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e politico-istituzionale nel quale si muovono i protagonisti della ricerca

4. Adolescenza e percorsi identitar

4.4. Il rapporto con gli elementi caratterizzanti le radici etniche: religione e lingua

4.4.1. La religione tra conflitti, rigidità e laissez faire

Per molti immigrati le organizzazioni religiose, grazie alla loro struttura formale, favoriscono la creazione di relazioni dense e produttive in grado di bilanciare situazioni deficitarie che altrimenti ostacolerebbero il proces- so di accomodamento nella nuova realtà. Inoltre, la fede può diventare una forza di aggregazione, un coacervo di valori, norme e significati che garan- tiscono sicurezza, tracciano confini e creano un’identità collettiva alla base di mete comuni (Barbagli, Schmoll, 2011). La religione, infatti, svolgendo la funzione di conservazione del proprio patrimonio culturale, contribuisce a preservare la consapevolezza di sé e la coesione del gruppo. Essa funge da veicolo per la trasmissione dei valori che si ritengono centrali per la cre- scita dei propri figli, forgiandone la personalità, ma produce anche un’in- fluenza sulle logiche di adattamento nelle società riceventi.

Sul rapporto tra religione e seconde generazioni, in letteratura sono emerse due tesi: l’assimilazione religiosa e la radicalizzazione dell’identità religiosa. I fautori della prima tesi (Tribalat, 1995; Lacoste-Dujardin, 1994; Kosmin, Mayer, Keysar, 2001) ritengono che con il passaggio alla seconda generazione si inneschi il processo di secolarizzazione, perché c’è una di- minuzione della pratica: questo fenomeno viene visto in maniera positiva, perché favorisce il processo generale di assimilazione nella società di acco- glienza. Il secondo filone (Portes, Rumbaut, 2001; Vertovec, Rogers, 1998), invece, sostiene che le seconde generazioni siano gli esponenti di una re- ligiosità reattiva, in quanto tra queste vi è un incremento della religiosità, dovuto ad un rafforzamento identitario di matrice etnica, causato dalle av- versità che gli immigrati vivono nel paese d’arrivo. Va subito detto che tra coloro che si riconoscono appartenenti ad un credo confessionale, nessun intervistato è intenzionato a radicalizzare la propria identità religiosa, piut- tosto è emersa l’esigenza di avere una fede e di trovare in essa un conte-

nimento spirituale, ma mai per porsi in maniera rivendicativa, infatti, del- le due posizioni prese in esame la tendenza all’assimilazione religiosa è la solo ad essere emersa. I giovani intervistati hanno manifestato diverse mo- dalità di rapportarsi alla religione, rispetto alla quale intervengono influen- ze educative, adesioni per consuetudine e osservanze per principio con una conformità alla pratica variabile, a sua volta determinata da propositi indi- viduali e vincoli comunitari.

Nell’analisi delle interviste si procederà facendo dei raggruppamenti considerando le confessioni religiose, le aree geografiche di provenienza e da quanto tempo sono giunti in Italia, tutte variabili che sono alla base di recenti ricerche sulla relazione tra immigrazione e religione (Connor, 2008; Inglehart, Norris, 2009; Maliepaard et al., 2010; Barbagli, Schmoll, 2011).

Tutti gli intervistati provenienti dai paesi arabi hanno dichiarato di rite- nersi musulmani, tuttavia sono emerse delle differenze tra le due genera- zioni nel rispettare i precetti religiosi e in alcuni casi sono emersi conflitti tra genitori e figli per motivi religiosi.

La mia religione ogni giorno insegna veramente a trovare l’equilibrio, che vie- ne presentato non tanto sotto forma di faccende di pregare o qualcosa del genere, ma proprio di uno stile di vita, che avere fede. Senza questo equilibrio non pen- so di poter continuare a vivere serenamente, quindi sicuramente la mia religione è importante. Un altro elemento della mia cultura, che magari può essere stupido, è il fare il cous cous la domenica, perché tutta la famiglia si unisce la domenica con questo piatto, semplicemente perché richiama il concetto di famiglia, quindi il preservare la famiglia (Am., 23, italo-marocchino).

