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Alla pedagogia non si addice l’ingenuità

Laura Santon

3. Alla pedagogia non si addice l’ingenuità

Nel 1967 è pubblicata Lettera a una professoressa12, un piccolo libro che solleva in maniera inaspettata e potente il problema della natura antipopolare dell’organizzazione scolastica, definita «un ospedale che cura i sani e respinge i malati»13. Come esibisce il titolo, si individua soprattutto nella popolazione femminile il tarlo marcio del sistema, il suo odioso emblema. Dopo la definizione delle insegnanti come 10 Mapelli Barbara, Donne a scuola, virtù e vizi, in Aa. Vv., Le donne della

scuola, la scuola delle donne. Atti del convegno di Cagliari 18 Novembre 2006,

Cuec Editrice, Cagliari 2008, p. 17.

11 Alba Porcheddu parla di “economia del dono” riflettendo che la capacità delle donne di far dono di sé e del proprio tempo per prendersi cura degli altri, è svalutata socio-culturalmente, poiché non è considerata non una competen- za tecnica, ma un modo di fare naturale e naturalmente inferiore a quello maschile. Al tempo stesso però è considerata una prerogativa obbligata, non sindacabile (Cfr. Porcheddu Alba, Femminilizzazione dell’insegnamento e

nuova professionalità, in Ulivieri Simonetta (a cura di), Educazione e ruo- lo femminile. La condizione delle donne in Italia dal dopoguerra ad oggi, La

Nuova Italia, Firenze 1992).

12 Scuola di Barbiana (1967), Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1996.

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Identità professionale e identità di genere

“vestali”14, in una nota indagine sociologica di fine anni Sessanta, il colpo definitivo alla categoria delle insegnanti sarà stagliato nel 1973 da Elena Gianini Belotti, nell’acuto libro Dalla parte delle bambine15, che in poco tempo si guadagna il primato di notorietà in merito ai condizionamenti socio-culturali dei ruoli maschili e femminili. Il successo del volume avvia il dibattito sulle modalità che deve avere l’educazione di genere e sulla necessità che il contesto educativo se ne faccia consapevolmente carico. Da un certo punto di vista, scrive Ulivieri, il problema è squisitamente femminile:

Storicamente, è innegabile, le donne sono state le agenti primarie della socializzazione infantile, i soggetti prin- cipali della trasmissione dei ruoli sociali e dei modelli culturali. Questa attività risulta tuttavia in molti casi, magari in forma irrazionale e subliminale, legata alla tra- dizione e alle sue certezze e sicurezze, così che il discorso educativo più che a trasmettere con opportune correzioni il costume educativo ai piccoli, tende al contrario a ripro- durre acriticamente il passato, senza rompere il pregiudi- zio, ricreando nella famiglia e nella scuola palestre della vita futura, precisi e differenziati ruoli sessuali e quindi sociali, dove al privilegio maschile corrisponde una netta inferiorità femminile16.

Il condizionamento operato dagli stereotipi non riguarda solo lo sguardo degli adulti nei confronti dei bambini, ma anche vicever- sa quello dei bambini nei confronti degli adulti. Maestri e maestre sono investiti da una serie di attese che riguardano la loro identità sessuata. Il rischio è quello di restringere il ventaglio di possibilità della relazione educativa in nome di una scarsa o mancata consape- volezza. Ad ampliare in tal senso il portato della riflessione è Barbara Mapelli, che negli anni Novanta scrive:

14 Barbagli Marzio, Dei Marcello., Le vestali della classe media. Ricerca socio-

logica sugli insegnanti, Il Mulino, Bologna 1969.

15 Gianini Belotti Elena (1973), Dalla parte delle bambine. L’influenza dei

condizionamenti sociali nella formazione del ruolo femminile nei primi anni di vita, Feltrinelli, Milano 2008.

Laura Santoni

I sessi, mentre si varca la soglia del luogo educativo pa- iono dissolversi o, meglio, si dissolvono nello scambio esplicito di parole, contenuti, saperi, in una realtà che si presenta come neutra, poiché annulla i corpi e considera solo le teste e, queste, sembrerebbero tutte uguali. Ma il sesso attraversa poi le maglie larghe di questa neutralità fittizia [...]17.

Se si vuol consentire una libera costruzione di sé agli individui in formazione si deve assumere il problema della differenza sessuale e individuare il modo in cui si riverbera, come la luce in un prisma tra-

sparente, all’interno della ruotine giornaliera. Due sono le dimensioni

da tenere in considerazione: anzitutto la relazione umana di docenti e discenti, i messaggi che veicolano attraverso le proprie scelte di vita, i propri interessi, i modi in cui entrano in contatto. Poi il nucleo dei saperi, i contenuti, le informazioni, i modelli, le visioni del mondo che si trasmettono, influenzandosi vicendevolmente nella relazione asimmetrica che li lega18. In tal senso è assolutamente pertinente l’osservazione di Franco Cambi secondo cui «alla pedagogia non si addice l’ingenuità»19: in quanto discorso dalle implicazioni sociali, culturali e filosofiche, la riflessione sull’educazione deve poter con- tare su uno sguardo attento, capace di smascherare le eventuali nic- 17 Mapelli Barbara, Educare nel tempo. Generi e generazioni, in Aa. Vv., Con

voce diversa, pedagogia e differenza sessuale e di genere, Guerini e Associati,

Milano 2001, p. 73.

18 Com’è noto le attese che gli insegnanti nutrono nei confronti degli alunni sono un fattore educativo molto potente, in quanto agiscono secondo il mec- canismo della profezia che si auto-adempie in maniera ora prescrittiva, ora profetica, influenzando il modo in cui i discenti si percepiscono, e quindi ciò che sono e ciò che diventeranno. Provare ad essere diversi da ciò che implici- tamente o espressamente l’insegnante presuppone non è facile, soprattutto se ciò è convalidato anche a livello socio-culturale. I pedagogisti lo chiamano effetto Pigmalione (Cfr. Rosenthal Robert - Jacobson Lenore (1968),

Pigmalione in classe. Aspettative degli insegnanti e sviluppo intellettuale degli allievi, trad. it., Franco Angeli, Milano 1972).

19 Cambi Franco, Ulivieri Simonetta (a cura di), I silenzi nell’educazione. Studi

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Identità professionale e identità di genere

chie, storture, deformazioni in cui si nascondono prospettive poco egualitarie come quelle appena esaminate. Questo rimodellamento è possibile solo se gli insegnanti collocano loro stessi all’interno della prospettiva. Scrive al riguardo Vanna Iori:

Ogni intervento formativo volto alla costruzione del- la personalità ed allo sviluppo identitario degli allievi e delle allieve presuppone consapevolezza delle problema- tiche identitarie negli/nelle insegnanti. Come può infatti favorire il consolidamento delle identità altrui o contri- buire ad una effettiva condizione di parità l’insegnante che non si sia preliminarmente interrogato/a sulla propria identità?20