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Le recenti scoperte neuroscientifiche sulle relazioni tra i processi sensoriali, percett

Analisi di due progetti per l’abitare di A.

37. Le recenti scoperte neuroscientifiche sulle relazioni tra i processi sensoriali, percett

e motori, e in particolare quella dei neuroni canonici e dei neuroni specchio, hanno aperto interes- santi prospettive sull’interazione sociale e sull’empatia, che sarebbero legate all’osservazione di oggetti passivi o attivi, impegnati cioè nell’esecuzione di una qualche azione [Gehl 1971; Pusceddu 2010; Rizzolati et al. 2006].

Colosseo o di un altro rilevante Landmark urbano), è l’abitudine, cioè la frequenza d’interazione, ad accrescerla [Gale et al. 1990]. La rapidità con cui cambiano gli spazi urbani e gli elementi archi- tettonici, specialmente quelli destinati ad attività commerciali, in- fluisce negativamente sul riconoscimento dell’ambiente urbano e, conseguentemente, sul benessere psicologico delle persone che lo attraversano [Burton et al. 2006; Lynch 1960; WHO 2007]. Se le aree intorno all’edificio/area in questione non sono oggetto di trasformazioni rapide, frequenti e consistenti, e allo stesso tempo sono dotate di elementi la cui rilevanza (artistica, storica, culturale etc.) ne impedisce la rimozione e/o la modifica, A. potrà abituarsi a riconoscere lo spazio in cui si muove.

• Cura e manutenzione (riferito alle c.f.SU). Uno spazio nel quale si riconosca la presenza dell’uomo, e soprattutto il suo impegno nel tenerlo ordinato, pulito, gradevole etc. è un luogo in cui si prova una sensazione di benessere dovuta non solo alla percezione di una maggiore sicurezza urbana – un luogo ben curato è anche un luogo presidiato, e quindi è poco attraente per atti di microcrimi- nalità e vandalismo [Jacobs 1961] – ma anche all’elevata qualità ambientale [Gehl 1971, 2010; Glaser et al. 2012].

Parametri che indicano la facilità a varcare liberamente la so- glia della struttura:

• Assenza (video)sorveglianza negli accessi (riferito alle c.f.E). La presenza di telecamere e/o persone che vigilano gli accessi non sarebbe, in sé, un ostacolo alla libertà di movimento. In alcuni casi, infatti, è legata alla sicurezza dell’area stessa (ad esempio nei grandi magazzini di Manhattan, nelle gioiellerie, nelle banche etc.) mentre in altri al controllo vero e proprio di chi entra e di chi esce (ad esempio nel carcere, nelle basi militari, nelle strutture per anziani etc.). Mentre nel primo caso inibisce i comportamen- ti umani nocivi, riducendo ad esempio le azioni di criminalità e violenza, nel secondo impedisce di entrare e uscire liberamente dalla struttura.

• Assenza di doppie porte (riferito alle c.f.E). La doppia porta è un sistema, utilizzato prevalentemente nelle carceri, nei manicomi e in altri luoghi di contenimento, che permette di mantenere la strut- tura costantemente sigillata rispetto all’esterno. Dal controllo de- gli accessi sono, infatti, escluse alcune persone – generalmente quelle che si occupano della gestione della struttura – che, diver- samente dalle altre, entrano ed escono quando vogliono. • Sblocco della porta (riferito alle c.f.E). La chiusura forzata della

porta, sia nel senso di apertura che in quello di chiusura, è un’altra forma di controllo dell’accesso. Il blocco, oltre che in entrambe le direzioni, può essere posto anche solo dall’esterno verso l’interno o, al contrario, dall’interno verso l’esterno (controllando, rispettiva-

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Vita in città di A. L’abitare dell’anziano oltre una progettazione a isola: Sicurezza, Inclusività, Orientamento Giuliana Frau tesi di dottorato in architettura e pianificazione Università degli Studi di Sassari Vita in città di A. L’abitare dell’anziano oltre una progettazione a isola: Sicurezza, Inclusività, Orientamento

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Dal modello a isola al modello integrato LeformedeLL’abitaredia.

mente, gli ingressi o le uscite) In entrambi i casi, la soglia non può essere varcata se non è autorizzato lo sblocco della porta. L’analisi mette in luce che entrambe le strutture sono collocate in un contesto urbano che, sebbene non sia di grande attrattività e vitalità, non è nemmeno del tutto marginale.