Sono musulmano. Trasmetto ai miei figli i valori dell’Islam, ma ho conflitti con la figlia femmina, perché è un po’ complicato, per il modo di vestire, per il maschio è un po’ diverso. Le femmine sono più vivaci rispetto ai maschi, per educare la femmina è un po’ difficile, perché pensa sempre a vestire come vede le ragazze italiane. Io comincio a parlare con loro per farli capire nella maniera pacifica, per- ché se entri in conflitto è la fine. Non parlo del velo, ma di gonne, il vestire, de- ve essere un po’ più curata, che entra nella normalità, senza qualcosa di esagerato, anche per i figli che portano i pantaloni calati, poi anche il piercing, lo fanno sul- la bocca è troppo esagerato. Con i figli ci vuole tempo, piano piano, ha 13 anni è un’età che si lascia influenzare (Mo., 49, marocchino).

Cerchiamo di discutere, poi cerchiamo di spiegare loro. Troviamo difficoltà, per- ché ci sono tanti problemi, hanno tanti veleni nella testa, nella mentalità, perché vedono suoi compagni, nella scuola, sentono cose diverse, allora vogliono discu- tere. Qualcuno è confuso, ma noi trasmettiamo e cerchiamo di dire a loro: ‘cer- cate anche di capire l’altra religione, cercate di ragionare, di essere logici, senza raccontare l’odio’. Non accettano tutto, questo a noi da fastidio. La religione dice di avere pazienza, bisogna rispettare anche l’opinione di loro, senza fare conflitti (Sh., 53, giordano).

Sono musulmano. Cerco di stare sempre lontano dall’alcol, però certe volte mi sfugge, però non sono uno che si droga e che beve tutti i giorni. Bevo quando c’è un’occasione molto importante. Cerco di controllarmi. Con i miei genitori ho dei conflitti, perché non prego, a differenza loro. La libertà ce l’ho, ma tutti i giorni mi ripetono che dovrei pregare (Ah., 20, giordano).

I padri hanno manifestato il rammarico per la difficoltà che incontra- no nel tentare di trasmettere ai figli i valori religiosi, per diverse ragioni, tra le quali quella che sembra essere la più importante è che i figli crescen- do in un contesto locale, ma profondamente segnato dai processi di globa- lizzazione, sono inseriti all’interno di processi di de-localizzazione, de-ter- ritorializzazione, cosmopolitismo e globalizzazione dell’economia, della cultura e della politica che li proiettano in un contesto nel quale le diffe- renze non sono fonte di emarginazione, ma parti di una sequenza di possi- bilità che permettono di realizzare un’identità aperta, molteplice e dinami- ca (Besozzi et al., 2009). I conflitti non sono aspri, ma per questi padri è molto frustrante che i propri figli imitino i coetanei autoctoni per il modo di vestire, perché mettono il piercing, perché il figlio non prega. Lo stes- so ragazzo di origini giordane ha rivelato le sue difficoltà e i compromessi che deve fare per farsi accettare, dovendo assumere alcol, seppure soltan- to in occasioni molto importanti. Tuttavia, la situazione non è sempre con- flittuale, perché alcuni ragazzi seguono le indicazioni dei padri ed in questi casi è evidente come la religione venga vissuta come strumento per trovare una serenità personale e collettiva, dato che ad essa viene associata la con- vivialità domenicale con i propri familiari. Queste dinamiche sono le stes- se riscontrate nelle ricerche a cui si è fatto riferimento sopra, nelle quali è emerso sia che dopo alcuni anni dall’arrivo nel paese di ricezione è dimi- nuita la frequentazione dei luoghi di culto, sia che le seconde generazio- ni sono meno praticanti dei loro genitori. È interessante notare che questo processo si è verificato in paesi fortemente secolarizzati (Québec e Olan- da), come nei paesi con un radicamento religioso ancora molto forte co- me gli Usa. Un altro elemento riscontrato, in linea con quelle ricerche, ri- guarda la relazione tra fede religiosa ed età di arrivo nel paese di ricezione. Nella famiglia di origini marocchine, infatti, il ragazzo intervistato è na- to in Marocco, mentre la sorella di cui parla il padre è nata in Italia. Nel- la famiglia di origini giordane, la situazione è simile, ma, come si è visto nel sottoparagrafo 4.3.4, la situazione ha avuto anche dei risvolti dramma- tici, perché una delle figlie, nata in Italia, è rimasta incinta all’età di quin- dici anni. La differenza tra i due ragazzi intervistati e le loro sorelle è che i primi hanno trovato nell’islam una salvezza psicologica e identitaria in re- lazione al consumo di alcol e droga. L’intento dei padri è quello di fare in modo che i propri figli, attraverso l’investimento religioso evitino la disin-

