• Non ci sono risultati.

al ricongiungimento e i conflitt

6.4.4. La scuola, i compiti e l’università

I genitori migranti tendono ad avere aspirazioni elevate, per cui pro- iettano sui figli la loro voglia di riscatto e pretendono che i figli ottenga- no ottime performance a scuola, tuttavia, ciò non avviene sempre, dato che nella trasmissione delle aspirazioni possono esserci diverse interferenze (Brinbaum, 2005).

In questo paragrafo saranno analizzati sia le modalità con cui i geni- tori vengono o venivano coinvolti nello svolgimento dei compiti dei gio- vani, sia le possibilità di frequentare l’università. Questo aspetto è molto importante, nel percorso di inserimento delle seconde generazioni, per- ché secondo la sociologia dell’educazione e la pedagogia il livello di sco- larizzazione delle mamma è predittivo per la riuscita scolastica dei figli, in quanto in genere è lei a seguire i compiti dei figli (Perotti, 1992; Favoro,

Napoli 2002). Nelle famiglie di origine straniera, la separazione di ruoli lavoro esterno/lavoro domestico è più marcata rispetto alle famiglie autoc- tone, in quanto sono più gli uomini che lavorano, rispetto alle loro mogli/ compagne. Di conseguenza sono queste ultime che si occupano prevalen- temente anche di seguire i figli nello svolgimento dei compiti, per questo è indispensabile che si organizzino in maniera estesa e strutturata corsi di L2 per adulti.

Non eravamo lì a farli scrivere, magari eravamo lì a far capire il concetto, poi li lasciavamo soli a fare i compiti. Eravamo solo lì a far capire il problema. Non sta- vamo lì due ore a scrivere o far scrivere, dieci minuti, un quarto d’ora per far ca- pire cosa c’è da fare. Io li aiutavo il fine settimana, nella settimana lei, perché lei, essendo part-time o mezza giornata, tanto tempo a casa ce li aveva lei sempre i fi- gli (Ad., 41, bosniaco).

In questa famiglia il padre è spesso fuori per lavoro, è un camionista, mentre la madre, operaia part-time, si occupa della gestione domestica e dei figli. Questi ultimi sono stati aiutati, ma allo stesso tempo sono stati forniti loro gli strumenti per acquisire autonomia e responsabilità.

Rispetto alla soddisfazione per il rendimento scolastico dei figli alcu- ni dei genitori intervistati sono soddisfatti ed altri no. Similmente a quan- to accade nelle famiglie italiane, i genitori intervistati hanno seguito in maniera più assidua i figli quando frequentavano la scuola primaria, men- tre nei cicli scolastici successivi sempre meno. La differenza con le fami- glie italiane è dovuta al fatto che queste ultime, qualora i figli abbiano del- le difficoltà scolastiche hanno maggiori possibilità di affrontare queste problematiche ricorrendo alle lezioni private, mentre le famiglie di origine straniera hanno meno possibilità economiche di intervenire in questo sen- so, essendo molto più soggette a precarietà lavorativa.

Nelle famiglie analizzate ce n’è una di origine albanese, la cui figlia ha assunto, durante l’intervista, un atteggiamento di supponenza e di arrogan- za nei confronti dei genitori e ha voluto sottolineare in più occasioni che lei e la sorella non svolgeranno lavori umili tipo quelli in cui sono impiega- ti i genitori: operaio nell’edilizia e colf. Rispetto all’aiuto fornito dai geni- tori per i compiti di seguito viene riportato quanto è accaduto durante l’in- tervista.

D.: I tuoi genitori ti aiutano o ti aiutavano a fare i compiti?

No.

D: Anche quando eri più piccola?

Sono cresciuta in Italia, so l’italiano, quindi non è che c’avevo bisogno.

Interviene il padre: Non c’hai bisogno? Quando eri piccola chi ti ha aiutata? Mamma e io, giusto?

Padre: e poi hai cominciato da sola piano piano. Non sei italiana, tu sei venuta quasi due anni qua in Italia. Tua sorella è italiana che è nata qua, non tu. Quando prendi passaporto e cittadinanza italiana allora sei italiana. Tu sei albanese punto e basta (El., 18, albanese).

In questa famiglia il livello di scontro è abbastanza elevato, a causa del- la tendenza della figlia a provocare i genitori. Non è mai emerso esplici- tamente, ma dalle parole della ragazza, era individuabile una non accetta- zione della condizione lavorativa dei genitori e allo stesso tempo una gran voglia di rivalsa e di ascesa sociale. Il suo obiettivo professionale è quel- lo di fare l’avvocato dei mafiosi, per guadagnare subito tanti soldi, scelta non condivisa dai genitori, ma c’è da considerare che non ha molta voglia di studiare e a scuola non è brillante. Per le seconde generazioni l’esperien- za migratoria può essere vissuta come un’eredità pesante e vincolante o al contrario come una risorsa da valorizzare e un’appartenenza a cui ancorar- si. Per quanto l’atteggiamento di questa ragazza sia stato indisponente, va inquadrato in una dinamica del lavoro che il più delle volte imbriglia i fi- gli dell’immigrazione in lavori poco qualificati (Zanfrini, 2006), per cui i vissuti familiari diventano per questi giovani delle eredità vincolanti (Crul, 2007).

