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Media e mutamento sociale

Irene Biemm

2. Media e mutamento sociale

Relativamente al rapporto tra media e mutamento sociale sono rintracciabili in letteratura tre approcci paradigmatici. Una prima concezione dei media come “specchio della realtà” vede la loro fun- zione come meramente riproduttiva dello stato di cose presente. Per ciò che concerne le trasformazioni dell’immaginario di genere questo significa che i media assumono un ruolo di riaffermazione e consolidamento delle tendenze culturali e dei ruoli sociali di genere già presenti nella società, ma non possono agire come anticipatori e propulsori di cambiamento sociale. Questo non implica necessa- riamente un immobilismo o un atteggiamento conservatore, infatti i mass media possono agire di concerto alle trasformazioni in atto nella società, dandone risonanza e, dunque, legittimazione. Scrivono a questo proposito Grossi e Ruspini: «se la società, il costume, i mo- delli condivisi si modificano sotto la spinta dei movimenti – politici, di opinione, culturali, artistici – o delle trasformazioni economiche e sociali, anche i media ne devono tener conto e si devono adeguare. (…) Gli stessi stereotipi di genere presenti nei media possono perciò, in parte, modificarsi a seguito di trasformazioni sociali e cultura- li, creando un riallineamento tra cultura condivisa e nuove culture innovative»16.

Un secondo approccio si focalizza sui processi di ricezione enfa- tizzando la capacità dell’audience di decostruire i messaggi massme- diatici portando avanti azioni di “resistenza culturale” e prevedendo 16 Giorgio Grossi, Elisabetta Ruspini, Introduzione in Giorgio Grossi, Elisabetta Ruspini (a cura di), Ofelia e Parsifal. Modelli e differenze di genere

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“letture alternative” dei messaggi proposti. Secondo questa prospet- tiva i modelli di genere e gli stereotipi divulgati dai mass media non hanno un valore normativo perché sono sottoposti al vaglio criti- co del pubblico che destruttura i messaggi e li reinterpreta in una prospettiva di costruzione intersoggettiva dei significati che si nu- tre delle interazioni faccia a faccia e degli scambi comunicativi tra gli individui17. Questo approccio presuppone – forse un po’ troppo ottimisticamente – che le donne fruitrici dei messaggi massmedia- tici abbiano già acquisito una forte autocoscienza di genere e siano dunque immuni da eventuali messaggi sessisti, in quanto capaci di sottoporli a critica.

Un terzo filone interpretativo concepisce i media come produt- tori di nuovi ambienti culturali che cambiano la percezione delle situazioni sociali e quindi sono in grado di modificare atteggiamenti e comportamenti. Secondo questa terza prospettiva i media non si limiterebbero a rispecchiare lo stato di cose dominante ma sarebbe- ro in grado di agire attivamente come mediatori e facilitatori delle ridefinizioni dei ruoli di genere. Questa la tesi sostenuta da Joshua Meyrowitz nel noto saggio Oltre il senso del luogo18, frutto di una rielaborazione e di una felice sintesi delle teorie di McLuhan19 e di 17 Vedi Peter Berger, Thomas Luckmann (1966), La costruzione sociale della

realtà, Il Mulino, Bologna 1973.

18 Joshua Meyrowitz (1985), Oltre il senso del luogo. Come i media elettronici

influenzano il comportamento sociale, Baskerville, Bologna 1995.

19 Marshall McLuhan è uno dei più noti studiosi dei media. A lui si deve la teorizzazione degli effetti prodotti dalla comunicazione di massa sia sulla società nel suo complesso sia sui comportamenti dei singoli. Affermando che “il medium è il messaggio”, McLuhan intende sostenere che è il mez- zo tecnologico che determina i caratteri strutturali della comunicazione e produce effetti pervasivi sull’immaginario collettivo. Ciò che è importante studiare non è tanto il contenuto della comunicazione, quanto il mezzo (la tecnologia) che veicola i messaggi, ritenuto in grado di plasmare il modo di percepire e pensare il mondo. Sempre a McLuhan si deve l’immagine del “villaggio globale”, un ossimoro attraverso il quale si intende indicare come l’evoluzione dei mezzi di comunicazione abbia prodotto un mondo piccolo, delle dimensioni di un villaggio, all’interno del quale si annullano le distanze fisiche e culturali e dove stili di vita, tradizioni, lingue, etnie sono

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Goffman20.

