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La creazione del concetto di genere in medicina e psichiatria

Gloria Valentin

2. La creazione del concetto di genere in medicina e psichiatria

Spesso, nel voler rintracciare le origini del termine gender si fa ri- ferimento all’antropologa Gayle Rubin e al saggio The traffic in wo-

men: Notes on the “Political Economy” of Sex del 1975.

Tuttavia il termine era già stato utilizzato diversi anni prima da alcuni psicanalisti e psichiatri, tra cui Robert Stoller. Nel 1958 si era costituito, infatti, il “Gender Identity Research Project” che ave- va l’obiettivo di studiare le persone transessuali e intersessuali e che aveva contribuito a diffondere, seppur tra un pubblico di addetti al mestiere, il concetto di identità di genere. Robert Stoller nel 1968 teneva a sottolineare l’esistenza di una chiara distinzione tra una di- mensione biologica e fisica dei soggetti e una psicologica e culturale. Gli anni di lavoro con le persone transessuali lo inducevano, inoltre, a sostenere la relativa indipendenza tra sesso biologico e identità di genere.

Allo stesso modo, nel 1972 lo psicologo John Mooney1, esponen- te della J. Hopkins School of Medicine di Baltimora, affermò che «l’identità di genere» altro non era se non:

l’individuazione, unità e persistenza dell’individualità personale come maschile o femminile o, in maggiore o minore grado, ambivalente, in particolare per come la si sperimenta attraverso il senso di sé e il comportamento2.

1 John Money è noto per il suo controverso ruolo nella vicenda di David Reimer, cui all’età di sette mesi, durante un intervento di circoncisione, fu asportato accidentalmente il pene. Money consigliò alla famiglia di crescere il bambino come un femmina e di sottoporlo all’asportazione di scroto e testicoli, sostenendo che in questo modo avrebbe potuto vivere serenamente come donna, mentre non sarebbe mai stato in grado di sostenere un’identità maschile senza pene. David, cresciuto come Brenda, durante l’adolescenza rifiutò l’identità femminile e iniziò a vivere da uomo anche se privo dei geni- tali maschili. La sua storia, molto discussa, si concluse con un tragico epilogo quando nel 2004 si tolse la vita. Cfr. Bullogh e Bullough (1993), Butler (2006).

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Altri generi

3. Gayle Rubin e il «sex-gender system»

Nel 1975 per la prima volta questi concetti propri del discorso me- dico e psicanalitico sono stati introdotti da Gayle Rubin nelle scienze sociali e umane. L’antropologa americana intendeva spiegare come la teoria marxista fosse inadeguata a render conto dell’oppressione del- le donne. Servendosi delle teorie strutturaliste di Lévi-Strauss sulla parentela e della teoria del soggetto di Freud, voleva svelare la natu- ralizzazione delle norme sociali responsabili della trasformazione del sesso in un insieme di ruoli di genere.

Prese corpo, così, l’idea che le categorie di uomo e di donna non fossero universali e naturali, ma si costruissero in relazione ad un determinato periodo storico, ad un contesto socio-culturale e ad uno specifico modello educativo. Come afferma Maria Nadotti: «L’introduzione della categoria teorica e critica di ‘genere’ ha permes- so di portare alla luce quanto di fabbricato, costruito, non naturale vi fosse in ciò che sino ad allora era stato chiamato semplicemente sesso e dato per scontato, astorico e immodificabile»3.

Le femministe della «seconda ondata» misero in relazione il con- cetto di genere con una tematica a loro cara quale la «genealogia dell’oppressione delle donne» e la loro «subordinazione sociale»4.

Joan Scott, in un lavoro divenuto una pietra miliare negli studi di genere, Gender and the Politics of History, afferma che il concetto di genere evoca inevitabilmente la dimensione del potere5. In una rilettura del testo di Joan Scott, Giovanna Campani sottolinea come il genere «non si riferisce ad una ‘presa d’atto neutrale di una realtà sessuata’, bensì alla constatazione di uno squilibrio tra due gruppi di creature umane»6.

Il nuovo vocabolo intendeva indicare la costruzione socio-culturale 3 Ivi, p. 8.

4 Lewin Ellen, Feminist anthropology: a reader, Blackwell Publishing LTD, Malden USA 2006, pp. 87-106, p. 87 (trad. it. mia)

5 Scott Joan, Gender and the Politics of History, Columbia UP, New York 1988, p. 42

6 Campani Giovanna (a cura di), Genere, etnia e classe. Migrazioni al femmnile

Gloria Valentini

delle differenze tra i sessi in quanto, considerare quest’ultima dipen- dente esclusivamente dalla biologia, avrebbe significato riconoscere l’asimmetria e la disparità di potere tra i sessi come naturale e immo- dificabile. L’esigenza era quella di enfatizzare la dimensione social- mente costruita della diseguaglianza tra uomini e donne in modo da smascherare il presunto carattere naturale e neutrale della gerarchia asimmetrica generata dal potere patriarcale. La diseguaglianza era pertanto considerata non come qualcosa di inevitabile, ma come il risultato di determinate norme sociali e di specifiche costellazioni di potere. L’introduzione del concetto di gender aspirava quindi a sfidare il determinismo biologico insito nell’idea che da un corredo biologico derivassero comportamenti, atteggiamenti e ruoli sociali e che la biologia fosse sufficiente per definire un uomo o una donna.

Sebbene il termine gender sia stato coniato per far riferimento ad entrambi i generi, appare innegabile che la riflessione in merito al concetto sia stata inaugurata da soggetti di genere femminile. Ciò può forse essere spiegato dalle illuminanti osservazioni di Marco Pustianaz, secondo cui «la visibilità della differenza non può essere leggibile che da una posizione di subordinazione», pertanto, la «visi- bilità delle operazioni del genere è inaugurata dal genere femminile in quanto genere posto sotto silenzio»7. I soggetti che fuoriescono dalla «norma» possono forse offrire un punto di osservazione pri- vilegiato sulla norma stessa, possono aiutare a comprendere i mec- canismi di produzione e di perpetrazione della norma. A partire da una prospettiva che in parte fuoriesce dalla «norma» potrebbe essere più semplice vedere e analizzare quanto è dato per scontato e natu- ralizzato. Per tale ragione appare interessante analizzare il concetto di genere proprio a partire dalla posizione «degenere» di chi fatica a rientrare in una delle due categorie di genere socialmente ammesse, di chi oscilla tra le categorie di genere oppure aspira a decostruire i meccanismi stessi di produzione del genere. I transgender studies8 7 Pustianaz Marco, Genere intransitivo e transitivo, ovvero gli abissi della per-

formance queer, in Bellagamba Alice, Pustianaz Marco, Di Cori Paola, Generi di traverso, Edizioni Mercurio, Vercelli 2000, p. 108.

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Altri generi

in tal senso hanno contribuito a far emergere e a dare voce a tut- te quelle identità di genere che fuoriuscivano dalla norma e che, pertanto, potevano aiutare a problematizzare a analizzare la norma stessa.

Considerando il genere come l’effetto di un discorso, intendo rin- tracciare gli elementi, le dinamiche, le rappresentazioni che hanno permesso ad una specifica concezione del genere di emergere e di cristallizzarsi nel mondo contemporaneo.