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Infanzia e stereotipi di genere

Ilaria Tovan

2. Diventare donne e uomini La formazione delle identità di genere tra biologia e cultura

2.2 Infanzia e stereotipi di genere

Durante i primi anni di vita l’influenza educativa della famiglia risulta di fondamentale importanza, infatti, è attraverso la socializ- zazione che le bambine ed i bambini imparano a convivere con le 12 Zanuso Billa, Femminilità e psicoanalisi: l’identità di genere nelle ricerche post-

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altre persone. «A partire dai modelli familiari», evidenzia Carmen Monreal Gimeno, «continueranno ad interiorizzare le funzioni che corrispondono ad uno o all’altro sesso e simultaneamente nel pro- prio processo di identificazione si andranno integrando in una di queste due categorie assumendo le qualità e le funzioni che gli sono attribuiti»13. Inoltre, illustra Caterina Arcidiacono:

Le rappresentazioni sociali degli adulti che accudiscono il bambino orientano i pensieri, i sentimenti e le attività nei confronti di quest’ultimo e quindi quelle del bambi- no stesso. Con il tempo, poi, il bambino, diventerà egli stesso attore sociale, interiorizzerà le rappresentazioni so- ciali di genere della collettività a cui appartiene ed espri- merà la propria identità di genere in rapporto ai modi di pensare, sentire e agire della stessa14.

L’infanzia, poiché si confronta giornalmente con il mondo adulto, acquisisce il sistema di ruoli, regole e valori proprio di una deter- minata società il quale trova ampia conferma anche all’interno del gruppo delle/dei pari. Bambine e bambini diventano a loro volta agenti di socializzazione: è possibile notare la severità con cui esse/i ammoniscono le/i coetanee/i che non si conformano secondo i det- tami degli stereotipi, ammonizione dettata soprattutto dalla preoc- cupazione di affermare di fronte a sé stesse/i e alle altre persone la propria identità. L’infanzia, dal momento che nasce e cresce immer- sa nella società, apprende e manifesta precocemente gli stereotipi vigenti all’interno del gruppo d’appartenenza. Non bisogna credere, tuttavia, che rifletta in maniera fedele i luoghi comuni: ogni piccola creatura combina le proprie esperienze, i propri vissuti, la propria sensibilità e la propria maniera di percepire le cose e gli eventi con tutto ciò che osserva e impara dalle persone adulte. Pertanto esse/i non assorbono passivamente i modelli provenienti dalla quotidianità 13 Monreal Gimeno Carmen, La prevenzione della violenza di genere attraverso

l’educazione al superamento degli stereotipi, in Campani Giovanna [a cura di], Genere e globalizzazione, Edizioni ETS, Pisa 2010, p. 151.

14 Arcidiacono Caterina, Introduzione, in Arcidiacono Caterina [a cura di],

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bensì li rielaborano in modo attivo in base a come percepiscono sé stesse/i e la realtà circostante.

È interessante notare come i bambini del nido non abbiano anco- ra sviluppato avversioni particolari nei confronti del trucco che nella nostra società risulta essere una prerogativa esclusivamente femminile. In questo periodo, truccarsi rappresenta per i maschi un momento di confronto con il proprio corpo, un travestimento volto a drammatiz- zare figure adulte, un’attività di manipolazione; successivamente, alla fine della scuola dell’infanzia, il trucco viene oramai percepito come peculiarità esclusiva del femminile e dunque iniziano a diversificarsi i comportamenti di fronte a tale attività: di fatto, i bambini o rifiutano di truccarsi oppure si dipingono oltre al volto anche le braccia, le mani, segno che tutto ciò risulta vietato agli uomini. Altro esempio illumi- nante riguarda la scelta del colore. Molti bambini del nido non avreb- bero alcun problema ad indossare una fascia per capelli rosa o a giocare con le bambole, cose che non farebbero mai verso i cinque anni. Per quanto riguarda l’uso del colore afferma Elena Gianini Belotti:

Per produrre individui che siano, in una certa misura, consenzienti a un destino preconfezionato […] bisogna ricorrere a un sistema condizionatore adeguato. Il pri- mo elemento di differenziazione, che assurge al valore di simbolo, è il colore del corredino preparato per il nasci- turo. […] Il rosa, infatti, è ritenuto un colore prettamen- te femminile, impensabile per un maschio15.

