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1. Dall’assimilazione al transnazionalismo

1.2. Processi di assimilazione

La teoria assimilazionista nasce più o meno un secolo fa negli Usa, nel periodo in cui nel nord America stavano giungendo grandi masse di immi- grati. La sociologia nord-americana fu così indotta ad elaborare concetti in grado di spiegare i processi di inserimento degli immigrati nella società. Furono Robert Park ed Ernest Burgess (1924), appartenenti alla scuola di Chicago, i primi a coniare il termine assimilazione, con il quale intendeva- no che gli immigrati si collocano negli strati più bassi della società di arri- vo, per poi fare una lenta scalata verso il ceto medio. Durante questo per- corso gli immigrati, nell’introiettare i valori di riferimento del contesto in cui si stanno inserendo, perdono di vista in modo graduale ed inconsape- vole i principi culturali d’origine, assimilandosi al nuovo ambiente fino ad essere difficilmente distinguibili dagli autoctoni (Park, 1950). Nel proces- so di assimilazione ha un ruolo fondamentale la dimensione culturale, in quanto il processo di acculturazione dei gruppi immigrati è l’esito di un’in- terpenetrazione di menti e culture. Secondo Park, infatti, l’assimilazione è la fase finale di un ciclo, definito race relations cycle, che comprende quat- tro principali processi di relazioni tra gruppi e culture: il primo è quello biologico dell’amalgama, basato sui matrimoni misti e la conseguente fu- sione tra individui che hanno differenti origini etniche; il secondo è quel-

lo dell’accomodamento, che abbassa il livello del conflitto; il terzo è quello dell’assimilazione; il quarto è quello dell’acculturazione2.

Nel 1964 Milton Gordon diede un importante contributo alla teoria assi- milazionista, dato che all’assimilazione culturale, aggiunse due dimensioni dell’integrazione. La prima è l’assimilazione strutturale o integrazione so- ciale, che comprende la partecipazione degli esponenti delle minoranze et- niche alle istituzioni e alle associazioni e l’assimilazione matrimoniale, in quanto grazie ai matrimoni misti i pregiudizi e le discriminazioni si ridu- cono. La seconda è l’identificazione o assimilazione civica, che consiste nella sensazione degli immigrati di essere parte integrante del mainstream, che a sua volta li ritiene parte di sé.

Il paradigma dell’assimilazione è stata egemone fino agli anni ’60, quan- do è stata sottoposta a molte critiche negli Usa. Lo stesso lavoro di Gordon è stato messo in discussione perché egli considerava l’acculturazione co- me un processo auspicabile e unidirezionale, il cui risultato finale era l’ade- guamento dei gruppi minoritari allo standard culturale definito dal gruppo dominante negli Usa: gli Wasp3. L’altro motivo per cui la teoria assimila-

zionista è stata criticata riguarda il fatto che l’assimilazione fosse conce- pita esclusivamente all’interno di uno schema duale, che coinvolge soltan- to due gruppi, il gruppo di maggioranza e il gruppo di minoranza prodotto dall’immigrazione. Il limite di questo approccio consisteva nel fatto che non tenesse in considerazione la molteplicità dei gruppi che compongono la società nord americana e che possono influenzare in positivo o in negativo il processo di integrazione. La dimensione delle relazioni etniche, non più limitata alle sole relazioni tra maggioranza autoctona e singolo gruppo et- nico immigrato, è invece diventata sempre più rilevante per la solidità del- la società americana da quando con le nuove migrazioni il peso del grup- po maggioritario si è drasticamente ridotto (Bach, 1996; Alba, Nee, 1997).

Negli anni ’60, inoltre, il fenomeno migratorio negli Usa cambiò i con- notati. Dal 19654, infatti, vi giunsero individui provenienti dall’Asia e dal

2. Ambrosini ci ricorda che i tre passaggi più significativi di questa teoria sono: «l’as- similazione è un processo non solo inevitabile, ma anche auspicabile, perché quanto prima gli immigrati perdono i tratti culturali originari che li distinguono dalla società d’arrivo, prima riescono a progredire e a farsi accettare nella scala sociale; è un fatto tipicamente in- dividuale, rispetto al quale appartenenze etniche e identità ascritte sono ostacoli da rimuo- vere; l’assimilazione culturale rappresenta la precondizione che rende possibile l’avanza- mento nel nucleo del lavoro e quindi nella stratificazione sociale» (Ambrosini, 2005: 54).