Rispetto alla scelta della scuola superiore che i giovani intervistati han- no o stanno frequentando si è sempre trattato di una loro decisione. Soltan- to in un caso la scelta è stata determinata dal condizionamento molto forte della madre. La decisione è sempre dovuta alle aspirazioni lavorative, in- fatti, sono emerse diverse situazioni in cui la decisione è stata influenza- ta dalla necessità di avere un diploma tecnico o professionale, per avere la possibilità di lavorare in breve tempo.

Ho frequentato l’Ipsia perché mi aiutava a trovare lavoro prima, perché avevo bi- sogno di trovare lavoro. Se andavo a fare lo scientifico dovevo fare per forza l’uni- versità. L’intenzione di fare l’università ce l’ho, ma questa mi fa lavorare e studia- re (Ah., 20, giordano).

È opportuno segnalare anche un caso in cui la giovane intervistata e la famiglia hanno dovuto contrapporsi al tentativo di condizionamento dei connazionali, restii all’emancipazione culturale delle seconde generazioni.

Quel periodo che io e mia sorella avevamo scelto di continuare a studiare, le ami- che di babbo, gli amici di babbo marocchini dicevano: ‘ma perché li mandi a stu- diare, altre spese in più. Mandali a lavorare’. I miei genitori hanno detto no, se vo- gliono studiare, falle fa’. A noi mamma ci ha detto: ‘studiate finché potete’, perché poi mamma non ha avuto la possibilità di studiare, allora penso che ha realizza- to un suo piccolo sogno attraverso di noi, perché lei ha pianto per andare a scuo- la, però all’epoca sua suo padre gliel’ha negato: ‘tu sei femmina non vai a scuola’.

I suoi fratelli maschi hanno studiato. Io ammiro questo dei miei genitori (Si., 25, italo-marocchina).

Questa famiglia, come tutte le altre coinvolte nella ricerca, ha voluto in- vestire sulla formazione dei figli, al contrario dei connazionali, che so- no ancora legati ad un approccio proletario, secondo il quale i figli devo- no produrre reddito il più presto possibile, e in questo modo dimostrano di non essere in grado di intraprendere un processo di integrazione, al con- trario di quello che ha voluto fare la famiglia di questa giovane. Un altro aspetto che va evidenziato è che questa intervistata, come si è visto nel ca- pitolo sull’identità, si ritiene cittadina del mondo e non è interessata a de- finirsi in base ai confini geografici. L’atteggiamento della sua comunità di origine rispetto alla formazione probabilmente ha influito molto sulla sua visione rispetto al senso di appartenenza etnico-geografica.

L’atteggiamento dei genitori rispetto alle scelte scolastiche e professiona- li dei figli si dipana in due strade: suggerire ai figli di frequentare un istitu- to professionale o una scuola che garantisca un lavoro sicuro; lasciare libe- ri i figli di scegliere il percorso scolastico che preferiscono, con la speranza che intraprenderanno lavori altamente qualificati.

Alla prima categoria appartengono i genitori che tentano di orientare i figli.

Ho visto la situazione in Italia e la figlia grande, che ha 18 anni, gli ho dato la li- bertà. Prima di decidere di studiare, dopo la scuola media abbiamo discusso: ‘co- sa vuoi fare?’ ho dato i consigli, parliamo, io l’avevo iscritta a servizio sociale, perché in Italia ci sono tanti vecchi, è stata bocciata, l’avevo iscritta a biologico, è stata bocciata. Alla fine l’abbiamo scritta per fare la moda, adesso è passata, sto lottando con lei, speriamo che continua, poi ha avuto un po’ di problemi persona- li, anche per noi è stato un grosso problema e speriamo che riesce. L’altra ragaz- za l’ho iscritta al settore turistico ed è stata bocciata, due anni nella stessa scuola. Non lo so che farà adesso7 vedo che vuole fare (Sh., 53, giordano).

Questo padre è molto attento alle dinamiche del mercato del lavoro ita- liano, ciò è dimostrato dall’aver spinto la figlia ad iscriversi al liceo delle scienze sociali, con la prospettive di lavorare con gli anziani.

Alla seconda categoria appartengono coloro che sperano che i figli non svolgeranno lavori ‘umili’.

R.: Studiano prima cosa e dopo vanno a lavoro migliore di noi” (Ad., 48, Ra., 44, albanesi).

Moglie: basta che non fanno operaio8.

D.: Sei d’accordo con tua moglie?

Mi: No, per me è un lavoro come altri lavori. Moglie: te perché non hai fatto mai l’operaio.

