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Vita in città di A. L’abitare dell’anziano oltre una progettazione a isola: Sicurezza, Inclusività, Orientamento Giuliana Frau tesi di dottorato in architettura e pianificazione Università degli Studi di Sassari Vita in città di A. L’abitare dell’anziano oltre una progettazione a isola: Sicurezza, Inclusività, Orientamento

Giuliana Frau tesi di dottorato in architettura e pianificazione Università degli Studi di Sassari

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Dal modello a isola al modello integrato LeformedeLL’abitaredia.

ficiente, con buone disponibilità economiche e non disposta a rinunciare alla propria indipendenza. Le retirement community erano, e sono, un modello di comunità age-segregated e venivano presentate alla popo- lazione, che invecchiava rapidamente, come una positiva e necessaria alternativa alla condivisione di spazi con altre persone, alla mancanza di privacy della famiglia allargata, allo stigma istituzionale delle residenze sanitarie, alla manutenzione onerosa e all’isolamento sociale del “nido vuoto” [Simpson 2012]. La più famosa comunità per anziani, Sun City, è un esempio di progetto urbano destinato alla terza età. Il passaggio dal modello dell’istituto a quello della comunità age-segregated si è cristal- lizzato nella storia recente, e un’indagine del 2005 ha rilevato che il 59% dei baby-boomers americani intende acquistare una nuova casa in un villaggio per pensionati [Simpson 2012].

Dal punto di vista della destinazione d’uso le strutture per l’anzia- no si distinguono prevalentemente in residenze e servizi socio-sanitari. Nell’idea, prevalentemente europea, di sostenere e favorire il numero di persone anziane che restano nella loro casa d’origine e ricevono, quan- do necessaria, assistenza domiciliare, sono nati centri e strutture diurne. Specializzati o no, in terapie e riabilitazione psichiatrica, offrono spazi e attività adatti alle diverse forme di autosufficienza dell’anziano. In queste strutture vengono organizzate attività ricreative, per il tempo libero e la socializzazione, destinate a tutti gli anziani, a cui si aggiungono quelle di recupero e di riabilitazione psichiatrica destinate solo agli anziani parzial- mente o non autosufficienti.

La nascita di servizi aventi carattere non residenziale costituisce un passo avanti verso il superamento dell’isolamento sociale cui spes- so va incontro l’anziano che risiede nella propria abitazione. Infatti, la presenza di strutture specializzate, esterne all’ambiente della residenza privata (ma anche di quella collettiva), rappresenta un’occasione per le attività sociali e le terapie riabilitative dell’anziano, e allo stesso tempo permette, nel caso di anziani non autosufficienti, di essere accuditi evi- tando il trasferimento in una struttura residenziale e il conseguente sradi- camento dal proprio ambiente di appartenenza.

Ai centri diurni convenzionali, nati per soddisfare specifiche esi- genze dell’anziano – e frequentati prevalentemente da anziani – si af- fiancano interessanti iniziative che coinvolgono i servizi della città di tutti

i giorni. Ne sono un esempio quelle di alcuni musei che, con il fine di

migliorare l’accessibilità urbana e di soddisfare le esigenze dell’anziano con disabilità, hanno sviluppato programmi specifici per garantire a tutti la fruizione dell’arte. Il primo museo ad aver avviato l’iniziativa dell’arte accessibile, è il Moma di New York, che con Meet me. The Moma Alzhei-

4.2.2 La destinazione d’uso: residenze e servizi

mer’s project: making art accessible for people with dementia8, organizza

visite speciali. Alla sua iniziativa hanno fatto seguito quelle di altri musei, come ad esempio il Vanabbemuseum di Eindhoven e lo Stedelijk Mu- seum di Amsterdam.

