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Morfologia e lessico del sistema linguistico italiano in prospettiva di genere

Ilaria Cellanett

2. Morfologia e lessico del sistema linguistico italiano in prospettiva di genere

La lingua italiana, come altre lingue romanze, presenta una ricca morfologia che distingue il genere maschile da quello femminile. Comprende due classi principali per sostantivi e aggettivi: la prima possiede quattro desinenze distinte per genere e numero (es. gatto/- a/-i/-e, buono/-a/-i/-e), la seconda due desinenze distinte per nume- ro (es. cantante/-i, facile/-i). In questo secondo caso è l’articolo che esprime il genere: la cantante, il cantante. Esiste poi un cospicuo numero di suffissi, talvolta non più riconoscibili all’interno di parole ormai lessicalizzate (es. -iere in infermiere), che complicano ulterior- mente il pattern morfologico (il femminile di infermiere è infermiera, quello di attore è attrice, ecc). La lingua italiana obbliga, pertanto, a dichiarare il genere del referente per mezzo della desinenza o, qualo- ra questa non sia distintiva, per mezzo dell’articolo.

L’italiano conosce inoltre, e ne fa largo uso, la possibilità di adope- rare il genere maschile come genere non-marcato, come una sorta di “falso neutro”.11 Un primo esempio è dato dall’accordo al maschile

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Lingua e genere

di aggettivi e participi quando i referenti sono sia maschili che fem- minili, come in Paolo e Francesca sono considerati due figure di rilie-

vo nella redazione del giornale (e non sono considerate). Un secondo

esempio è costituito dall’uso di termini di genere maschile per indi- care la classe esseri umani composta da uomini e donne: in una frase come in un futuro ormai prossimo l’uomo vivrà duecento anni compa- re il termine uomo ma il riferimento è agli uomini e alle donne.

Osserviamo tuttavia che la distinzione marcato/non marcato non è di esclusiva pertinenza della scienza linguistica, ma è ben nota alla mente umana, che l’applica disinvoltamente (anche se, forse, incon- sciamente) in diversi campi. L’uso del maschile come genere non marcato è stato, ed è ancora sentito, come discriminante nei con- fronti delle donne. Negli anni Ottanta le Raccomandazioni per un

uso non sessista della lingua italiana12 di Alma Sabatini promuoveva- no, inventandolo ove necessario, un uso dell’italiano estremamen- te attento a rispettare e sottolineare la differenza di genere. Erano previsti interventi numerosi e sostanziosi sulla morfologia, dei quali venivano date spiegazioni minuziose e articolate.

Si riportano di seguito le principali proposte: Uso del maschile come genere non marcato. Le

1. Raccomandazioni

suggeriscono di usare persona o individuo invece di uomo, so- stituendo quindi a diritti dell’uomo l’espressione diritti della

persona;

Accordo grammaticale. La grammatica prescrittiva impo- 2.

ne che qualora si faccia riferimento a referenti di sesso ma- schile e femminile l’accordo deve essere al maschile: Chiara,

Luca e Susanna sono italiani/russi e non italiane/russe. Le Raccomandazioni consigliano di accordare aggettivi e participi

passati con i nomi che sono in maggioranza, e in caso di parità con l’ultimo nome;

12 Alma Sabatini, Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italia-

na: per la scuola e per l’editoria scolastica, Istituto Poligrafico e Zecca dello

Stato, Roma 1986. In Italia gli studi di Alma Sabatini sono stati essenziali per promuovere la riflessione sulla natura e l’uso della lingua in relazione alla differenza di genere.

Ilaria Cellanetti

Titoli professionali. Verso la metà degli anni ’80 (e, purtrop- 3.

po, anche oggi), la lingua italiana non disponeva di termini femminili per indicare titoli professionali riferiti a donne per varie professioni di alto livello. Le Raccomandazioni propon- gono di creare la forma femminile, laddove non sia già di- sponibile, con la sola avvertenza di evitare le forme in -essa, sentite come riduttive, oppure di preporre al nome l’articolo femminile.13

Le Raccomandazioni hanno avuto sicuramente il merito di far nascere ufficialmente in Italia una riflessione sullo stretto legame tra identità di genere e uso della lingua, e su come «l’impostazione androcentrica della lingua, riflettendo una situazione sociale storicamente situabi- le, induce fatalmente a giudizi che sminuiscono, ridimensionano, colorano in un certo modo, e, in definitiva, penalizzano, le posizioni che la donna è venuta oggi ad occupare».14

Tuttavia il tentativo di affermare la soggettività sessuata attraver- so scelte linguistiche formali non sporadiche o limitate, ma a largo raggio, presuppone un intervento sul sistema linguistico così pro- fondo e radicale da arrivare a metterne in crisi quegli stessi criteri di sistematicità, tradizione ed economia sui quali esso si fonda. Il sistema della lingua e la sua norma d’uso sono il risultato di un lungo processo di assestamento storico e non sono modificabili velocemen- te. Inoltre, cambiare la lingua non comporta automaticamente un mutamento di ideologia.

