente connesso con un altro fenomeno da tenere continuamente sot- to osservazione, vale a dire la percezione diffusa e unanime che gli italia- ni sono più favoriti in tutti gli ambiti, a partire da quello lavorativo. La ge- stione del razzismo in famiglia e le esperienze dirette ed indirette che gli intervistati hanno vissuto li ha resi consapevoli che per raggiungere i lo- ro obiettivi dovranno lavorare e faticare maggiormente rispetto agli italia-

ni. Chi ha risposto che non dovrà sforzarsi di più è figlio/a di coppia mista. Questa differenza è indicativa della differenza di capitale sociale possedu- to tra chi ha un’origine totalmente straniera e chi, invece, può contare su relazioni consolidate da parte del genitore autoctono, grazie alle quali il/la figlio/a meticcio/a potrebbe avere delle agevolazioni per entrare nel merca- to del lavoro.

Un’altra questione ampiamente studiata ed indagata ha riguardato il sen- so di appartenenza, che rientra sempre nella costruzione identitaria.

I giovani coinvolti nella ricerca si riconoscono in tre tipologie di appar- tenenza:

1. ad una collettività ampia/cosmopolita;

2. a due culture (quella di origine e quella italiana); 3. alla cultura italiana.

Nei primi due casi è maggiore la propensione alla costruzione di identità ibride. Questi ragazzi, infatti, come molti altri esponenti di seconda gene- razione presenti in Italia, hanno sostenuto che per loro ha scarso interesse sentire di appartenere ad un unico luogo e vogliono sentirsi accettati sia in quanto neo-italiani, sia in quanto persone che hanno anche altri riferimenti culturali, inoltre, non sentono neanche il senso di appartenenza alla nazio- ne italiana, si registra, infatti, anche qualche caso di chi preferisce propen- dere verso l’etnia di origine. Questa tendenza ci suggerisce che c’è molto da fare in termini di integrazione reale e non solo formale, per contribuire a strutturare una coesione sociale solida, ancora in progress. Va sottolinea- to anche il fatto che nel primo tipo sono compresi soprattutto i ragazzi più maturi, mentre del terzo fanno parte soprattutto gli adolescenti. Questa dif- ferenza si comprende meglio se si considera l’età di arrivo in Italia: infat- ti, se i ragazzi più maturi sono giunti nella seconda fase dell’infanzia o nel- la pre-adolescenza, gli adolescenti sono arrivati entro i primi quattro anni di vita o vi sono nati. Quella che sembra una conseguenza logica di questi percorsi è che i primi pensano in entrambe le lingue, mentre i più giovani, propendono più a pensare in italiano.

Nel 2011, per la prima volta in vent’anni si è arrestato il flusso di immi- grati in entrata in Italia, ma vi è stato un parallelo aumento delle secon- de generazioni (Caritas, 2012), fenomeno destinato a crescere, per cui l’I- talia, come gli altri paesi di immigrazione, deve riesaminare il significato di appartenenza alla società, alla luce dell’importante mutamento che ap- portano questi giovani in ambito di appartenenza e di senso di cittadinan- za, in chiave transnazionale. Il riconoscimento della cittadinanza politica agli immigrati, di prima e di seconda generazione, va dunque considera- to in un’ottica di mantenimento della coesione sociale. Dato questo risul- tato risulta oziosa la domanda: dove si collocano le seconde generazioni fuori o dentro il mainstream? Nella fase di transizione che stiamo vivendo

nella quale vengono messi in discussione le protezioni sociali, le relazioni e i valori solidali, qual è il mainstream? Probabilmente il mainstream fu- turo sarà quello delle identità ibride e dell’appartenenza non più ad una na- zione, ma ad un principio di merito. Nonostante ciò continua a giocare un ruolo importante il contesto di ricezione. Il percorso verso l’assimilazio- ne che stanno compiendo questi giovani ha qualcosa di innovativo, rispetto alle seconde generazioni di altre epoche e di altre nazioni, perché si stan- no incorporando (embeddedness), tendendo, come sostiene Enzo Colombo (2010), a sviluppare identificazioni multiple, sovrapposte e simultanee.

