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La genesi del discorso euro-americano sulle variazioni di genere

Gloria Valentin

6. La genesi del discorso euro-americano sulle variazioni di genere

Come afferma Judith Lorber, «I transessuali e i travestiti delle odierne società occidentali sono gli equivalenti più prossimi a questi generi di transizione, con la differenza che non vengono istituziona- lizzati come un terzo genere»32.

Le diverse variazioni di genere e fenomeni con caratteristiche in parte simili a quelle della transessualità moderna sono stati denomi- nati nel corso del tempo e a seconda dei luoghi con termini diversi: si è parlato, infatti, di perversione, di omosessualità, di travestitismo, e solo successivamente, dagli anni Trenta e Quaranta, di transessua- lismo e in anni ancor più recenti di disforia di genere e di esperienza

transgender.

Si deve alla nascita della sessuaologia come disciplina scientifica, «dispositivo complesso per produrre discorsi veri sul sesso»33, lo stu- dio, l’analisi e la la catalogazione di tutte le «sessualità periferiche»34, altre rispetto ai rapporti eterosessuali all’interno del matrimonio. Nacquero in questo periodo termini come «esibizionismo», «sado- masochismo», «feticismo». La sessuologia si occupò a lungo di quelli che solo successivamente verranno chiamati disturbi dell’identità di genere. Le denominazioni e le modalità di concepire e rappresenta- re determinati fenomeni variano enormemente a seconda dell’epoca storica e del contesto socio-culturale. Alla fine del XIX secolo, si faceva spesso riferimento al travestitismo come ad una masquerade, 31 Lorber Judith, op. cit., p.41.

32 Lorber Judith, op. cit., p.40.

33 Foucault Michel, La volonté de savoir, Gallimard, Paris 1978 (trad it. di Pasquale Pasquino, Giovanna Procacci, La volontà di sapere. Storia della ses-

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una finzione, una pratica ludica, come nel caso del Chevalier d’Eon alla corte di Luigi XV. Fu solo attraverso il lavoro di Harry Benjamin che il transessualismo iniziò a configurarsi come «entità clinica» se- parata rispetto al travestitismo, una specifica diagnosi che richiedeva un’adeguata terapia35.

Benjamin, considerato spesso il padre fondatore del moderno transessualismo, era un endocrinologo e geriatra che a partire dagli anni Venti sperimentò l’uso di ormoni per indurre la crescita del seno in pazienti di sesso maschile e si distinse come difensore della chirurgia di riassegnazione del sesso per una determinata tipologia di pazienti. A partire dai suoi studi e dai suopi esperiementi sorsero in molti Paesi europei e americani le prime cliniche specializzate nei disturbi dell’identità di genere e nelle procedure di riassegnazione chirurgica del sesso

Il discorso sulla transessualità è stato a lungo prerogativa della me- dicina e della psichiatria e il dibattito teorico ha riguardato soprat- tutto la legittimità della chirurgia di riassegnazione del sesso.

L’assorbimento della riflessione sulla transessualità all’interno dell’ambito medico ha consolidato il paradigma Occidentale che riconosce l’esistenza di due soli generi derivanti dai due sessi biolo- gici e presuppone una corrispondenza tra sesso anatomico, genere e orientamento sessuale. A cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta tale visione ha iniziato ad essere sfidata da intellettuali transessuali e

transgender che non si sentivano rappresentate/i dalla concettualizza-

zione fino a quel momento diffusa della transessualità

Coloro i quali presentavano caratteristiche diverse rispetto alla fi- gura stereotipata del transessuale, non venivano ammessi ai percorsi di adeguamento del sesso in quanto non reputati veri transessuali.

Secondo Sandy Stone finì per scomparire, in questo modo, «la po- lifonia della vita vissuta, mai rappresentata nel discorso ma presente almeno a livello potenziale» 36.

35 Ekins Richard, Science, Politics and Clinical Intervention: Harry Benjamin,

Transsexuality and the Problem of Heteronormativity, in «Sexualities» (2005),

n.8 vol. 3, pp. 306-328, p. 309.