Oltre ai musei, anche alcune attività commerciali stanno aderendo a pro- grammi d’inclusione, come nel caso del progetto Together for a dementia

friendly Bruges, avviato in Belgio. L’idea di base è rendere la città di Bru-

ges accessibile anche alle persone con demenza, attraverso azioni che riguardano, tra le altre cose, il coinvolgimento e la sensibilizzazione dei normali servizi della città (attività commerciali, trasporti pubblici, scuole, spazi per lo sport e il tempo libero etc.) sul tema della disabilità dell’an- ziano.

Riguardo la destinazione d’uso quindi, oltre ai servizi creati appo- sitamente per l’anziano autosufficiente o con disabilità, ma caratterizzati da una segregazione per età (ad esempio i circoli ricreativi per gli anziani, i centri diurni per malati di Alzheimer etc.), ci sono quelli che pur acco- gliendo un ampio bacino di utenza intergenerazionale (come nel caso del Moma), migliorano la propria accessibilità ampliando il pacchetto delle offerte disponibili.

Per quanto concerne la gestione della struttura o dell’iniziativa, si può fare una distinzione tra pubblico e privato. Prendendo come ri- ferimento la nascita delle retirement community statunitensi, i promotori dell’iniziativa erano soggetti privati interessati in primo luogo a massimiz- zare il profitto9. Quest’obiettivo ha portato a generare un’offerta in grado

di rispondere perfettamente alle caratteristiche della domanda, ma i cui requisiti di accesso – economici e non (si veda il caso di Sun City) – sono divenuti fattori discriminanti. Le retirement community americane sono veri e propri pacchetti di servizi comprensivi di tutto: alloggio, at- tività ricreative, spazi per la socializzazione, luoghi per l’intrattenimento etc. Oltre a non essere accessibili a qualsiasi classe sociale – escludono chi ha ridotte disponibilità economiche – rispondono esclusivamente alle esigenze della fascia di popolazione anziana e creano, pertanto, comu-

8. Per ulteriori informazioni si visiti il sito http://www.moma.org/meetme/

9. Tra il 1950 e il 1960 gli Stati Uniti sono stati il primo incubatore di esperimenti sulle

forme urbane per la terza età. Fino a quel momento la vita dopo il pensionamento veniva trascor- sa nelle istituzioni e un considerevole numero di americani vi andava in una condizione fisica ed economica di benessere. I nuovi modelli urbani non erano né il frutto di una visione dello sviluppo sponsorizzata dallo stato, né quello di organizzazioni di volontariato per l’assistenza delle persone anziane, ma provenivano dal settore privato ed erano venduti come prodotti con l’obiettivo di creare profitto. Miravano al soddisfacimento di ciò che veniva percepito come un bisogno da consumare e non si interessavano di problematiche più ampie o di questioni sociali sollevate da molti approcci socio-demografici [Simpson D. 2012].

nità segreganti per età – escludono tutte le persone di età inferiore ai cin- quantacinque anni, che generalmente hanno esigenze diverse da quelle dell’anziano.

L’obiettivo del profitto diviene quindi elemento di discriminazione quando si basa sulla vendita di un prodotto ideale studiato per soddi- sfare i desideri specifici di un preciso tipo di anziano – in questo caso sano, autosufficiente e di classe socio-economica elevata. Al contrario, quando l’iniziativa è quella del pubblico e il profitto non è l’obiettivo prin- cipale, l’offerta del servizio si rivela accessibile a un numero più elevato di persone e di classi sociali. Ad esempio, i programmi attuali delle demen-

tia friendly community, che non trascurano l’aspetto economico legato ai

servizi dedicati alla fascia di popolazione anziana10, piuttosto che offrire

soluzioni su misura, create ad hoc ed ex novo, promuovono l’estensione dell’accessibilità dei servizi già esistenti e rivolti a tutti.

