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Il modello di Siegel e White è gerarchico, in quanto la rappresen- tazione Survey racchiude al suo interno anche le informazioni contenute nelle altre due tipologie rappresentazionali. Secondo Montello (1998), un aspetto poco convincente di questo modello deriva dall’utilizzo dei Landmark come prerequisito per la rappresentazione Route, mentre al- cuni studi hanno dimostrato che anche in seguito a un’esposizione mi- nima con l’ambiente gli individui sarebbero in grado di eseguire compiti che richiederebbero una conoscenza Survey. Sembrano supportare que- sta obiezione anche alcune ricerche che hanno suggerito che il cervello memorizza modelli dinamici di movimento, oltre alla posizione su mappe cognitive di tipo cartesiano. Questi esperimenti, insieme all’osservazione di deficit nella memoria vestibolare in pazienti con lesioni corticali, e agli studi delle aree cerebrali coinvolte nella memoria di rotte percorse, hanno portato alla formulazione del concetto di “memoria topocinetica”, ovvero una memoria dinamica dei movimenti e dei punti di riferimento e viste associate durante la locomozione (Berthoz, 1999).

Nel suo modello Montello (1998) suggerì cinque fondamentali principi: in primo luogo non c’è uno stadio puro Landmark o Route, ma una conoscenza configurazionale dell’ambiente che inizia già dalla prima esposizione a esso; l’esperienza motoria e propriocettiva con l’ambiente, così come la familiarità con esso, contribuiscono ad aumentare l’accura- tezza della conoscenza ambientale; le esperienze separate di conoscen- za dello stesso ambiente non sono immagazzinate separatamente nella memoria ma insieme, e vengono trasformate in una conoscenza spaziale più complessa e organizzata gerarchicamente; individui con lo stesso livello di esposizione all’ambiente possono differire nell’accuratezza della loro conoscenza ambientale; i sistemi linguistici di immagazzinamento e comunicazione spaziale arricchiscono la conoscenza non-metrica dell’ambiente. In particolare, Montello sottolinea l’importanza delle diffe- renze individuali, aspetto emerso anche nella ricerca sulle differenze di genere nelle strategie di orientamento condotta dal gruppo Pinna B. et al. (2009) nell’ambito della città di Cagliari. Pinna et al. hanno infatti mostra- to che per orientarsi in un ambiente sconosciuto, i maschi si basano sul ricordo del percorso che collega un punto ad un altro e sulla creazione di una mappa mentale del luogo vista dall’alto; mentre le femmine fanno appello a rilevanti punti di riferimento.

Di recente, Pazzaglia e collaboratori (2000) e Pazzaglia e De Beni (2001) hanno dimostrato che i tre tipi di rappresentazione mentale sug- geriti da Siegel e White corrispondono a tre diversi stili cognitivi. Ovvero gli individui che utilizzano preferibilmente solo i Landmark avrebbero uno stile cognitivo Landmark, mentre quelli che fanno uso sia dei Landmark che delle coordinate egocentriche per muoversi nell’ambiente utilizze- rebbero uno stile Route; diversamente gli individui che usano sia i rife- rimenti egocentrici che quelli allocentrici avrebbero uno stile Survey. La differenza sostanziale con il modello Siegel e White sta nella possibilità di fermarsi a una sola specifica rappresentazione spaziale senza neces- noscenza topografica, si passa da un quadro di riferimento di tipo “ego-

centrico” (relazione tra le posizioni spaziali del mondo esterno e il proprio spazio corporeo, propria delle conoscenze Landmark e Route) a un altro “allocentrico” (aspetti dello spazio esterno indipendenti dal proprio cor- po, propria della conoscenza Survey) e da una comprensione dello spa- zio “topologica” a un’altra interamente “metrica” [Hart R.A. Moore G.T. 1973; Piaget J. Inhelder B. 1967].

I tipi di conoscenza spaziale sopra descritti sono più general- mente conosciuti con il nome di conoscenza “Landmark” (conoscenza che deriva dai punti di riferimento), “Route” (conoscenza che deriva dagli spostamenti lungo percorsi) e “Survey” (conoscenza appresa tramite lo studio della mappa di un luogo). La maggior parte della conoscenza to- pografica appresa deriva dalla nostra esperienza diretta con il luogo ma, come è facile intuire in riferimento alla conoscenza “Survey”, essa può avvenire anche in maniera indiretta attraverso la lettura di un libro o di altro materiale. Golledge (1992) sostiene che la conoscenza dei luoghi (Landmark) e dei percorsi (Route) sia sufficiente nelle azioni quotidiane, ma che quando è necessario interpretare un ambiente, o quando sono richieste abilità spaziali (come prendere la via più breve in un’area non conosciuta), sia essenziale una conoscenza relazionale o configurazio- nale (Survey).