Mi: Il lavoro, per me è quello che si sta perdendo, l’artigianato, l’Italia è famosa anche per quello. Sono lavori che sono stati sempre apprezzati.

Moglie: è meglio che fa impiegato.

Mi: Ma bisogna vedere domani cosa piace lui, se domani a lui piace fare falegna- me, fallo fa’, io che devo fa’? Per me non è niente male.

Moglie: Io faccio l’operaia perché lo devo fare, non è che mi piace.

Mi: Io a lui lo direi, figlio mio, se ti posso aiuta’ a studiare, finanziare, vai a stu- diare, per diventare un dottore, un professore, un giornalista, non so cosa, sono contento per te, io come genitore, finché ti posso dare una mano te la do, però non mi vergognerei, non mi sarei dispiaciuto se domani fa l’operaio (Mi., 42, bosnia- co e moglie).

Durante l’intervista a quest’uomo bosniaco era presente la moglie che è intervenuta, dando così al ricercatore la possibilità di osservare questa di- namica familiare caratterizzata da una differenza sostanziale sulle oppor- tunità professionali dei figli. Da parte dell’uomo c’è la propensione a far svolgere ai figli il lavoro che desiderano e farà di tutto per offrire loro que- sta possibilità. La moglie operaia, invece, vivrebbe come una sconfitta se uno dei due figli dovesse fare l’operaio come lei. Dalle sue parole si evince che vive il lavoro con frustrazione, mentre il marito, camionista, ha un ap- proccio più liberale e non ritiene giusto condizionare i figli.

I genitori, come i figli, ritengono che il percorso di studi che questi stan- no svolgendo sia attinente alle loro aspirazioni lavorative. Dai brani propo- sti emerge pure che molti genitori sono consapevoli del ruolo forte che in Italia svolge il sistema delle conoscenze e delle raccomandazioni:

La possibilità potrebbe averla, basta che si impegna un po’, ma la paura mia è che ci vuole sempre ‘sta benedetta conoscenza o l’aiuto di qualcuno per entrare pro- prio, perché lui ha fatto alberghiero come reception sull’albergo, non è un posto dove si cerca, difficile a trovare proprio quel posto lì. Nell’alberghiero si, o vai nel mondo della cucina, o fai il cameriere e rientri, però non è facile. Ho visto poi che l’albergo non è che c’ha venti alla reception, ci sarà due, tre persone che fanno il turno. È uno che ha qualifiche, ma non è facile, perché non ha conoscenza degli italiani (Ad., 41, bosniaco).

Tutti i genitori degli studenti medi sarebbero felici se i figli giungessero alla laurea. Tuttavia, sono molto poche le famiglie che hanno questa pos- sibilità, si tratta per lo più di nuclei con il padre/patrigno italiano, ma non solo:

R.: Se loro vogliono andare all’università io non mi fermo da lavoro, sulle spalle nostre (Ad., 48 e Ra., 44, albanesi).

Da parte di questo padre c’è un’enorme voglia di riscatto sociale pro- iettato sulla figlia. Ci sono poi i genitori che potrebbero mantenere i figli all’università, soltanto se si iscrivessero in un ateneo marchigiano e non dovrebbero pagare l’alloggio, mentre in alcune famiglie l’iscrizione all’uni- versità sarebbe condizionata dalla possibilità del ragazzo di contribuire al- le spese, lavorando. L’unica ragazza che aspira a laurearsi e che vive in una famiglia monogenitoriale, abita con la madre, impiegata come operatrice socio-sanitaria in una casa di riposo con un reddito medio-basso, il padre non li aiuta, dunque non ha questa possibilità:

Mia figlia vorrebbe fare lingue, ma dovrebbe lavorare, come il figlio. C’avevo sempre questo sogno, però tante volte quando arrivano le persone: “falla studia- re”. Dico: ‘figlia mia se gli dai tutti i soldi da studiare io li porto anche vent’an- ni a scuola, ma se io non ho i soldi come faccio, mica vado a rubare’? (Li., 42, al- banese).

Tutti gli elementi emersi fanno pensare ad una capacità resiliente9 delle

famiglie indagate. La sostanziale serenità e l’equilibrio raggiunto, dopo di- vorzi, liti e conflitti, osservati durante le interviste fa pensare ad un’elevata capacità di affrontare le difficoltà, che in ogni caso permangono. I processi di assimilazione per attuarsi presuppongono l’abilità di affrontare i cambia- menti e tutto ciò che questi comportano.

La resilienza è strettamente connessa con la generational consonance. È emerso, infatti, una sostanziale comunanza di aspirazioni tra genitori e fi- gli, essendo generalmente sereno il clima presente all’interno delle fami- glie. Le situazioni di conflitto vengono gestite con la mediazione, inoltre i genitori spingono i figli all’inclusione e hanno sempre avallato le scelte scolastiche dei figli.