Sebbene la gestione del pubblico e del privato differisca da pae- se a paese e le strutture destinate agli anziani limitino, per motivi di sicu- rezza, l’accesso agli estranei, quelle private hanno solitamente un grado di chiusura maggiore di quelle pubbliche, derivante dalla volontà di offrire un servizio disegnato il più possibile su misura per l’anziano. Tale specia- lizzazione, come accade anche in altri tipi di spazi dell’abitare11, richiede

l’uso di numerosi vincoli progettuali che limitano usi alternativi e riducono la mixité dell’utenza, generando spazi segreganti ed escludenti. Il pub- blico, invece, tendenzialmente orientato a controllare la spesa secondo un preciso sistema di welfare e a offrire soluzioni sul piano etico e socio- sanitario, enfatizza gli aspetti dell’inclusione, dell’assistenza e della cura.

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Queste tre caratteristiche delle forme dell’abitare di A. che sono state evidenziate, fanno emergere alcuni aspetti rilevanti:

1. anche se non è detto che un intervento alla scala urbana sia più inclusivo di uno alla scala architettonica – e le retirement commu-

nity ne sono in qualche modo la prova, in quanto sono comunità

segregate per età – è più probabile che, ragionando su una scala maggiore di quella del singolo edificio, vengano considerate le esigenze di più tipi di abitanti piuttosto che quelle di uno solo. Inoltre, ragionare su una dimensione che trascende quella del-

10. Come evidenziano i programmi per le dementia friendly community [Green G. Lakey

L. 2013], l’inclusione della popolazione anziana ha anche un ritorno economico non trascurabile. Si tratta, infatti, della fascia di popolazione che, oltre a essere in continuo aumento, detiene buona parte della ricchezza – specialmente se si considerano gli effetti dell’attuale crisi economica e dell’elevata disoccupazione giovanile – e ha molto tempo libero da dedicare, tra le altre cose, all’investimento del proprio capitale.

11. Si veda il caso della specializzazione degli spazi per lo sport, che da luoghi dell’inte-

razione sociale frequentati da varie tipologie di abitanti e in numerosi momenti della giornata, sono diventati spazi altamente specializzati utilizzati solo in occasione dell’evento sportivo o di attività a esso correlate [Donaggio E., Zorzi A. 2013]

lo spazio individuale e privato, significa ammettere l’esigenza dell’anziano di vivere e muoversi in un ambiente quantomeno si- mile a quello della città.

2. Le strutture a carattere residenziale, diversamente da quelle a carattere temporaneo, trascurano l’esigenza di rimanere nel pro- prio contesto familiare e di continuare a svolgere una vita nor- male, compatibilmente con i limiti dell’anzianità e/o della malattia. Inoltre, i servizi che sono già frequentati da un ampio numero di persone e che migliorano la propria accessibilità estendendola anche alle esigenze di popolazioni solitamente escluse (come nel caso dell’iniziativa dei musei sopra menzionata) favoriscono l’inte- grazione generazionale e sociale. Al contrario, quelli che nascono per rispondere alle esigenze di una specifica categoria di perso- ne, mostrano gli aspetti tipici della segregazione e dell’esclusione sociale.

3. Il profitto, che come si è visto è la forza motrice dell’iniziativa priva- ta, cresce all’aumentare della specificità e dell’efficienza del pro- dotto offerto, favorendo quindi l’estensione di un’offerta ad hoc che spesso si rivela escludente e segregante.

In generale, sembra esserci un duplice modo di rispondere alle difficoltà abitative cui va incontro la persona anziana: da un lato la creazione di spazi, pensati e costruiti ad hoc (spazi altri), alternativi a quelli già pre- senti nella città di tutti i giorni; dall’altro l’adeguamento degli spazi già esi- stenti a un numero più vasto di esigenze specifiche e la loro integrazione nella dimensione urbana della città di tutti i giorni.

A seconda dell’approccio progettuale adottato, sembrano gene- rarsi due modelli contrapposti: uno a isola, che produce comunità esclu- sive e chiuse; l’altro integrato, che vuole invece dialogare con la città e non ricerca un’utopia ma, al contrario, agisce direttamente sulle dinami- che urbane dell’esistente.

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