tegrazione individuale e sociale e che siano in grado di strutturarsi in un ambiente divenuto molto nocivo ed incapace di garantire una solidità nor- mativa (Césari, 2010). I padri vivono la frustrazione di non riuscire a tra- smettere la memoria religiosa e le tradizioni della propria cultura d’origine, perché le figlie essendo diventate sensibili agli usi e costumi di una parte della cultura giovanile occidentale non sono più in grado di cogliere il si- gnificato religioso del gesto rituale (Pace, Ravecca, 2010).

Nelle famiglie provenienti dall’area balcanica la situazione è opposta ri- spetto a quelle musulmane. In tutte le famiglie indagate l’atteggiamento dei genitori è estremamente liberale, indicativo di un’area secolarizzata, nono- stante dopo la caduta del muro di Berlino le confessioni religiose siano tor- nate a ‘colonizzare’ quell’area costruendo scuole private confessionali (Cit- tadini, 2007).

Per me i figli possono essere cristiani, possono essere musulmani, i miei figli, an- che se il padre è musulmano, io mi tengo metà e metà diciamo, io non è che den- tro casa sei musulmana e non devi mangiare carne di maiale, io per esempio qui a casa mia i miei figli lo mangiano, io non lo mangio, perché non mi piace a me. Lascio libero, quello che vogliono loro, perché devono sentire loro quello che sen- tono dentro, non è che devo obbligare, per carità di Dio, se stavo in Albania un al- tro discorso, io sto qui, i figli venuti piccolini, crescono con cultura di qua, per carità io non dico proprio. Sono straniera, rimango sempre straniera, anche se prendo la cittadinanza, in corso, sto prendendo, sempre, il sangue mio è albanese, lo dico sempre (Li., 43, albanese).

Mi definisco cristiana. So che c’è un dio, uguale per tutti, che però cambia nome in base alle religioni. Andavo in chiesa da piccola, però è normale che adesso non ci vado più, perché non c’ho voglia. Facevo anche dottrina. Mia madre è di origi- ne cristiana e musulmana e mio padre di origine musulmana, ma non è osservan- te, per cui non abbiamo conflitti per la religione (Si., 19, albanese).

Non tutti i genitori che vengono dall’Europa dell’est hanno una fede re- ligiosa, per cui i figli degli atei, sono anch’essi atei. Tutti coloro che inve- ce hanno una fede religiosa hanno fornito risposte simili a quella di questa donna di origini albanesi, anche le risposte dei figli sono in linea con quan- to affermato dalla figlia. Nei casi in cui i genitori sono di fede ortodos- sa lasciano i figli liberi di abbracciare la fede cattolica, allo stesso tempo se questi decidono di non frequentare più gli ambienti religiosi non sorge nessun tipo di problema. Si deduce che per questi esponenti di prima ge- nerazione i riferimenti religiosi erano deboli già prima dell’arrivo in Italia e chiaramente i figli sono cresciuti in un ambiente povero o del tutto privo di un’educazione religiosa (Della Zuanna, Farina, Strozza, 2009). Tuttavia, va sottolineato il processo di assimilazione svolto da questa donna albane- se rispetto alla secolarizzazione in atto in Italia, per cui non è interessata

all’eventuale percorso spirituale che potrebbero svolgere i figli, mentre se fosse rimasta in Albania si sarebbe comportata diversamente, a dimostra- zione del ruolo esercitato dal controllo sociale.