Sebbene siano state individuate diverse tipologie di conoscenza topografica (Landmark, Route, Survey) e di prospettive di conoscenza (egocentrica e allocentrica), non è ancora chiaro in che modo si ac- quisiscano e rappresentino le informazioni spaziali. Sono tuttavia stati proposti diversi modelli, ancora oggi ritenuti validi: modello di Siegel e White (1975); modello di Montello (1998); modello di Pazzaglia e colla- boratori (2000); modello di conoscenza ambientale (EKM, Environmental Knowledge Model) di Nori e Piccardi (2010).

Il modello di Siegel e White sostiene che l’uomo acquisisca la conoscenza ambientale tramite i Landmark e successivamente costru- isca una rappresentazione di tipo Route, a sua volta seguita da una di tipo Survey. La rappresentazione di tipo Landmark è caratterizzata da proprietà ambientali che sono percettivamente salienti e importanti per l’individuo ma non fornisce alcuna informazione sulle relazioni spaziali tra questi punti dell’ambiente. Al contrario, la rappresentazione di tipo Route si basa sia sui Landmark che sui percorsi, ed è generalmente usata per connettere i vari elementi spaziali al fine di raggiungere una meta. Mentre nel primo caso il tipo di rappresentazione è puramente visiva, nel secon- do sono presenti informazioni sensori-motorie derivanti dall’esperienza diretta con l’ambiente. Quella di tipo Survey, infine, è una rappresenta- zione globale dell’ambiente, caratterizzata da un alto livello di plasticità e basata su una rappresentazione allocentrica.

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Vita in città di A. L’abitare dell’anziano oltre una progettazione a isola: Sicurezza, Inclusività, Orientamento Giuliana Frau tesi di dottorato in architettura e pianificazione Università degli Studi di Sassari Vita in città di A. L’abitare dell’anziano oltre una progettazione a isola: Sicurezza, Inclusività, Orientamento

Giuliana Frau tesi di dottorato in architettura e pianificazione Università degli Studi di Sassari

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Sicurezza Inclusività Orientamento topografico

Vitaincittàdia.

strazione di materiale prevalentemente visivo e grafico.

L’esistenza di due differenti tipologie di conoscenza topografica con prospettiva egocentrica (cioè una prospettiva che mette in relazione le posizioni spaziali del mondo esterno e quelle del proprio spazio corpo- reo), quella dichiarativa e quella procedurale [Golledge 1992], fa pensare che nel malato di Alzheimer rimanga la capacità di lettura dello spazio e delle sue componenti primarie. In altre parole, se nella malattia di Alzhei- mer è la memoria dichiarativa (prima quella episodica anterograda, poi quella episodica retrograda e quella semantica) a essere compromessa per prima, mentre quella procedurale mantiene le sue funzionalità per un tempo più lungo; e se nella memoria dichiarativa sono i ricordi più recenti a essere cancellati per primi, si può pensare che l’anziano sia in grado di muoversi da un punto a un altro dello spazio quanto più è abituato a compiere quel dato percorso (familiarità spaziale sensoro-motoria); e allo stesso tempo di riconoscere i luoghi e gli oggetti quanto più questi hanno radici profonde nella sua memoria (familiarità spaziale sensori-visiva).

Un primo elemento che sembra assumere rilevanza è quindi l’in- sieme delle abitudini e delle informazioni spaziali apprese durante i primi anni della vita, le quali sono in memoria da un tempo più lungo e saranno cancellate più lentamente. Questo significa che non solo è importante preservare una certa configurazione dello spazio per un tempo lungo, ma anche l’uso di un linguaggio architettonico nel quale la forma segua la funzione. “La forma segue la funzione” è un principio che stabilisce non solo che la forma deve rendere possibile una funzione (la forma di una casa deve permettere di abitare), ma anche che “deve denotarla in modo così chiaro da renderla desiderabile oltre che agevole, e da in- dirizzare ai movimenti più adatti per espletarla73” e, si può aggiungere,

da renderla comprensibile e riconoscibile. Gli oggetti architettonici, ma anche altri elementi dell’ambiente che vengono utilizzati come riferimenti nella navigazione (i Landmark), da un punto di vista semiologico pos- sono infatti essere intesi come segni, nei quali è possibile riconoscere dei “significanti descrivibili e catalogabili, i quali possono denotare delle funzioni precise purché li si interpreti alla luce di determinati codici74”.