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Ciò testimonia come le identità non conformi alla norma e le di- verse variazioni di genere si vadano cristallizzando, a seconda dei contesti, in una forma socialmente e culturalmente codificata e ri- conosciuta, forma che nel mondo euro-americano ha preso il nome prima di transessualismo poi di disforia di genere.

La prima dirompente critica della medicalizzazione della transes- sualità venne da Sandy Stone, artista, attivista, teorica transgender e docente di tecniche di produzione audio e video alla University of Texas37. La Stone nel suo The Empire Strikes Back: A Posttranssexual

Manifesto del 1991, ritenne il «farsi passare per l’altro sesso» come

la cosa peggiore che una persona transessuale potesse fare. «Farsi passare per l’altro sesso» equivaleva a rifiutare l’ambiguità insita in ciascuna vicenda umana e a cancellare parte della propria storia per- sonale rendendosi complici del discorso medico-psicologico. Invitò pertanto ad entrare in un’era post-transessuale, se essere transessua- li coincideva necessariamente con l’assimilazione totale nel genere d’arrivo, con il desiderio «farsi passare per» membri «naturali» del genere opposto.

La concezione della transessualità come transizione da coronare con la chirurgia è stata accusata di aver contribuito a rafforzare il dimorfismo di genere e di aver diffuso ulteriormente una visione essenzialista del genere eliminando tutte le manifestazioni non con- formi alle «norme di intelligibilità culturale»38. Al termine transes- sualismo, troppo vincolato alla concezione medica e incapace di trasmettere la varietà delle espressioni del genere, è stato preferito all’interno del dibattito teorico postmoderno il termine transgender, maggiormente caricato di valenze politiche39. A cavallo tra gli anni

sione online http://www.actlab.utexas.edu/�sandy (trad. it.mia<9.

37 Per maggiori informazioni su Sandy Stone, si veda il suo sito internet http:// sandystone.com/sandystone.orig.html

38 Butler Judith, Gender Touble, op. cit. (trad. it. p. 24)

39 In italiano tuttavia il termine risulta spesso difficile da usare, pertanto è ac-In italiano tuttavia il termine risulta spesso difficile da usare, pertanto è ac- cettato, per far riferimento al fenomeno, il temine transessualità, e preferito, per far riferimento alle persone, il termine transgender. L’impiego di transes-

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Ottanta e Novanta si è prodotto, pertanto, quello che è stato defini- to da alcuni come un “paradigm shift”, una rivoluzione all’interno del paradigma usato per concettualizzare le variazioni di genere40. Come affermano Susan Stryker e Stephen Whittle, il nuovo campo disciplinare dei transgender studies vorrebbe abbracciare un insieme ampio di fenomeni che hanno attinenza con il genere in senso lato, dal travestitismo e il transessualismo fino ad arrivare all’intersessua- lità e, più in generale, alla variabilità delle forme umane41. La nuo- va narrativa sull’esperienza “trans” diffusasi tra gli anni Ottanta e Novanta ha insistito sulla fluidità e sull’ambiguità delle appartenen- ze di genere e sul rifiuto delle persone transgender di essere incluse in una delle due categorie riconosciute dal paradigma occidentale. Le identità transgender, per come concepite dai transgender studies, han- no saputo, a parere di Lorenzo Benadusi, «mettere in discussione la nozione di un’identità originaria, naturale e stabile» e hanno sfidato «le distinzioni rigide, andando al di là del confine binario maschile/ femminile, per passare liberamente da una categoria all’altra, o per rifiutare addirittura qualsiasi classificazione di sesso e genere»42.

Il genere, pertanto, ha iniziato ad essere concepito non più come una qualità o una caratteristica degli individui, ma come il prodot- to di un insieme di azioni. Se da una parte le variazioni di genere attestate in contesti culturali diversi da quello occidentale e l’espe- rienza delle persone transgender hanno contribuito a far riflettere sul carattere non necessario del legame tra sesso e genere e hanno dimostrato l’esistenza di generi altri rispetto a quello maschile e femminile, dall’altra hanno permesso di «rendere visibile ciò che la

medico-psicoanalitica.

