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e politico-istituzionale nel quale si muovono i protagonisti della ricerca

4. Adolescenza e percorsi identitar

4.3. Il rapporto con la cultura di origine e con quella del contesto di ricezione

4.3.2. Il rapporto con la cultura d’origine

Il rapporto con la cultura d’origine non è lineare e uniforme tra gli in- tervistati, tuttavia nei confronti di questa si sono riscontrati nel complesso quattro tipologie di atteggiamenti, trasversali tra entrambe le generazioni: il distacco, il rifiuto, la rivendicazione e l’indifferenza, sempre influenzati da processi di socializzazione, da dinamiche familiari e dall’atteggiamento di rifiuto percepito verso gli immigrati.

I percorsi che portano al distacco sono graduali e ci si arriva soltanto dopo che è stato raggiunto un certo grado di maturità:

Della mia cultura mi da fastidio che quasi sempre uno quando deve fare qualco- sa dice sempre: ‘Dopo cosa pensano gli altri’? Faccio un esempio, se uno esce la notte, il padre dice: ‘dopo cosa pensano gli altri’? Invece il mio pensiero è: chi se ne frega di quello che pensano gli altri, se tu stai facendo una cosa bene, falla! È inutile che stai a pensare cosa pensano gli altri, basta che non stai facendo cose di male (Vi., 24, indiano).

Questo ragazzo, che si sente positivamente in mezzo tra due culture, è giunto ad avere la capacità di prendere le distanze dagli aspetti culturali del suo paese di origine che ritiene più opprimenti. In questo modo lui, co- me altri giovani, hanno intrapreso quel processo di assimilazione auspicato da Ambrosini (2005), grazie al quale hanno attivato il percorso di distacco, ma senza rifiutare del tutto le proprie origini. Tra le seconde generazioni questo fenomeno è sempre più diffuso, come è stato già detto si stanno de- lineando appartenenze multiple (Colombo E., 2010).

Il rifiuto verso la cultura d’origine è stato riscontrato esclusivamente tra una buona parte di immigrati provenienti dall’Europa dell’est, che ritengo- no ancora che, nonostante tutto, l’Italia sia molto meglio dei posti in cui sono nati:

Non mi sono mai informata, non la conosco, non mi interessa manco conoscerla. Perché non mi piace. Avendo visto come mamma è stata trattata da babbo, tutte le cose che mi ha raccontato, sono arrivata al punto che non mi piace la razza mia, niente. Li odio profondamente, non so perché. Più che la cultura, le persone, alcu- ni aspetti della cultura, perché altri aspetti se li conoscessi meglio può essere pu- re che mi piacerebbero. (…) No, niente, manco c’ho rapporti con gli altri albanesi, li odio (Si., 19, albanese).

Ho lavorato per quindici anni in un’azienda come ragioniera, poi avevo due ne- gozi, che gestivo io. Lavoravo come matta. Io sono una che non sono venuta per- ché non c’avevo niente. Là avevo casa, macchina, avevo tutto. Sono venuta, per- ché sentivo il bisogno di andare in un altro paese che mi sembrava più civilizzato, perché da noi dopo comunismo era diventato un caos, era tutto un magna magna. Tutti contenti che non c’era più comunismo e poi è diventato un caos. Non si capi- va più niente, anche per lavoro e poi quando lavoravi, dovevi lavorare in nero. Io come ragioniera facevo la parte mia in bianco, poi tenevo un altro registro in ne- ro, perché con le tasse… era una troppo grossa responsabilità, mi ammalavo. Per questo, io volevo un paese che dormivi tranquillo. Lavoravi, guadagnavi quello, non è che sono venuta per farmi la casa, io c’avevo tutto là. Sono partita per la se- renità e per fare studiare mia figlia in un altro paese, un paese civilizzato, un pa- ese che non era uscito dal comunismo in tutto quel caos, perché da noi ad un cer- to punto pagavano tutti e andavano all’università, si compravano la laurea. Avevo colleghi che erano analfabeti e quando sapevo che avevano fatto l’università ci ri- manevo male e pensavo ‘non va bene per mia figlia’. L’ho portata che aveva quat- tordici anni. L’ho lasciata che ne aveva dodici, due anni senza vederla, pensavo che ‘impazzisco’. È stato un dolore… io penso che un dolore non… io non potevo andare e lei non poteva venire, perché aspettavo i documenti. È stato molto dolo- roso (Pa., 47, romena).

La ragazza albanese, suo malgrado, si è fatta portavoce di quelle figlie di uomini che hanno assunto atteggiamenti aggressivi e maschilisti ver- so le mogli, sviluppando così un rifiuto per la cultura d’origine. Crescendo in Italia, e sotto l’influenza del principio della parità dei generi, queste ra- gazze hanno deciso di emanciparsi totalmente dalla cultura di origine, pre- ferendo assumere un atteggiamento di assimilazione nel senso tradiziona- le, perché hanno deciso di abbracciare integralmente la cultura del paese in cui vivono. La donna romena, invece, a differenza di molte sue connazio- nali o di altre donne che provengono da quell’area non è giunta in Italia per motivi economici, ma perché non sopportava più l’accelerazione del degra- do sociale che si è attivata nel suo paese, la Romania, dopo la caduta del regime comunista, incompatibile con la sua etica. La figlia di questa don- na, invece rifiuta ogni riferimento alla Romania, per la paura di essere as- sociata a connazionali che hanno commesso reati, eccessivamente enfatiz- zati dalla stampa

Non è importante, non voglio neanche che entrino troppo nel dettaglio, perché probabilmente inizialmente mi sono sentita sbagliata, perché non ero italiana. Di-

co questo per eventi veri, reali, che ho vissuto. Forme di razzismo a scuola dai compagni di classe, perché ero rumena. Quando mi chiedono di che paese sono, rispondo romena, Romania, ma comunque non mi sento sicura nel dirlo, fiera di questo, per quello che mi è successo quando sono arrivata, che credo sia la base, anche successivamente io poi sento tanto tutto, nel senso quando c’era il periodo degli stupri in televisione, a maggior ragione avevo proprio una difficoltà. Ho pro- prio sofferto (An., 24, romena).