13 I termini -o, - aio/-ario mutano in -a, - aia/-aria (es. architetta, avvocata, chirurga, critica, ministra, prefetta, notaia, primaria, segretaria); i termini -iere mutano in –iera (es. infermiera, pioniera, portiera); i termini in - sore mutano in –sora (es. assessora, difensora, evasora, oppressora); i femminili in -essa corrispondenti a maschili in - (s)ore devono essere sostituiti da nuove forme in -(s)ora (es. dottora, professora); i termini in -tore mutano in –trice (es. ambasciatrice, amministratrice, direttrice, ispettrice, redattrice, senatrice, accompagnatrice).

14 Francesco Sabatini, “Rigidità-esplicitezza” vs “elasticità-implicitezza”: possibili

parametri massimi per una tipologia dei testi, in Gunver Skytte-Francesco

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Lingua e genere

Il contrasto fra la norma linguistica, che prescrive certi usi e sem- bra scoraggiarne altri, e la necessità di una lingua agile, al passo con i tempi e rispettosa dell’identità di genere è riconducibile alla distin- zione fra lingua come sistema virtuale e la sua realizzazione testuale. La realtà linguistica dimostra che il rapporto tra sistema e realizzazio-

ne non è biunivoco, ma permette una certa gamma di variazione.

Ciò che rende possibile questa sorta di deviazione dalla norma lin- guistica standard ce lo illustra l’allora presidente dell’Accademia del- la Crusca nell’Introduzione alle Raccomandazioni: «sono evidenti le assurdità che oggi derivano dall’uso del maschile onnivalente quan- do si considerino i vocaboli non isolatamente o in frasette artificiali, ma nel contesto di discorsi reali nei quali si intrecciano i riferimenti alla funzione con i suoi attributi e quelli alla persona, con tutte le sue caratteristiche naturali. […] Non è possibile separare nettamente il pubblico dal privato: l’uso delle parole, e quindi dei titoli profes- sionali, va osservato nelle situazioni comunicative reali e non su un foglietto di carta. Si immagini, ad esempio, una telefonata in cui si chiede se c’è il notaio, o l’architetto e si sviluppa poi il discorso (è oc-

cupato, è partito, è stato informato della mia telefonata?, è sceso al bar, è stato chiamato in cantiere, ecc.), quando in realtà si tratta di una

donna, e con piena cognizione degli interlocutori».15

Nel momento in cui ci riferiamo alla lingua occorre dunque sem- pre distinguere tra il sistema astratto (descritto dalla grammatica) e la lingua reale, costituita dai vari tipi di testo che produciamo per rispondere alle esigenze delle diverse situazioni comunicative. È nell’ambito degli scambi linguistici quotidiani, scritti o parlati, che si prospetta una maggiore duttilità della lingua che deve essere ca- pace di seguire le regole della tradizione grammaticale ma al tempo stesso essere pronta ad adattarsi ai contesti comunicativi che cambia- no continuamente e che necessitano di un rinnovamento linguistico per veicolare messaggi rispondenti a nuove realtà. In questi contesti risulta possibile superare quel divario che si è venuto a creare tra i cambiamenti sociali che hanno trasformato il mondo femminile 15 Francesco Sabatini, Più che una prefazione, in Alma Sabatini,

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negli ultimi decenni e la rigidità di una lingua che tarda a farsene portavoce e a rappresentarli.

Quindi la soluzione non sembra essere l’imposizione dall’alto di cambiamenti linguistici, ma dare una piena visibilità e rispondenza linguistica al nuovo status sociale delle donne. Dato che la lingua è sempre depositaria di una cultura e il prodotto della società che la parla, «appare vano tentare di modificare la lingua e pretendere che sia un tale cambiamento ad influenzare la società, se questa è stata ed è ancora una società sessista»16.