40 Ekins Richard, King David, The transgender Phenomenon, Sage Publications, London 2006, p. 11.

41 Stryker Susan, (De)Subjugated Knowledges: An Introduction to Transgender

Studies, in Stryker Susan, Whittle Stephen (eds.), The Transgender Studies Reader, Routledge, New York, London 2006, p. 3.

42 Benadusi Lorenzo, Dalla paura al mito dell’indeterminatezza. Storia di er-

mafroditi, travestiti invertiti e transessuali, in Ruspini Elisabetta, Inghilleri

Marco, Transessualità e scienze sociali. Identità di genere nella postmodernità, Liguori, Napoli 2008, pp. 19-48, p. 19.

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cultura ha reso invisibile – il carattere processuale della costruzione del genere»43.

Judith Butler a tale proposito ritiene che il genere «Non andrebbe concepito come nome, cosa sostanziale o marcatore culturale sta- tico, bensì come azione incessante e ripetuta di qualche tipo»44, il prodotto di un processo di attribuzione di genere che è allo stesso tempo individuale e collettivo. Il genere viene tuttavia rappresentato socialmente come un’essenza o una caratteristica identitaria dissimu- landone il carattere processuale.

Nell’impossibilità di appartenere, di essere, alcune persone tran-

sgender mostrano il carattere costruito del genere e dell’identità in

senso più ampio, mostrano quanto il genere abbia a che vedere più con il fare che con l’essere. Per usare le parole di Judith Butler «lo strano, l’incoerente, ciò che cade ‘fuori’, ci offre […] un modo per intendere il mondo dato per scontato della categorizzazione sessuale come mondo costruito, anzi come mondo che potrebbe anche essere costruito diversamente»45. L’inserimento degli individui all’interno di due categorie nettamente distinte e sessualmente complementari, trascura la molteplicità delle manifestazioni del genere, trascura il fatto che «esiste un continuum di tipologie sessuali che vanno dal molto maschile al molto femminile»46. Il genere non è dato una vol- ta per tutte, ma necessita di essere ripetuto, pertanto l’interruzione della ripetizione o una ripetizione lievemente diversa dall’originale potrebbe rappresentare un atto sovversivo nei confronti delle norme di genere.

Olivia Guaraldo, nella prefazione italiana a La disfatta del gene-

re, vede il genere «non come un dato, un assunto incontestabile,

43 West Candace, Zimmerman Don H., Doing Gender, in «Gender and Society» (1987) n. 1, pp. 125-151, p. 131.

44 Butler Judith, Gender Trouble, cit. (trad. it., p. 160). 45 Butler Judith, Gender Trouble, cit. (trad. it., p. 157).

46 Rothblatt Martine, The Apartheid of Sex: Manifesto on the Freedom of

Gender, Crown Publishers, New York 1995 (trad it.a cura di Maria Nadotti, L’apartheid del sesso. Manifesto delle nuove libertà di genere, Il Saggiatore,

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ma una norma che dipende dalla sua stessa ripetibilità», una «praxis che non conosce sosta né prodotto»47. La norma, infatti, secondo la Butler, può esistere solo nel momento in cui viene agita, viene ap- plicata, «ri-idealizzata e ricostituita nei rituali sociali quotidiani della vita corporea»48.

Undoing Gender di Judith Butler, sebbene tradotto in italiano con

il titolo La disfatta del genere, associa al concetto di genere un verbo di durata undoing, esprimendo con forza il tentativo di descrivere il genere come un processo costruttivo e allo stesso tempo distruttivo.

Infatti, per la pensatrice americana non esiste un fare che non evo- chi anche un disfare. Olivia Guaraldo, in un’attenta analisi critica del testo della Butler, afferma che il «fare e disfare sono le pratiche di costruzione del sé, di accettazione e di rifiuto delle norme date, di composizione e scomposizione dell’identità che forgiano la nostra esistenza»49. Sono due azioni che si implicano e si richiamano in una circolarità mai conclusa. «Disfare il genere», come invita a fare la Butler, non equivale a rinunciare al concetto e al termine, e nemme- no a mostrarne l’inutilità dal punto di vista euristico.

La filosofa auspica una disfatta del genere nella sua accezione ri- gida e restrittiva che immobilizza le identità e disconosce l’intima fluidità del divenire.