Quanto riscontrato nelle famiglie di origine balcanica è emerso anche nei nuclei di religione cattolica.

Sono cristiana, cattolica, come i miei genitori (Je., 14 italo-brasiliana).

Mia figlia ha fatto la cresima a ottobre, venerdì scorso ha iniziato il catechismo il piccolo. Finché loro lo vogliono va bene.

D.: Se un giorno non fossero più interessati, per te sarebbe un problema?

No, non li forzerei (Ro., 35, brasiliana).

Sono cristiana, ma non praticante (Sa., 18, ecuadoriana).

In queste famiglie i riferimenti religiosi non sono forti e anche questi nuclei, come buona parte della società italiana, sono avviati verso la seco- larizzazione. Feste e celebrazioni religiose per la maggior parte degli inter- vistati di seconda generazione, che si sono dichiarati cattolici, continuano ad essere importanti, ma hanno perso il valore spirituale e vengono ap- prezzati soltanto gli aspetti riguardanti la ritualità e la convivialità. Mol- ti di questi giovani non sono praticanti, per cui sembra affermarsi il profilo del “credente solitario” di cui ha parlato Peter Berger (1994) nei suoi stu- di sulla situazione americana, vale a dire di un fedele che preferisce evitare la mediazione dell’istituzione ecclesiastica nel rapporto con il divino, prefe- rendo affidarsi al ‘fai da te’ religioso.

Seppure pochi, alcuni giovani stanno compiendo un percorso completo attraverso le due culture, per cui stanno maturando un senso religioso de- finibile come cosmopolita, dato che vengono esclusi gli steccati e le diffe- renze, ma vengono individuati i punti in comune tra le varie fedi.

Per farmi accettare dagli italiani ho dovuto abbandonare qualcosa della mia cultu- ra, perché prima ero tanto religioso, portavo il turbante e ho trovato tanti problemi in Italia. Ho portato il turbante per sei, sette anni in Italia ero proprio attaccato, però ora come sono adesso, ho capito che le religioni, per il modo di pensare mio, è che non devono esistere, deve esistere solo Dio, quindi, quando mi chiedono: ‘di che religione sei’? Io dico che sono sikh, però credo in tutte le religioni, quin- di adesso sono un misto, per esempio prego sikh, vado in chiesa, faccio tutto. Per me le religioni non esistono, però esiste Dio, quindi cerco di trovare le cose posi- tive in tutte le religioni, cerco di mischiare. Io credo in Dio ma le religioni le ha creato l’uomo, quindi fanno solo dividere da Dio, la religione è una strada che di- vide. Alla fine la strada è una sola. Ogni conflitto quasi sempre è per la religione, ho capito che la religione non deve contare, perché cerco sempre una cosa positiva in tutte le religioni, sempre la cosa positiva che hanno tutte le religioni, che porta verso la strada di Dio (Vi., 24, indiano).

La religione può, e dovrebbe, essere sempre inclusiva, rompendo gli steccati e le differenze tra le diverse fedi, dunque quando Barbagli e Sch- moll si domandano se le seconde generazioni saranno religiose, sarebbe bello poter rispondere che lo saranno come lo è questo ragazzo indiano. In qualche modo questa forma di cosmopolitismo religioso è anche l’elemen- to più emblematico emerso in un pluralismo religioso, che si innesca nel cambiamento in atto in un paese già profondamente segnato dalla secola- rizzazione, ma che affonda le sue radici nell’unità di fede (Pace, Ravec- ca, 2010). Sarà, inoltre, interessante nel futuro approfondire ulteriormen- te quanto l’elemento religioso contribuirà a conservare i valori dei paesi di origine nelle seconde generazioni, che stanno crescendo in una società se- colarizzata e confrontare questi risultati con quanto emerso nelle indagini svolte nel Québec e in Olanda.