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Fig. 47 Espansione della forza attrattiva del punto attraverso segni sugli isolati adiacenti ed esterni Fig. 48 Esempio di insiemi di punti

Fig. 50 Caratteristiche dell’espansione della forza attrattiva del punti: attrarre e respingere Fig. 49 Espansione della forza attrattiva dai punti e dai “non” punti al fine di evitare loop interni

La prima parte della tesi ha messo in evidenza un aspetto impor- tante dell’abitare di A. Se, infatti, lo si intende come il rapporto significa- tivo tra l’uomo e il mondo, e se tale rapporto si costruisce attraverso un complesso processo di conoscenza, in che modo A., che perde progres- sivamente le funzioni cognitive superiori (linguaggio, calcolo, ragiona- mento, memoria) può abitare?

Per rispondere a questa domanda, pur tenendo conto che il pro- cesso di relazione con il mondo richiede sempre l’uso dei sensi e delle funzioni cognitive e necessita di esperienze, sono stati assunti tre diversi punti di vista: il primo, l’abitare fisico-sensoriale-emotivo-motorio, focaliz- za l’attenzione sulle capacità sensoriali, e quindi sui sensi e i loro limiti; il secondo, l’abitare riflessivo-cognitivo, si concentra sui processi cognitivi complessi, che permettono di integrare le nuove informazioni con quelle già presenti nella nostra memoria; il terzo, l’abitare sociale, mette in risal- to le azioni e le interazioni tra l’uomo e i suoi simili.

L’adozione di questi punti di vista ha permesso di dire che mentre nel primo tipo di abitare è possibile mantenere una certa indipendenza rispetto all’ambiente esterno – è il caso delle rêverie, ma anche quello dei ragionamenti, dei calcoli etc.; nel secondo e nel terzo, la qualità e l’effi- cacia degli stimoli provenienti dallo spazio costruito e dalle altre persone hanno un ruolo centrale.

La prima parte della tesi si conclude affermando che è ancora possibile l’abitare quando si dimenticano i nomi delle cose e delle perso- ne, quando si perde la capacità di orientarsi, di riconoscere, di leggere e di elaborare coscientemente le informazioni, se gli stimoli sensoriali provenienti dall’ambiente fisico e sociale attivano processi cerebrali non ancora compromessi dall’invecchiamento e dalla malattia. Se non richie- dono, cioè, l’uso delle capacità cognitive superiori e, al contrario, sono percepibili in maniera immediata.

A questa considerazione è seguita una riflessione sul luogo per eccellenza, cioè sull’ambiente che rende possibili al massimo grado le tre forme dell’abitare individuate. Considerazione che ha messo in di- scussione la centralità rivestita in passato dall’ambiente privato dell’abi- tazione, che per via delle profonde trasformazioni sociali ed economiche in atto (dissoluzione della famiglia, aumento del numero dei single, urba- nizzazione crescente, aumento della povertà etc.) non può più rivestire questo ruolo, oggi ricoperto, forse, dalla città, nella quale l’uomo può trovare tutte le occasioni per i tre tipi di abitare menzionati. Come però già sottolineato, non tutte le città sono in grado di suscitare in chi le abita,

il senso di appartenenza e d’identità tipico dell’abitare; non tutte le città sono, nel senso proprio del termine, abitabili, soprattutto considerato che A. ha meno capacità di altri abitanti di adattarsi all’ambiente.

Con la chiusura della prima parte si è quindi evidenziato che, af- finché A. possa abitare, è necessaria, da un lato, l’esposizione ad am- bienti ricchi di stimoli percepibili in maniera immediata, e dall’altro la pre- senza di questi ambienti nella città, che rappresenta oggi il luogo per eccellenza.

A questo punto il lavoro è proseguito con un’indagine su quelle che sono, oggi, le forme dell’abitare di A. Tale indagine prendeva le mos- se dall’ipotesi che gli interventi attuali e passati facciano riferimento a modelli escludenti e segreganti, che siano limitati all’ambito residenziale e che il principale requisito cui rispondono sia la sicurezza. Attraverso l’individuazione di tre caratteristiche di progetto (la scala architettonica e urbana; la destinazione d’uso; la gestione della struttura) sono stati messi in evidenza due differenti modelli dell’abitare di A.: il modello a iso-

la e il modello integrato, ciascuno dei quali rappresenta una particolare

concezione dell’anzianità e della malattia.