Inoltre, i modelli teorici sopra descritti, sebbene presentino diffe- renze sul modo in cui le informazioni spaziali vengono acquisite, sembra che sostengano tutti l’importanza di alcune questioni rilevanti per l’orien- tamento, come quella della familiarità spaziale.

Sebbene il modello di Nori e Piccardi non stabilisca una gerarchia tra le varie modalità di acquisizione dei dati, cosa che invece fa quello di Siegel e White, esso introduce il concetto della complessità spaziale, la cui crescita determina anche la strategia adottata nell’orientamento. Inoltre, mentre nella rappresentazione Landmark e in quella Route, en- trambe con una prospettiva egocentrica, le caratteristiche psico-fisiche

73. Eco U. 1968, La struttura assente, Milano, Bompiani, 2004, pp. 203-204 74. Ibidem p. 201

sariamente raggiungere le altre, a prescindere dalla familiarità che una persona può avere con l’ambiente.

Infine, il modello di Nori e Piccardi (2010) sostiene che all’aumen- tare del carico cognitivo spaziale, entri in gioco lo stile cognitivo dell’in- dividuo. Pertanto, individui con maggiore capacità di cambiare strate- gia e con rappresentazioni mentali più flessibili dell’ambiente eseguono compiti navigazionali anche complessi con maggiore accuratezza. Na- turalmente anche in questo caso la familiarità con l’ambiente agevola la capacità di navigazione. Il modello di Nori e Piccardi, EKM, sottolinea il ruolo della familiarità ambientale, aggiungendo alla rappresentazione spaziale anche la complessità della richiesta del compito navigazionale da risolvere.

Nella malattia di Alzheimer la memoria semantica71 è una delle

funzioni cognitive che si perdono abbastanza precocemente e per que- sto motivo, oltre che per l’indebolimento ancora più rapido della memoria episodica72, si ha difficoltà a orientarsi quando lo spazio è privo di riferi-

menti dotati di qualità percettive immediate, ovvero di qualità che non ri- chiedono un’elaborazione complessa dei dati (ad esempio qualità come la pendenza, l’odore, la temperatura, la luminosità etc.).

Che la memoria abbia un ruolo centrale nella formazione delle mappe cognitive è un fatto noto, mentre non è sempre stato chiaro che tale funzione sia svolta anche da aree cerebrali differenti da quelle del lin- guaggio. Infatti, alcuni studi [Paivio 1971; Shepard e Cooper 1982] hanno evidenziato che gli oggetti per i quali esiste un’immagine mentale chiara e precisa sono ricordati più facilmente di quelli connotati con il solo lin- guaggio verbale. Un’ulteriore prova di questa affermazione è data anche dalle metodologie di riabilitazione di alcuni tipi di afasia (es. afasia di Wernicke, in cui la comprensione del linguaggio appare compromessa e la produzione manca di senso logico), basate appunto sulla sommini-

71. La memoria semantica rappresenta, insieme a quella episodica, la memoria dichia-

rativa. Per memoria semantica si considerano le conoscenze che una persona ha del mondo, degli oggetti, delle parole, degli attributi che li definiscono. Questa componente si riferisce, in una maniera più estesa, all’intero patrimonio di conoscenze acquisite, organizzate e consolidate nel corso degli anni. Rappresenta anche la funzione conoscitiva e rappresentativa dell’esperienza, meglio nota come la “rappresentazione conoscibile del mondo” e contiene strati dell’universalità e dell’astrazione su cui si costruisce un substrato comune ad altri componenti della stessa società, ceto, momento storico ecc. [Palma A. Pancheri P. 2004]

72. La memoria episodica, o “memoria di lavoro a breve termine”, permette di ricordare le

azioni che si stanno compiendo o che si intende compiere nell’immediato. Essa assume due diverse connotazioni: anterograda, ovvero riguardante un tempo immediato e relativa all’abilità di riordinare in maniera episodica e sequenziale gli avvenimenti appena accaduti; prospettica, ovvero riguardante il futuro e relativa alla capacità di tenere fede agli impegni presi e di rispettare gli appuntamenti [Palma A. Pancheri P. 2004].

spazio sono necessariamente separati, il loro collegamento richiede lo spostamento dall’uno all’altro.