Inoltre, in Undoing Gender la Butler torna su un tema a lei caro già trattato in Gender Trouble: quello della violenza subita dagli individui a causa di concezioni rigide e normative del genere. Alcune identità, alcune forme di umanità sono considerate accettabili, «vere», «nor- mali» e altre «false o derivate» e inammissibili50. Determinati sogget- ti vengono pertanto costretti dalle norme sociali a vivere in un ruolo 47 Guaraldo Olivia, La disfatta del gender e la questione dell’umano, prefazione all’edizione italiana di Judith Butler, Undoing Gender, Routledge, New York- London 2004 (trad. it di Patrizia Maffezzoli, La disfatta del genere, Meltemi, Roma 2006, pp. 7-24, p. 13).

48 Butler Judith, Undoing Gender, cit. (trad. it. p. 76). 49 Guaraldo Olivia, op. cit. p. 7.

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«impossibile», «illeggibile», «irrealizzabile», «irreale» e «illegittimo»51. Tutte quelle manifestazioni che eccedono e non si conformano ad un modello eteronormativo che presuppone una causalità lineare tra sesso biologico, genere e orientamento sessuale faticano ad essere concettualizzate e riconosciute socialmente.

Per contrastare l’azione di questa violenza delle norme di genere la Butler invita ad una «disfatta del genere». A dover essere disfatto è «il

gender come strumento di gerarchizzazione sociale, di controllo delle

identità, di idioma regolatore per cui ci può essere solo un maschile e un femminile»52.

Disfare il genere per la Butler equivale a rendere la categoria di genere tanto ampia, fluida e flessibile da include il maggior numero possibile di forme umane, da assicurare una forma di riconoscimen- to a chi non la ha e non l’ha mai avuta.

Il genere deve quindi essere contestato, decostruito e allo stesso tempo ricostruito su nuove basi permettendo di ampliare la sfera della realtà e quindi della vivibilità. Come afferma Olivia Guaraldo nell’introduzione di Undoing Gender, «Solo nel momento in cui il gender subisce una sconfitta, una dis-fatta, esso diviene il terreno di una lotta emancipativa»53.

Rivendicare una forma d’inclusione sociale per le forme umane che si collocano fuori dalla sfera dell’intellegibilità, potrebbe aprire uno spiraglio di speranza per l’inclusione potenziale di ogni altra forma di differenza. Il genere disfatto potrebbe contribuire a un’estensione della «vivibilità», della «legittimità a corpi che sono stati giudicati falsi, irreali, inintelligibili»54, potrebbe aiutare a «rendere possibile la vita e ripensare il possibile in quanto tale»55.

Infatti, se il genere da una parte è uno strumento di assoggetta- mento, di controllo e coercizione, dall’altra può dare la possibilità di una soggettivazione, di essere visti e riconosciuti come soggetti, di 51 Ibidem.

52 Guaraldo Olivia, op. cit. p. 17. 53 Guaraldo Olivia, op. cit. p. 14.

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conquistare una forma di esistenza sociale. L’introduzione del con- cetto di genere ha permesso alla donna in quanto soggetto di emer- gere all’interno di un universo esclusivamente maschile. Ha attirato l’attenzione sull’esistenza di due generi dove prima si parlava di un solo sesso, come all’interno di determinati ambiti disciplinari quali la demografia e l’economia. Ha dato la possibilità a chi era muto nella storia di emergere e riscrivere la propria storia. Così come il concetto di genere ha soggettivato e ampliato le possibilità di vita per persone precedentemente mute, ha allo stesso tempo, in una sua accezione rigida e restrittiva, marginalizzato altre voci. Le voci di chi non rientrava nel bipolarismo di genere.

Solo attraverso una «disfatta» del genere, nel senso attribuito al termine da Judith Butler, si può sfidare il carattere rigido e normati- vo di determinate concezioni del genere. Concezioni coercitive che impongono ai corpi delle morfologie ideali e perpetrano forme di violenza sugli individui. Attraverso la disfatta del genere appare, per- tanto, possibile estendere la vivibilità e dare riconoscimento a forme di vita considerate false e irreali.

Gloria Valentini

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