L’aspetto critico che è emerso dall’intero lavoro d’indagine, fina- lizzato a dimostrare l’ipotesi avanzata, è che non solo il modello a isola – focalizzato sulle esigenze della malattia, indirizzato a soddisfare i requi- siti di sicurezza e produttore di spazi segreganti ed escludenti – è quello più diffuso, ma anche che quello integrato – focalizzato sulle esigenze della persona, indirizzato a soddisfare requisiti d’inclusività e potenziale produttore di spazi adatti a tutti e a nessuno1 – allo stato attuale rischia di

essere poco realizzabile e scarsamente efficace. Inoltre, l’analisi di det- taglio delle due strutture di Alcacèr do Sal e di De Hogeweyk, entrambe inquadrabili all’interno del modello a isola, ha messo in evidenza che le caratteristiche fisiche dello spazio esterno rispondono positivamente ai requisiti necessari per l’integrazione della struttura con la città (requisiti per la mobilità pedonale, per l’interazione con altre fasce della popolazio- ne e per la riconoscibilità ambientale), e che la creazione di spazi esclu- denti non è la risposta, quindi, a una reale inadeguatezza dell’ambiente esterno, ma piuttosto a una particolare maniera di concepire gli spazi dell’anzianità e della disabilità.

Contrariamente, i programmi delle Dementia-Friendly Community, che attualmente rappresentano gli unici casi di integrazione dell’abitare di A. nella città di tutti i giorni, si basano su una visione dell’anzianità che mette in primo piano le esigenze della persona e non quelle della malat- tia. Alle criticità dovute alla competitività delle priorità e all’insufficienza di energia per soddisfarle tutte, si aggiunge una sproporzionata attenzione agli interventi sul piano sociale rispetto a quelli sul piano fisico. I primi,

1. Come già spiegato nelle conclusioni relative alla parte sulle forme dell’abitare di A.,

spazi progettati con l’obiettivo di soddisfare le esigenze di tutti gli abitanti e di eliminare ogni sorta di criticità esistente spesso si rivelano inadeguati: alcune priorità sono in contraddizione tra loro e le energie non sono sufficienti a soddisfarle tutte.

Conclusioni

A. come soggetto privilegiato per il progetto

dello spazio pubblico

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Vita in città di A. L’abitare dell’anziano oltre una progettazione a isola: Sicurezza, Inclusività, Orientamento Giuliana Frau tesi di dottorato in architettura e pianificazione Università degli Studi di Sassari Vita in città di A. L’abitare dell’anziano oltre una progettazione a isola: Sicurezza, Inclusività, Orientamento

Giuliana Frau tesi di dottorato in architettura e pianificazione Università degli Studi di Sassari

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Sicurezza Inclusività Orientamento topografico

Vitaincittàdia.

che richiedono di agire direttamente sulla struttura sociale della popola- zione, attraverso la sensibilizzazione, l’informazione, l’istruzione etc. di vari attori urbani, sono suscettibili di scarsa efficacia perché, diversa- mente che sul livello fisico, su quello sociale è ulteriormente difficile far coincidere le previsioni con la realtà dei fatti. In altre parole, se, ad esem- pio, alla progettazione di un intervento di trasformazione di una strada finalizzato al miglioramento della visibilità, della sicurezza, del controllo sociale etc. può facilmente seguire una sua applicazione che ne rispetta in maniera puntuale e precisa i dettami; all’idea di avere commercianti, autisti, funzionari, guardie, vigili etc. capaci non solo di riconoscere chi ha una demenza ma anche di aiutarlo e di proteggerlo, non segue con altrettanta facilità la sua applicazione reale.