Un altro elemento interessante emerso è l’ambivalenza rispetto al nesso norma-controllo sociale. Se da un lato la socializzazione in Italia ha per- messo loro di svincolarsi dalle strette regole del controllo sociale, dall’al- tro hanno dimostrato di avere la lucidità e la maturità per sottolineare che per la coesione sociale è indispensabile trasmettere alle giovani generazio- ni valori educativi solidi. Nelle interviste, infatti, i ragazzi più maturi han- no rivendicato le loro origini culturali e in particolare un sistema normati- vo ed educativo più stabile rispetto a quello italiano. Si tratta di un tipo di rivendicazione volta a sottolineare l’importanza dei valori come il rispet- to per l’altro che in Italia è sempre meno presente tra le nuove generazioni, dovuto ad un progressivo e sempre più allarmante lassismo presente nelle famiglie italiane, problema non nuovo a insegnanti, pedagogisti, sociologi e psicologi. Tuttavia, è interessante che venga vissuto dagli stessi esponen- ti di seconda generazione, come dai loro genitori, con preoccupazione, che è un valore aggiunto del fenomeno migratorio, rispetto al quale dovremmo avere l’umiltà di ascoltarli. Questi immigrati in qualche modo svolgono la funzione di supervisori, sottolineandoci alcune delle dinamiche sociali sul- le quali è urgente intervenire perché in questo modo l’immigrato non se- gnala un problema italiano soltanto attraverso fenomeni eclatanti, come per esempio l’alto numero degli immigrati nelle carceri italiane, ma entra di- rettamente nel sistema educativo italiano, dando uno scossone a genitori e insegnanti.

L’attenzione posta al capitale sociale è dovuta al fatto che è ormai no- to in letteratura che la riuscita scolastica, l’inserimento in una determinata categoria professionale e più in generale l’inserimento socioculturale delle seconde generazioni sono il frutto dell’incontro tra le storie personali de- gli immigrati (tra le quali vanno considerati i capitali sociale, umano e cul- turale) e il contesto di ricezione. Le seconde generazioni che vivono nel- le Marche hanno una rete relazionale allargata, dunque un capitale sociale abbastanza solido e aperto anche ad autoctoni, pur non avendo un habi-

tus privilegiato, dati i background socio-culturali ed economici dei genito- ri che svolgono lavori modesti. Nel complesso il loro capitale sociale tende all’apertura: è, usando l’espressione di Putnam, un bridging capital, essen-

do favorito dalla propensione dei genitori al confronto con gli autoctoni. In questo modo questi giovani nelle Marche stanno contribuendo alla costru- zione del Noi collettivo, alla cui base c’è l’acculturazione reciproca.

In ambito scolastico, se si sta facendo molto per accogliere i nuovi arri- vati, c’è ancora molto da fare per quanto riguarda il coinvolgimento delle famiglie e per ridurre sia il numero di seconde generazioni che si iscrivo- no ai corsi professionalizzanti, sia gli abbandoni scolastici in generale. Bi- sognerebbe tornare alle borse di studio per tutti e creare corsie privilegiate per i più meritevoli, evitare di inserire gli studenti in classi non corrispon- denti alla loro età, perché questo crea disagio e bocciature. In tale contesto va evidenziato un aspetto positivo: tutte le famiglie intervistate sono inten- zionate ad investire sulla formazione delle seconde generazioni, nonostante in alcuni casi la comunità etnica non fosse d’accordo.

Lavorare per l’inclusione è funzionale sia per non creare disagi a que- sti giovani, sia per prevenire forti conflittualità. Per raggiungere l’obietti- vo dell’inclusività si deve da un lato monitorare costantemente come questi giovani si rapportano alle culture di origine, data la loro scarsissima par- tecipazione alle associazioni etniche, dall’altro lavorare per un loro ampio riconoscimento, affinché siano spinti a sentirsi parte attiva ed integrante delle società di accoglienza e a non respingerle, attraverso un’intensa cam- pagna contro le discriminazioni. Diventa quindi indispensabile che i policy

maker si attivino per favorire la partecipazione di questi alle associazio-

ni etniche, coordinando i servizi (scuola, centri di aggregazione giovanile, oratori, società sportive, ecc.) utilizzati dalle seconde generazioni e non li- mitandosi ad aspettare i bandi dell’UE, che hanno budget limitati, quindi di stretto respiro. La difficoltà dei policy makers nelle Marche di coordina- re i servizi pubblici e del terzo settore è un problema fortemente sentito in tutti gli ambiti ed è molto evidente nelle politiche migratorie.

Postfazione