Secondo Meyrowitz i media (il telefono, la radio, ma in particolar modo la televisione), hanno cambiato il modo in cui le persone pos- sono avere accesso alle informazioni, rompendo le barriere tra “luogo fisico” e “luogo sociale”. Prima dell’avvento dei media elettronici per accedere ad una determinata situazione sociale e per poter interagire con altri individui occorreva essere fisicamente presenti in un de- terminato contesto fisico, il che implicava spostarsi nello spazio per recarsi nei luoghi addetti agli scambi sociali. Utilizzando le parole di Meyrowitz: «I luoghi definivano la maggior parte dei sistemi d’in- formazione. Una determinata situazione di luogo era isolata, a livel- lo spaziale e temporale, da altre situazioni di luogo. Viaggiando da una situazione all’altra si impiegava del tempo, e la distanza dava la misura del grado di isolamento e di auto isolamento sociale. Poiché solo le porte permettono di entrare in locali ed edifici, un tempo era possibile includere gli individui nelle situazioni ed escluderli dalle si- tuazioni in modi chiaramente osservabili e prevedibili»21. Con la dif- fusione dei mezzi di comunicazione di massa si ha un rivoluzionario cambiamento per cui le persone possono comunicare tra loro senza dover condividere il medesimo spazio e il medesimo tempo per cui rese sempre più omogenee e internazionali. Per approfondimenti si rimanda a: Marshall McLuhan (1964), Gli strumenti del comunicare, Il Saggiatore, Milano 1993; Marshall McLuhan, Quentin Fiore (1967), Il medium è il

messaggio, Feltrinelli, Milano 1968; Marshall Mcluhan, Bruce R. Powers

(1989), Il villaggio globale. XXI secolo: trasformazioni nella vita e nei media, SugarCo, Milano 1992.

20 Erving Goffman è noto per la sua opera La vita quotidiana come rappresen-

tazione in cui espone la metafora drammaturgica in base alla quale la vita è

un teatro in cui i soggetti-attori interagiscono, orientati dai significati che essi attribuiscono alla situazione e dai repertori che la cultura di appartenenza mette loro a disposizione. La vita sociale si divide – come il teatro - in spazi di palcoscenico (o di “ribalta”) dove si inscena la rappresentazione e spazi di ret- roscena, nascosti al pubblico, in cui si possono tenere comportamenti differ- enti, che stridono con quelli esibiti sul palcoscenico. Vedi Erving Goffman (1959), La vita quotidiana come rappresentazione, trad. it., Il Mulino, Bologna 1969.

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l’accesso alle informazioni diventa progressivamente indipendente dall’accesso ai luoghi: «I confini segnati da pareti, porte, filo spinato, e rafforzati da leggi, guardie e cani addestrati, continuano a definire le situazioni tramite l’inclusione e l’esclusione dei partecipanti. Ma oggi, tali confini servono a definire le situazioni sociali solo nella misura in cui ancora è possibile ridurre le informazioni restringen- do l’accesso fisico. E se molte informazioni sociali sono ancora ac- cessibili solo recandosi in determinati luoghi o interagendo con gli individui in incontri faccia a faccia, i recenti cambiamenti hanno parecchio indebolito il rapporto, un tempo armonioso, tra l’accesso all’informazione e l’accesso ai luoghi»22.