Il processo che permette di stabilire un percorso che da un punto di partenza A conduce a un punto di arrivo B è definito Wayfinding [Gol- ledge, 1992], e consiste in un processo di scelte e di definizione delle svolte, dei segmenti del percorso e della velocità di movimento richiesta per compierlo. In questo modo il processo di ricognizione di un luogo è connesso al Wayfinding: il primo è necessario per identificare l’origine, la destinazione e la scelta dei punti di riferimento; il secondo invece per definire un percorso preciso tra tutti quelli possibili.

Ma quali sono gli elementi di base per spostarsi da un punto a un altro in maniera intenzionale? E soprattutto, quali di questi elementi possono essere utilizzati anche ai fini dell’orientamento di A.?

In senso spaziale, spostarsi lungo un percorso definito richiede l’individuazione di un’origine, l’abilità di riconoscere una destinazione a partire da quell’origine, e quella di connettere i due punti attraverso scelte precise. Il wayfinding richiede la capacità di stimare e riprodurre la lun- ghezza dei segmenti del percorso e la consapevolezza delle svolte da effettuare.

Mentre questo esercizio può risultare semplice per tragitti che hanno un numero limitato di segmenti e di svolte, non lo è per quelli più lunghi, nei quali, al crescere della complessità aumenta la difficoltà di codificare e memorizzare le combinazioni [Golledge, 1992]. Spesso è l’identificazione delle indicazioni ambientali del percorso a presentarsi complessa e incomprensibile. Quante volte, infatti, capita di pensare che la propria meta sia dietro una certa strada mentre invece si trova in quella successiva? E quante volte si procede con cautela nell’incertezza loca- lizzativa di una certa destinazione e si spera, ad esempio, di imbattersi casualmente in essa? Alcuni luoghi hanno, infatti, caratteristiche ambien- tali poco rilevanti e salienti, mentre altri sono ben denotati e facilmente distinguibili. Quando si attraversa una strada o si percorre un tratto che non apparteneva al percorso originario, per essere sicuri della correttez- za del tragitto si fa uso dei punti di riferimento. Infatti, l’apprendimento di un percorso non richiede solo la conoscenza dei suoi singoli segmenti e delle svolte, ma anche lo sviluppo di strategie di riconoscimento ambien- tale compensative, ovvero utili a correggere eventuali scelte sbagliate nei punti di svolta o quando si vede un Landmark da una diversa angolazio- dice che, diversamente dalla navigazione “by body”, la navigazione nella mente avviene senza il sup- porto di un contesto e questo è il motivo per cui genera più facilmente errori. Infatti il contesto funge da supporto per la navigazione in diversi modi. In primo luogo pone dei limiti, nel senso che esclude alcuni comportamenti e ne incoraggia altri; in secondo luogo, i contesti naturali sono generalmente ricchi di stimoli per la memoria e l’azione (es. una persona non ha bisogno di ricordare il punto esatto in cui si trova la fermata della metro se l’ambiente stesso gliela segnala). Riguardo l’uso di un dato spazio, il contesto stesso suggerisce le specifiche azioni che bisogna compiere per fruirne. Nel caso del wayfinding, questo include anche il tempo e il movimento di varie parti del corpo: le gambe nel camminare; le braccia, le mani e i piedi per guidare.

di chi si sta muovendo nello spazio sono importanti quanto quelle dello spazio stesso, nella rappresentazione Survey, che ha una prospettiva allocentrica, prevalgono invece le capacità cognitive dell’individuo e lo spazio assume un ruolo di secondo piano. Infatti, quando la complessità spaziale aumenta [Golledge, 1992], ovvero quando l’ambiente è relati- vamente indifferenziato e uniforme (come ad es. accade in buona parte delle periferie residenziali o in aree del centro città dominate da file di case o di edifici per appartamenti molto alti e uniformi), l’uomo tende a fare appello a conoscenze astratte del luogo, e quindi a raffigurazioni mentali basate su mappe (ad esempio conta il numero degli isolati, op- pure si muove con la cartina cercando di far combaciare i nomi delle stra- de etc.). La rappresentazione Landmark, basandosi su una conoscenza sensoro-visiva, attinge a un bacino di informazioni diverso da quello della rappresentazione Survey, e di più immediato utilizzo, in quanto diretta- mente sollecitato dagli stimoli visivi. Così ad esempio, una persona che passa davanti alla Tourre Eiffel, a meno che non abbia subito gravi danni alle componenti mnesiche e non sia cieca, ha una percezione immediata del luogo in cui si trova. Diversamente invece una persona che si muove all’interno della griglia dell’Ensanche di Barcellona, quasi mai coglie in maniera altrettanto immediata la propria localizzazione rispetto al conte- sto, a meno che non abbia una grande familiarità con il luogo e dimostri ottime capacità di attenzione.