‘Il periodo degli stupri’ è riferibile ai casi di violenza sessuale perpetra- ti nei confronti di donne autoctone, da alcuni romeni, prima delle elezioni politiche e amministrative del 2008 ed è stato ben capitalizzato dai parti- ti contrari all’inclusione degli immigrati. L’aggressiva campagna stampa ha alimentato negli italiani il pregiudizio verso quell’etnia e ha suscitato in al- cuni loro esponenti, oltre alla paura, anche un senso di corresponsabilità e di colpa, per qualcosa che non hanno commesso. Si tratta di una dinami- ca di razzizzazione, processo che comprende gli effetti materiali e psico- logici delle discriminazioni razziste sui gruppi di persone che le subisco- no (Mellino, 2011). L’effetto riscontrato in questa ragazza, infatti, è che ha introiettato i messaggi dei mass media, al punto che lei nonostante non ab- bia commesso nessun tipo di reato, ma sia anche donna, si sia sentita, sep- pur indirettamente, corresponsabile degli stupri commessi da alcuni suoi connazionali. Questa dinamica le ha alimentato un’insicurezza persona- le, dovuta ad episodi discriminanti che ha subito poco dopo che è giunta in Italia all’età di dodici anni; da qualche anno, inoltre, si rifiuta di vede- re i telegiornali. Questa ragazza ha dimostrato così di avere ancora un for- te senso di appartenenza alla sua etnia di origine, perché le etero-percezio- ni, suscitate da compagni di scuola e mass media non le hanno permesso di farla sentire appartenente alla comunità italiana.

Gli atteggiamenti di rivendicazione sono riconducibili a due fattori: – l’esigenza di rompere certi pregiudizi o luoghi comuni rispetto alla pro-

pria terra d’origine.

Ci sono tante persone che giudicane4, tipo non hanno in mente quel che succede

in un certo posto e dicono quello che hanno sentito dire oppure quello che è già scritto sui libri o ‘ste robe qui, quindi penso che per me si debba diffondere anco- ra di più e far conoscere la mia cultura anche alle persone di altri paesi (Pr., 17, nigeriano).

– La sottolineatura dell’orgoglio etnico.

Se adesso ci fosse ancora la Jugoslavia e non ci fosse stato neanche un anno di guerra tra Slovenia, Croazia, Serbia, eravamo non un passo avanti alla Germania,

eravamo due passi avanti alla Germania e uno sopra l’Inghilterra, quindi in Euro- pa dominavamo noi. Ma non è per il fatto che io sono bosniaco e devo dominare tutti, no è per dire che potenza che era. In un certo senso rimpiango Tito. Si ci sa- rebbero stati ancora questi odi tra serbi, croati, bosniaci, ma sarebbero stati rimes- si a posto da Tito. Tito non tollerava questa cosa. Ciò non è rimasto, perché già era nell’aria, perché lo vedo io. A me non hanno fatto niente direttamente, ma io i serbi non li posso vedere. È una cosa che ti tramandano, è una cosa che non ho voluto (El., 20, bosniaco).

In questo giovane è evidente l’esigenza di mitizzare un passato che non è stato vissuto, egli, infatti, è nato in Bosnia durante la guerra civile, ma quando aveva un anno i genitori sono riusciti a scappare e a portarlo in Ita- lia. Da sette anni i suoi genitori sono separati e sua madre e sua sorella, nata in Italia, da allora vivono in Bosnia, dove lui, quando aveva sedici an- ni, è andato a vivere per un anno. Nonostante non abbia nessun ricordo di- retto del conflitto e non abbia perso i suoi parenti più prossimi, in lui più che nel padre sono ancora aperte le ferite per la guerra civile, al punto che gli si addice la definizione di “figlio della guerra”. Essendo nato durante il conflitto, ha subito moltissime conseguenze negative, a causa delle quali è prevenuto nei confronti dei serbi, anche se non ha mai avuto direttamente alcun tipo di problema con esponenti di questa etnia. Il rimpianto di questo ragazzo è ancora più forte nelle parole di suo padre:

Noi, purtroppo abbiamo perso agricoltura, di tutto di più, dopo questa guerra ora- mai siamo un paese allo sbando proprio, con tutti i problemi degli ultranazionali- sti serbi, di lavoro, di mancanza di tutto. Tra i ragazzi nostri la cultura nostra è fi- nita tutta sulle macchinette, a giocarsi la schedina, i ragazzi di oggi sull’alcol, sulle droghe, lo sport non esiste, tutta corruzione (Ad., 41, bosniaco).

Nel confronto tra le due generazioni, dunque il figlio rivendica un’auto- revolezza delle sue origini evidentemente funzionale alla sua struttura iden- titaria, mentre il padre ha un atteggiamento totalmente disincantato, quindi contrario a quello del figlio. Nella narrazione, il rimpianto assume conno- tati contrapposti nel passaggio generazionale: dall’impotenza dei padri alla rabbia dei figli.