3. White Protestant, Anglo-Saxon origins.

4. «La migrazione su larga scala verso gli Stati Uniti si sviluppò più tardi che nell’Eu- ropa occidentale, a causa della legislazione restrittiva in vigore negli anni Venti. Nel perio- do tra il 1951 e il 1960, il numero delle persone ammesse ammontava in media a 250.000 l’anno, e a 330.000 tra il 1961 e il 1970: tutta un’altra cosa dalla media di 880.000 immi-

centro e sud America, dunque diversi dagli europei giunti fino a quel pe- riodo, per connotati fenotipici, background socio-economico ed origini na- zionali. Queste caratteristiche determinarono in questi nuovi migranti per- corsi differenti dagli altri immigrati, come la permanenza nelle underclass ed in situazioni di povertà, per cui i capisaldi della teoria assimilazionista persero la loro efficacia. Tuttavia, nel 1963 c’era già stato chi aveva mes- so in discussione la teoria assimilazionista classica, come Nathan Glazer e Daniel Moyniham, i quali avevano sottolineato la permanenza delle mino- ranze etniche, che non si erano fuse nel mainstream, ma che erano ben ri- conoscibili in base ai loro comportamenti e ai loro valori di riferimento.

In seguito a queste critiche le teorie assimilazioniste non furono più ri- prese fino alla metà degli anni ’90, quando negli Usa tornarono in auge, come teorie neo-assimilazioniste. Queste sono caratterizzate dal tentati- vo di adattare i vecchi concetti assimilazionisti alla nuova realtà, composta da una varietà di etnie. La società Usa, infatti, non è omogenea e unitaria, con una cultura dominante a cui le altre si adattano, ma vi convivono mol- tissime etnie. La teoria neo-assimilazionista pose l’attenzione in particola- re alle seconde generazioni (Alba, Nee, 1997; Perlmann, Waldinger, 1997; Portes, Rumbaut, 2001). Viene ripresa la teoria dell’embeddedness (incor- porazione, incastonamento, radicamento), depurata delle sue componenti prescrittive e dei presupposti di superiorità della cultura ricevente rispetto a quella degli immigrati, ponendo l’accento sulle condizioni socioeconomi- che entro le quali si realizza l’integrazione. Nella visione neo-assimilazio- nista l’integrazione è il risultato:

– dei rapporti economici;

– delle relazioni sociali e del contesto istituzionale nel quale si svolgono, quindi dell’interazione tra fattori oggettivi, definiti dalla società riceven- te, e fattori soggettivi, determinati dal capitale sociale, economico, cul- turale e familiare dello straniero;

– di inserimenti negativi;

– di forme di assimilazione positive e trionfanti.

grati attuali nel periodo tra il 1901 e il 1910. Inoltre, il censimento del 1970 dimostrò che il numero delle persone nate oltreoceano era diminuito a 9,6 milioni, solo il 4,7% della po- polazione. Nel 1965, gli emendamenti all’Immigration and Nationality Act (legge su immi- grazione nazionalità) furono percepiti come parte integrante delle leggi sui diritti civili del periodo, messe a punto per eliminare il discriminante sistema di quote basato sull’origine nazionale. A ogni modo, non erano state preparate con l’obiettivo di provocare un’immi- grazione non europea su vasta scala; in realtà, però gli emendamenti crearono un sistema di migrazione globale, nel quale il più importante criterio di ammissione era la parentela con un cittadino o un residente degli Stati Uniti. Come conseguenza, ci fu una brusca im- pennata della migrazione dall’Asia e dall’America Latina» (Castles, Miller, 2012: 130).

Dagli anni ’80 dello scorso secolo le migrazioni per lavoro hanno su- bito un’accelerazione in tutto il mondo, dunque l’integrazione degli stra- nieri nella struttura sociale ed economica del paese ricevente è il risultato dell’insieme di fattori che rimandano ad un processo socialmente costruito nel quale si combinano caratteristiche proprie della comunità di immigrati e le peculiarità inerenti al contesto di arrivo.