Il colore, con il passare degli anni, diviene un fattore decisivo nell’influenzare i comportamenti delle/dei bambine/i, infatti, tale atteggiamento è stato riscontrato da Martina Cecchi in una ricer- ca condotta in scuole dell’infanzia e primarie della provincia di La Spezia, la quale riporta il fatto che «più di un bambino [di scuola dell’infanzia] non utilizza lo scivolo giallo e rosa perché è da femmi- ne e attende che si liberi quello azzurro»16. Rimarca in tal proposito 15 Gianini Belotti Elena, Dalla parte delle bambine (1973), op. cit., pp. 25-

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Gabriella Seveso: «Un gesto, un modo di esprimersi, un’attività, un determinato abbigliamento che per un bimbo di due o tre anni rivestono interesse in quanto oggetto di osservazione, esplorazione, manipolazione, agli occhi di un bambino di cinque anni si colorano di uno specifico significato, poiché divengono uno dei tanti modi di esprimere la femminilità o la mascolinità»17. Vediamo dunque che, con il progredire della socializzazione, l’infanzia risulta atte- nersi sempre di più ai modelli ed alle regole imposte dal mondo adulto. Ciò, come illustra Elena Gianini Belotti, accade anche nella dimensione ludica:

Ho avuto occasione di osservare spesso, nei nidi dove vie- ne lasciata al bambino la libera scelta tra giochi, oggetti e attività, che le bambine giocano quanto i bambini con automobili, aeroplani, navi ecc. fino ai tre anni circa. Ho visto bambine di 18-20 mesi passare ore e ore a togliere da un sacchetto di tela una serie di automobiline, aerei, elicotteri, navi, trenini, allinearli su un tappeto e spostarli con lo stesso piacere e la stessa concentrazione dei ma- schietti. Allo stesso modo si possono osservare bambini che passano la mattinata a fare il bucato, lavare tavolini, lucidare scarpe. Più tardi questo fenomeno scompare: i bambini hanno già imparato a chiedere il giocattolo

Educazione al femminile. Una storia da scoprire, Guerini e Associati, Milano

2007, p. 308. Afferma inoltre l’Autrice: «già i bambini/e della scuola dell’in- fanzia notano una diversità nelle mode maschili e femminili, a partire dal grembiule, rosa per le femmine, azzurro per i maschi. Spiegano questa dif- ferenza in vari modi, chiamando in causa “la regola del grembiule” imposta dalle maestre o rifacendosi ai gusti dei bambini e delle bambine. Una bimba arriva ad affermare che “G. non si può mettere il grembiule rosa sennò diven-

ta una donna”, mentre un’altra addirittura sostiene che, poiché “i maschi hanno la faccia da maschi, se si mettono il grembiule rosa gli viene la faccia da femmina” e la stessa cosa accadrebbe a una bambina, ovviamente all’inverso.

Sembra quasi che bambini/e non si pongano domande sul perché maschi e femmine abbiano i grembiuli di colori diversi, accettando questa differenza come se appartenesse al proprio essere individui, convenzionale e quindi non modificabile» (Ivi, pp. 307-308).

17 Seveso Gabriella, La differenza di genere, in Nigris Elisabetta [a cura di] (1996), op. cit., p. 77.

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«giusto» perché sanno che quello «sbagliato» sarà loro negato18.

È interessante notare come la figura della madre lavoratrice, possa influenzare le convinzioni inerenti i ruoli sessuali ed indurre una ridefinizione degli stessi da parte dell’infanzia, la quale si rivela essere molto sensibile nei confronti dei mutamenti sociali. Infatti:

le bimbe figlie di donne impegnate fuori casa si dimo- strano, sovente, più autonome e ambiziose, portate a su- perare la tradizionale dicotomia fra mondo familiare e mondo produttivo. Anzi è molto interessante ascoltare i progetti di vita di queste bimbe che, molte volte, dimo- strano una grande fantasia, desideri molto personali, esi- genze ben precise riguardo al loro futuro lavoro. Anche i maschi sono spinti, in molti casi, ad una revisione di ciò che ritengono maschile o femminile, sia per la presenza di una madre lavoratrice (e quindi di un certo modello di identità femminile) sia perché l’impegno extradome- stico materno comporta, a volte, una diversa distribu- zione di compiti all’interno della famiglia (i padri stessi sono chiamati a aiutare nello svolgimento delle faccende domestiche). La revisione dei ruoli, a volte, si presenta ancora molto contraddittoria e confusa, e dagli esiti sor- prendenti: accanto a chi afferma che «lo scopo della don- na è di lavorare in casa», c’è anche chi si dimostra di più larghe vedute: «Sposerò una lavoratrice, perché i lavori domestici li posso fare anch’io»19.

Sarebbe importante offrire all’infanzia la possibilità di osservare una pluralità di identità femminili e maschili per far sì che possa ela- borare un personale ed autentico progetto di vita in fedeltà a sé, ai propri desideri, alle proprie potenzialità e alla propria libertà in quanto tutte le persone devono avere l’opportunità di formarsi nella maniera a loro più congeniale a prescindere dal sesso di appartenen- za. Tale opportunità, ovviamente, deve essere garantita dal mondo 18 Gianini Belotti Elena, Dalla parte delle bambine (1973), op. cit., p. 90. 19 Seveso Gabriella, La differenza di genere, in Nigris Elisabetta [a cura di]

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adulto innanzitutto rinunciando alla diffusa tendenza a differenziare i percorsi femminili e maschili ed al contempo facendo sperimentare finalmente la libertà di crescere nella maniera più opportuna.