Infine, l’eccessiva attenzione alla salvaguardia della sicurezza tipi- ca del modello a isola ha, come controscena, una riduzione non solo del- la libertà dell’individuo, in quanto produce spazi segreganti ed escluden- ti, ma anche della sicurezza stessa: indebolisce chi vive dentro l’isola sia perché gli impedisce di sviluppare difese contro i pericoli esterni (esem- pio del bambino dentro il box) sia perché ne rende nota la fragilità agli altri (esempio delle isole di sicurezza nella metropolitana di New York).

Al contrario, l’eccessiva attenzione a soddisfare requisiti di inclu- sività tipica del modello integrato, che può manifestarsi sia con l’intro- duzione di un numero troppo elevato di vincoli sia con una loro totale assenza ha, come controscena, non solo il rischio dell’inadeguatezza e dell’inefficacia degli interventi, ma anche una potenziale riduzione dell’in- clusività stessa: se uno spazio è inadeguato alle esigenze di A. e il livello della sicurezza è troppo basso, egli sarà scarsamente incentivato a usci- re dalla propria abitazione e sarà implicitamente indotto a isolarsi.

Le criticità individuate nei due modelli anticipano un aspetto che è ulteriormente sottolineato in seguito, nella parte finale della tesi: il rap- porto tra sicurezza e libertà, tra presenza e assenza di vincoli di progetto.

La terza parte della tesi, interamente finalizzata a dimostrare che una Vita in città di A. è possibile, e che trae origine dalle conclusioni della prima e della seconda parte – quindi dalla necessità di avere città capaci di offrire stimoli percepibili in maniera immediata e di trovare un equilibrio tra le categorie di progetto che contraddistinguono i due attuali modelli dell’abitare di A. – avanza una proposta di progetto.

Offre una nuova visione dell’abitare di A. che non solo prende insieme le due categorie della sicurezza e dell’inclusività, ritenute entram- be necessarie, ma soprattutto ne introduce una terza, ritenuta indispen- sabile: l’orientamento topografico. Infatti, se la città non permette ad A. di orientarsi in maniera efficace, se non riduce al massimo il suo rischio di perdersi, anche la sicurezza e l’inclusività decrescono: se A. si perde, non solo va incontro al rischio della dispersione e del non ritrovamento, ma anche a quello di limitare le uscite da casa, con la conseguente ridu- zione delle interazioni sociali etc.

Ciascuna delle tre categorie di progetto, sebbene sia connessa

alle altre al punto che sarebbe stata possibile un’unica trattazione del tema, è stata analizzata singolarmente in funzione delle caratteristiche psico-fisiche di A., mettendo in luce le criticità ambientali che le ostaco- lano e le strategie di progetto che invece le favoriscono.

La sicurezza, che è stata interpretata attraverso tre diversi punti di vista – riduzione del rischio di farsi male fisicamente, ovvero la città senza barriere; riduzione della sensazione di disagio e malessere psicologico, ovvero la città curata; riduzione del rischio di subire maltrattamenti fisici o psichici da parte di altre persone, ovvero la città controllata – viene migliorata attraverso una maggiore attenzione alla definizione dei flussi di traffico urbani (strade divise o strade condivise?); l’uso dell’infrastruttura verde come ammortizzatore dell’intensità del caos cittadino e come pun- to di riferimento per il riconoscimento e l’identificazione ambientale (oltre che come spazio per il coinvolgimento e la partecipazione attiva degli anziani); il progetto del marciapiede, delle facciate e del piano terra degli edifici (dei quali vengono individuate le funzioni più efficaci), ovvero della città al livello dell’occhio, come elementi di rafforzamento del controllo sociale.

L’inclusività, che è stata analizzata attraverso tre diverse declina- zioni della condizione di solitudine (che ne costituisce la principale cau- sa-conseguenza di riduzione o assenza) – isolamento, oblio e spaesa- mento – viene migliorata attraverso interventi progettuali che aumentano la permeabilità tra interno ed esterno (le aperture, i balconi e i cortili) e che favoriscono contatti sociali diretti e indiretti; il progetto dello spazio pubblico della strada come luogo di invito all’azione, ovvero come spazio che, grazie alle attività che vi si svolgono (gioco dei bambini, teatro, ma- nifestazioni, eventi sportivi etc.) offre stimoli e incoraggia la partecipazio- ne e il coinvolgimento di A.; l’attenzione alla dimensione umana e quindi una progettazione degli spazi che tenga conto dei limiti sensoriali della vista, dell’udito, del tatto, della velocità di camminamento etc.