Per quanto riguarda il primo requisito (la possibilità di muoversi a piedi) la struttura di Alcàcer do Sal risponde positivamente a 15 dei 24 parametri considerati (62.5%), mentre quella di De Hogeweyk a 20 (83.3%). Questo significa che in entrambi i casi tale requisito non è osta- colato dalle caratteristiche fisiche dell’ambiente ed è soddisfatto.

Relativamente al secondo requisito (la possibilità di interagire con persone appartenenti ad altre fasce di età o in altre condizioni psico- fisiche), che è stato considerato sia all’esterno che all’interno dell’edificio/ area in questione, la struttura di Alcàcer do Sal risponde positivamente a 12 dei 24 parametri considerati (50%), mentre quella di De Hogeweyk a 15 (62.5%). Anche in questo caso, nonostante i numeri dimostrino che l’area non sembra essere particolarmente vitale dal punto di vista socia- le, la possibilità di entrare in contatto con altre persone esiste. Sebbene l’individuazione di una varietà di funzioni nell’immediato intorno (raggio di 1 km) della struttura non dica come, quanto e da chi sono utilizzate, supporta l’ipotesi che un certo numero di persone si muovano per diversi motivi e interessi.

Per quanto riguarda il terzo requisito (la riconoscibilità ambienta-

5.3.3 Risultati dell’analisi

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Vita in città di A. L’abitare dell’anziano oltre una progettazione a isola: Sicurezza, Inclusività, Orientamento Giuliana Frau tesi di dottorato in architettura e pianificazione Università degli Studi di Sassari Vita in città di A. L’abitare dell’anziano oltre una progettazione a isola: Sicurezza, Inclusività, Orientamento

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Dal modello a isola al modello integrato LeformedeLL’abitaredia.

grave rischio l’incolumità dell’anziano. Conoscere i dati sulla criminalità di entrambe le aree considerate non è semplice, in quanto si tratta di piccoli centri urbani dei quali non sono disponibili dati ufficiali e specifici sul tema considerato. Guardando però sul web, sia sul sito del comune di Weesp (http://www.weesp.nl/) che su quello di Alcàcer do Sal (http:// www.cm-alcacerdosal.pt/pt/Paginas/default.aspx), e sfogliando qualche giornale online38, non è stato riscontrato alcun dato rilevante riguardo la

pericolosità sociale dell’area.

Sembra quindi che le ragioni di chiusura della struttura si possano ricondurre a una visione dell’anzianità e della disabilità come condizione di estrema fragilità che non può essere esposta ai normali rischi a cui lo sono le altre persone. Rischi che possono essere in larga parte dovuti a caratteristiche fisiche dello spazio – che, come si vedrà nelle pagine successive, sono in grado di condizionare i comportamenti umani – e, di conseguenza, possono essere eliminati o ridotti prestando maggiore attenzione alla progettazione urbana. Se però, come sembra, la chiusura di queste strutture è in buona parte dovuta a una precisa concezione e visione della vecchiaia, allora l’adozione di un punto di vista preciso sulla questione dell’abitare di A. è tutt’altro che secondaria rispetto alle pro- blematiche fisiche e sociali che possono impedirgli l’accesso alla città.

38. http://www.jn.pt/paginainicial/seguranca/default.aspx

http://www.obocagiano.pt/noticias/topicos?t=11005&n=alc%C3%A1cer%20do%20sal http://www.weespernieuws.nl/

le), la struttura di Alcàcer do Sal risponde positivamente a 22 dei 32 pa- rametri considerati (68.8%), mentre quella di De Hogeweyk a 17 (53.1%). Questo significa che il luogo in cui entrambe sono collocate, soprattutto nel caso portoghese, non è privo di caratteri tipologici identificabili e ri- conoscibili, che influiscono positivamente sulla capacità di A. ad orien- tarsi, riducendo il suo rischio di perdersi e la conseguente sensazione di disagio ambientale.

L’analisi fa dunque intendere che le caratteristiche dell’ambien- te fisico esterno alla struttura (e quelle interne per ciò che concerne la possibilità d’interagire con persone appartenenti ad altre fasce della po- polazione) non impediscono ad A. di avere accesso alla città. I primi tre requisiti considerati raggiungono (e superano), infatti, il 50% della loro soddisfacibilità, anche se non è possibile stabilire l’efficacia di alcuni dei parametri considerati (ad esempio, quello relativo alla varietà funzionale dice che da un punto di vista fisico l’area offre un certo numero di attra- zioni per diverse categorie di persone ma non può dire se sono realmen- te accessibili, utilizzate etc.)