Questo diverso ruolo dello spazio nella sua relazione con l’uomo che ne ha esperienza fa pensare che nel caso di deficit cognitivi come quelli causati dalla malattia di Alzheimer, lo spazio debba (e possa) as- sumere un ruolo primario e più attivo. Il rafforzamento di tale ruolo può avvenire attraverso l’aggiunta di caratteristiche salienti che lo rendono riconoscibile e differenziato e che, attraverso la frequenza d’interazione da parte dell’uomo, ne aumentano la familiarità75. A livello individuale,

la dimensione dell’identità, del riconoscimento visivo e l’accuratezza lo- calizzativa sono strettamente connessi. La familiarità spaziale implica un’abilità non solo di riconoscere e localizzare i fenomeni, ma anche di connetterli ad altri luoghi contenuti nella mappa cognitiva. Gli errori di localizzazione sono minori per i luoghi estremamente familiari ed espe- riti attraverso una navigazione “by Body” piuttosto che attraverso una navigazione “by Mind”76 [Tversky 2003]. Inoltre, poiché i vari punti dello

75. Gale et al. (1990) hanno individuato 4 diverse dimensioni di familiarità spaziale: la

prima indica un’abilità nell’identificare un luogo riconoscendo il nome o l’etichetta; la seconda ri- conoscendo l’immagine; la terza riconoscendo la localizzazione; e infine, la quarta, attraverso la frequenza d’interazione. In particolare, relativamente a quest’ultimo aspetto, è interessante notare che la frequenza con cui si attraversa o si visita un luogo, quando non sia casuale o dettata da fattori che travalicano le scelte individuali, è legata alla sua attrattività e quindi alle sue caratteristiche fisiche e sociali [Gehl, 1971]

76. Tversky (2003) analizza le differenze tra due tipi di comunità di ricerca che studiano

la cognizione spaziale. La prima, Community of Mind, studia i giudizi sullo spazio (es. “quanto dista Roma da Milano?”); la seconda, Community of Body, studia le componenti visive, uditive, cineste- tiche, vestibolari, che le persone e gli animali utilizzano per raggiungere una destinazione. Tversky

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Vita in città di A. L’abitare dell’anziano oltre una progettazione a isola: Sicurezza, Inclusività, Orientamento Giuliana Frau tesi di dottorato in architettura e pianificazione Università degli Studi di Sassari Vita in città di A. L’abitare dell’anziano oltre una progettazione a isola: Sicurezza, Inclusività, Orientamento

Giuliana Frau tesi di dottorato in architettura e pianificazione Università degli Studi di Sassari

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Sicurezza Inclusività Orientamento topografico

Vitaincittàdia.

Come è già stato detto, la possibilità di smarrirsi all’interno dello spazio urbano, specialmente con i mezzi tecnologici di cui si dispone oggi, è molto remota. Ma quest’affermazione non è valida per ogni con- testo né per tutte le persone. Infatti, indipendentemente dalle capacità individuali di ciascuno, un ambiente può essere oggettivamente privo di salienza; così come, indipendentemente dalla salienza dell’ambiente, una persona può essere, o no, in grado di comprenderlo e di sapersi orientare. Anche nel modello Montello (1998) viene sottolineata l’impor- tanza delle differenze individuali nelle strategie di orientamento.

Nel caso in oggetto, in cui le capacità cognitive che restano pre- servate per un tempo più lungo sono quelle della visione-percezione e della memoria procedurale e topocinetica79, è necessaria una strategia

di orientamento che non richieda l’impiego del calcolo razionale, del lin- guaggio, della memoria semantica e di quella episodica. Una strategia che si vuole definire “percettivo e spontanea”, ovvero basata sul principio che sia l’ambiente a farsi notare e riconoscere in maniera immediata, senza richiedere la presenza cosciente e la partecipazione consapevole da parte dell’uomo. Questo significa che nella relazione uomo-spazio, quest’ultimo non solo deve giocare un ruolo più attivo, ma deve anche essere familiare al massimo grado. Quando Lynch (1960) scrive:

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