L’orientamento topografico, che è la categoria di maggiore com- plessità per A. (in quanto richiede l’uso di numerose funzioni cognitive superiori), basandosi sulle sue capacità residue (sensoro-visive e senso- ro-motorie) viene migliorato attraverso l’introduzione di vincoli di progetto finalizzati a stimolare una percezione spontanea.

La presenza di questi vincoli, che a seconda della forma assunta (anello, gradiente, area, punti) variano nella loro efficacia, permette di ridurre il rischio di A. di perdersi mentre si muove in città. Dall’analisi dei modelli proposti e dagli effetti che possono produrre le loro ibridazioni emerge, infatti, che qualsiasi soluzione si voglia adottare, l’introduzione di limiti nello spazio urbano è un’azione necessaria.

La sicurezza aumenta notevolmente all’aumentare del potere di confinamento di questi limiti, ma decresce la libertà individuale di mo- vimento e di scelta dei luoghi in cui andare; la libertà a sua volta cresce al diminuire dei vincoli introdotti ma contemporaneamente aumenta il ri- schio di smarrimento. L’intero nocciolo della questione sembra risiedere

nell’oscillazione tra i due estremi libertà-vincoli (o limiti, se si preferisce) e nel riuscire, quindi, a trovare un equilibrio ottimale, considerando che per A. la totale assenza di vincoli non coincide con la massima libertà di movimento, ma al contrario gli impedisce di avere accesso alla città.

In conclusione, l’intero lavoro mostra che è possibile considerare A. un soggetto privilegiato per il progetto dello spazio pubblico, non solo perché pensare a chi è più debole permette di trovare soluzioni più inclu- sive, ma anche perché le particolari caratteristiche di A. rappresentano le problematiche di un ampio numero di soggetti deboli: l’assenza di sicu- rezza, il disorientamento spazio-temporale, lo sradicamento dal luogo, la solitudine, la perdita di coscienza e di autonomia etc.

L’introduzione della categoria dell’orientamento topografico come elemento non solo necessario ma addirittura indispensabile, ha permes- so di conferirle un aspetto prioritario nel progetto dell’abitare di A., dal momento che la sua assenza induce alla riduzione sia della sicurezza che dell’inclusività. Se si vuole che un progetto sia efficace è fondamen- tale, infatti, acquisire un punto di vista preciso sul problema affrontato e stabilire delle priorità che non siano competitive tra loro. Tale scelta ha inoltre consentito di pensare a soluzioni non settoriali e non escludenti, diversamente da quanto accade invece nel modello a isola in cui si vuole massimizzare la sicurezza.

Infine, preme dire che, pur senza la pretesa di voler risolvere problemi che vanno ben al di là dell’accessibilità urbana per i disabili psichici e le persone con demenza, il lavoro illustrato vuole proporsi come spunto di riflessione su un tema che, sebbene sia di fondamentale importanza nell’ambito dell’abitare, continua a essere considerato una questione secondaria. Infatti, nonostante esista una vasta letteratura che a partire con Kevin Lynch ha affrontato e sviluppato il tema della perce- zione e dell’orientamento urbano, la questione è ancora sottovalutata da progettisti e teorici di pratiche urbane, tanto più se affrontata nell’ottica dell’invecchiamento progressivo della popolazione e delle relative con- seguenze che esso comporta.

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Vita in città di A. L’abitare dell’anziano oltre una progettazione a isola: Sicurezza, Inclusività, Orientamento Giuliana Frau tesi di dottorato in architettura e pianificazione Università degli Studi di Sassari Vita in città di A. L’abitare dell’anziano oltre una progettazione a isola: Sicurezza, Inclusività, Orientamento

Giuliana Frau tesi di dottorato in architettura e pianificazione Università degli Studi di Sassari

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