Per quando riguarda invece il quarto requisito (la possibilità di varcare liberamente la soglia della struttura) si può notare che in entrambi i casi non è soddisfatto. Entrambe le strutture, infatti, rispondono positi- vamente soltanto a 2 dei 7 parametri considerati (28%). In altre parole, sia l’una che l’altra non permettono di varcare liberamente la propria soglia, specialmente per quanto riguarda l’uscita. Un dato importante è l’assen- za di blocco esterno della porta, segno che, sebbene sia necessario controllare chi entra nella struttura (in entrambi i casi esiste almeno una forma di controllo), l’accesso non è fisicamente ostacolato e le persone che vivono all’esterno possono entrare “quasi” liberamente (è general- mente richiesta l’identificazione o un’autorizzazione formale per visitare la struttura nel caso non si abbiano rapporti di parentela o amicizia con gli ospiti).

Nonostante le criticità di alcuni parametri, quest’analisi mostra due dati molto importanti: da un lato la presenza, nel contesto urbano cir- costante la struttura analizzata, dei requisiti necessari per l’accesso alla città da parte degli anziani residenti; dall’altro l’uso, nella struttura stessa, di forme di contenimento e la conseguente riduzione dell’accessibilità urbana per i residenti. In altre parole significa che nonostante gli spazi esterni, da un punto di vista fisico, non presentino ostacoli per l’accessi- bilità, ci sono altre ragioni che la impediscono (o la limitano). La presenza di un controllo, anche rigido, degli accessi, ostacola la libertà di entrare e uscire dalla struttura.

***

A questo punto sorge una domanda: si tratta di una necessità o di una volontà di chiusura?

Le ragioni potrebbero, infatti, essere dovute alla presenza, nel tessuto sociale circostante, di alti livelli di criminalità che metterebbero a

Riprendendo quanto è stato detto in origine, le forme dell’abitare di A. sono determinate dalle sue condizioni di autosufficienza ma anche da due visioni diverse dell’anzianità, a cui sono legati due modelli, definiti

a isola e integrato, contraddistinti da alcune caratteristiche di progetto

(scala, funzione e gestione). Allo stesso tempo, alcune esigenze speci- fiche (sicurezza, inclusione sociale, familiarità ambientale) di A. sono un requisito fondamentale per il suo benessere.

In che modo, però, conciliare il bisogno di sicurezza – intesa come assenza di rischio di farsi male fisicamente, di essere a disagio e di subire maltrattamenti – dettato dalla condizione di maggiore fragilità cui conduce la malattia, con quello d’inclusione sociale e di permanenza in un ambiente familiare, intrinsecamente connesso alla dignità e ai diritti della persona? E come farlo in un contesto, quello urbano della città di tutti i giorni, in cui il numero di pericoli cui A. può andare incontro è molto elevato e in cui la società stessa è mediamente riluttante ad accettare i diversi? A questo problema sembra che i due modelli abbiano dato rispo- ste non solo differenti, ma addirittura antitetiche.

Il modello a isola sembra mettere in primo piano i deficit compor- tati dalla malattia, limitando al massimo il rischio di perdersi, di cadere, di essere aggrediti etc.; mentre quello integrato sembra dare priorità alle esigenze della persona, e quindi alla necessità di rimanere in un ambien- te familiare, di non essere escluso dalla comunità e di condurre uno stile di vita il più possibile simile a quello precedente la perdita della salute. Mentre il primo tende a massimizzare la sicurezza e si spinge fino alla creazione di ambienti segreganti, con il risultato di escludere A. dalla vita sociale o di creargliene una su misura, come nel caso di De Hogeweyk; il secondo mira a garantirgli la permanenza nella propria abitazione e la partecipazione alla vita di comunità, e gli permette di accedere a beni e servizi agendo sull’abbattimento delle barriere architettoniche e senso- riali (piano fisico) e sulla sensibilizzazione della società in tema di demen- za (piano sociale).

Estremizzando il concetto si può dire che per rispondere al me- glio alle esigenze specifiche di A. e soprattutto al suo bisogno di sicurez- za (focus sulla malattia), il modello a isola impone un vincolo di progetto fortissimo: la netta demarcazione spaziale tra il suo ambiente e quello della città, con il risultato che lo confina e lo esclude dalla comunità (si veda l’esempio di De Hogeweyk e in generale il concetto di gated com-

munity). Il modello integrato, al contrario, nell’idea di soddisfare le esi-

genze d’inclusione sociale (focus sulla persona) mira ad abbattere ogni ostacolo alla libertà fisica e sociale, e non pone limiti alla mobilità urbana di A., affidando soprattutto all’educazione e all’intervento della comunità

6.

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