Gloria Valentin
4. L’antropologia e il genere
Le riflessioni prodotte sul genere da Gayle Rubin e dalle pensatrici a lei contemporanee intendevano dimostrare come il genere affondi le proprie radici nella cultura e nell’educazione più che nella biolo- gia. Tuttavia, pur riconoscendo il contributo della cultura e dell’edu- cazione nella costruzione delle identità di genere e nella selezione dei tratti socialmente considerati come maschili e femminili, non veniva messo in discussione il ruolo primario attribuito al sesso nello stabilire l’appartenenza di genere di un individuo. Il genere veni- va considerato come un costrutto culturale, ma non si concepiva la possibilità che il genere potesse svilupparsi separatamente dal sesso, da una specifica conformazione fisica dell’individuo. Sebbene il fem- minismo della seconda ondata cercasse di disvelare la naturalizzazio- ne delle categorie sociali, presupponeva l’esistenza di un rapporto di dipendenza di un elemento culturale, il genere, da un elemento attinente al mondo naturale, il sesso. Si dava per scontato quindi che il genere derivasse in maniera lineare e necessaria dal sesso. La bio- logia, la morfologia corporea era considerata come l’origine, «l’an- tecedente logico e cronologico» delle differenze di genere9. Quindi, se da una parte le femministe della seconda ondata aspiravano a de- costruire il carattere naturale delle differenze, rischiavano, dall’altra, di ri-biologizzare la distinzione tra uomini e donne. In anni recenti, alcuni pensatori e pensatrici tra cui Judith Butler, hanno invitato a considerare anche il sesso come un costrutto socio-culturale: «for- 9 Busoni Mila, Genere, sesso, cultura. Uno sguardo antropologico, Carocci, Roma
Gloria Valentini
se la costruzione chiamata ‘sesso’ è culturalmente costruita quanto il genere; anzi forse è sempre stata già genere, con la conseguenza che la distinzione tra sesso e genere si rivela non essere affatto una distinzione»10. Il corpo da solo non è portatore di significati, ma essi gli vengono attribuiti culturalmente, non vi sono tratti intrin- secamente maschili o femminili. L’antropologia a tale proposito ha dato contributi importanti mostrando come lo studio di contesti socio-culturali diversi possa svelare il carattere costruito di alcune concezioni euro-americane.
Sylvia Yanagisako e Jane Collier hanno considerato la distinzione tra sex e gender come estremamente etnocentrica e hanno invitato a rivederla alla luce di studi etnografici relativi a culture e società diverse da quella occidentale11.
Se oggi il dimorfismo sessuale è percepito come naturale, Thomas Laqueur in un’opera di ampio respiro che analizza le trasformazioni delle rappresentazioni dei sessi dai Greci a Freud12, spiega che ini- ziò a delinearsi un modello dicotomico dei sessi solamente a partire dall’Ottocento.
Non si concepisce, inoltre, la possibilità che a partire da due sessi13 si possano sviluppare molteplici identità di genere e che la comples- sità delle identità individuali possa non essere esaurita dalle catego- rie di maschile e femminile. Malgrado «le differenti combinazioni di organi genitali, forme corporee, modi di vestire, atteggiamenti, sessualità e ruoli possano produrre tipologie infinite di esseri uma- ni», in ambito euro-americano il mondo continua ad essere perce- 10 Butler Judith, Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity,
Routledge, New York 1990 (trad. it di Roberta Zuppet, Scambi di genere, Sansoni, Milano 2004, p. 10).
11 Moore Henrietta, A Passion for Difference. Essays in Anthropology and Gender, Polity Press, Cambridge 1994, p. 12.
12 Laqueur Thomas, Making Sex: Body and Gender from the Greeks to Freud, Harvard University Press, Harvard 1990 (trad. it. di G. Ferrara Degli Uberti,
L’identità sessuale dai Greci a Freud, Laterza, Bari 1992).
13 Quella che è stata considerata come una verità oggettiva e concreta, cioè che in natura si diano esclusivamente due distinte morfologie corporee, è stata in
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Altri generi
pito come nettamente diviso in due categorie di genere opposte e complementari14.
La naturalizzazione delle elaborazioni concettuali prodotte in seno al mondo euro-americano, denominate da Shelly Errington «Sex» con la lettera maiuscola, può talvolta indurre a dimentica- re il carattere costruito del genere e ad universalizzare categorie prodotte in uno specifico contesto culturale svalutando modi al- ternativi di concepire le differenze di genere15. Non appare scon- tato che in società diverse da quelle euro-americane i soggetti vengano inseriti sulla base di genitali, ormoni e cromosomi, in due categorie che si autoescludono16. La centralità delle differenze biologiche e anatomiche per la costruzione delle distinzioni di genere è propria del contesto euro-americano. In questo senso il genere, inteso come marca culturale, verrebbe prima del sesso. Ad esempio, come riscontra Shelly Errington, in buona parte del Sudest asiatico insulare l’anatomia maschile e quella femminile vengono concepite come molto simili17. Da qui la necessità di studiare empiricamente le dinamiche di costruzione delle identità di genere e i significati per come sono localmente prodotti ed attribuiti, abbandonando schemi interpretativi omnicomprensivi e viziati dall’eurocentrismo; di comprendere, come suggeriscono Jane Atkinson e Shelly Errington, le diverse relazioni di genere «nei loro propri termini»18. L’antropologia, già a partire dagli anni Trenta, con gli studi di Margaret Mead, ha tematizzato la variabi- lità culturale esistente nelle modalità di rappresentare e concepire 14 Lorber Judith, Paradoxes of Gender, Yale University Press, New Haven 1994 (trad. it. di di Marialuisa Donati, L’invenzione dei sessi, Il Saggiatore, Milano 1995, p. 45).
15 Errington Shelly, Recasting Sex, Gender, and Power: A Theoretical and
Regional Overview, in Atkinson Jane, Errington Shelly (eds.), Power and Difference: Gender in Island Southeast Asia, Stanford University Press,
Stanford 1990, pp. 1- 58, p. 21. 16 Ivi, pp. 13-15.
17 Ivi, p. 39.
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le differenze tra uomini e donne, e ha offerto una miriade di esem- pi volti a dimostrarlo.
Aihwa Ong e Michael Peletz ,ad esempio, invitano a vedere il ge- nere nel Sudest asiatico come «un processo fluido, contingente carat- terizzato dalla contestazione, l’ambivalenza e il cambiamento»19.
Se tra gli Zuni del Nord America è indispensabile un intervento umano, culturale, rituale per attribuire un genere ad un corpo, tra i Turkana del Kenya, studiati da Vigdis Broch-Due, l’acquisizione di un’identità di genere passa attraverso specifici riti di iniziazione che inscrivono sul corpo il genere20.
Come sostengono molti studi contemporanei, inoltre, non si può vedere come binario nemmeno il sesso. Spesso è proprio la natura che mostra una varietà di morfologie corporee tale da invalidare l’idea di un dimorfismo sessuale. Maria Nadotti, a tal proposito, afferma che: «la natura si ostina a sfuggire in mille modi, e spesso proprio sul piano anatomico e morfologico, a tale sospetta fissazione binaria»21.