I nuovi ambienti sociali creati dai mass media hanno forti implica- zioni anche sulle identità di gruppo, rendendole più malleabili. Se è vero che un gruppo è coeso nel momento in cui i membri condivi- dono tra loro informazioni da cui sono esclusi gli estranei al gruppo (concetti di in-group e out-group), i media elettronici possono de- terminare la fusione dei gruppi tradizionali, in quanto modificano il sistema di condivisione delle informazioni, cioè il “chi condivide informazione sociale con chi”. Caso esemplare di trasformazione delle identità di gruppo è la fusione tra il femminile e il maschile. Storicamente la netta distinzione dei ruoli tra uomini e donne è stata segnata da una rigida separazione degli spazi riservati agli uni e alle altre: lo spazio pubblico maschile, lo spazio privato-domestico fem- minile. La vita delle donne, vissuta per lo più all’interno delle mura domestiche, risultava dunque menomata da una impossibilità di ac- cedere alle informazioni e alle interazioni sociali che si giocavano tutte nel contesto pubblico. Le donne non avevano modo di sapere ciò che accadeva al di fuori delle “porta” di casa e non potevano neppure conoscere il mondo maschile per come questo appariva sul “palcoscenico sociale”: la visione che le donne avevano degli uomini era unicamente quella dello spazio di retroscena, cioè dei compor- tamenti esibiti all’interno della casa. I mass media, e in particolare la televisione, consentono alle donne di avere accesso alle medesi- me informazioni cui hanno accesso gli uomini e permettono altresì 22 Ivi, p. 192.

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alle donne di avere una precisa rappresentazione della vita maschile, sia negli spazi di ribalta che di retroscena. Questo vale ovviamente anche per gli uomini che hanno l’opportunità di accostarsi al mon- do femminile, così come viene raffigurato mediaticamente, sia nella sfera privata che in quella pubblica. I gruppi maschili e femminili in sostanza condividono reciprocamente i comportamenti da scena e retroscena e questo è sufficiente per smontare le identità dei due gruppi. In più, la fusione dei “sistemi informativi” cui hanno accesso uomini e donne e la rottura della “dottrina delle due sfere” (sfera pubblica/privata), dà un forte contributo alla ridefinizione dei ruoli sessuali.

Si potrebbe obiettare che il mondo rappresentato dalla tv spesso tende a relegare ai margini le donne e a sovra rappresentare i “temi maschili” per cui le opportunità di cambiamento e di revisione dei ruoli di genere sembrerebbero, come sempre, a svantaggio delle don- ne. Ma a questa obiezione Meyrowitz risponderebbe che anche in questo caso, cioè anche quando la tv presenta una rappresentazione sessista della realtà, offre comunque alle donne uno stimolo per per- cepirsi come categoria discriminata e, dunque, appare funzionale al cambiamento sociale. Scrive lo studioso: «La prospettiva offerta dal- la televisione di un mondo maschile con argomenti maschili, avven- ture maschili e opportunità maschili, da cui le donne sono escluse, può essere strettamente collegata alla nuova capacità delle donne di percepirsi come “minoranza”, gruppo isolato da un mondo che pos- sono vedere ma in cui non possono entrare. La costante esposizione alla televisione dell’ambito pubblico maschile incoraggia le donne a richiedere la loro integrazione sessuale in tutte le sfere pubbliche».23 Meyrowitz arriva quindi a sostenere una tesi piuttosto ardita secon- do cui: «L’arena condivisa della televisione favorisce la liberazione degli uomini e delle donne dai vecchi ruoli nonostante i suoi mes- saggi siano tradizionali o reazionari»24.

Rispetto alle tre posizioni appena esaminate, indipendentemente dalla prospettiva che assumiamo, si può convenire su un dato: i 23 Ivi, p. 350.

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media offrono la possibilità di attingere ad un immaginario che va ad integrarsi, in maniera coerente oppure conflittuale, con i vissuti di genere esperiti da uomini e donne nella loro vita reale e vanno a costituire uno spazio simbolico significativo per la ridefinizio- ne delle identità femminili e maschili. Scrivono Grossi e Ruspini: «quest’arena cognitiva e simbolica che interagisce ormai struttural- mente con le pratiche sociali e gli orientamenti culturali è dunque certamente contesto (se non anche attore) del mutamento sociale, sia nel senso che “decanta” (quindi legittima) tipizzazioni di genere socialmente attive sia nel senso che “sperimenta” (e quindi rende possibili) nuove prospettive di genere, non ancora manifestate o

desiderate»25.

Purtroppo, nel panorama mediatico italiano, siamo costrette/i a constatare che i media spesso non riescono neppure a rappresentare i cambiamenti sociali già avvenuti nella società e risultano quindi uno specchio distorto, ritardato e deformante, soprattutto per quanto riguarda la rappresentazione del mondo femminile.