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Le minori vidomègon e la pratica di «placements d’enfants»

Sonia Elisabetta Chessa

3. Le minori vidomègon e la pratica di «placements d’enfants»

«La miglior ricchezza non è l’oro, la miglior ricchezza sono i bambini» cita l’antico detto beninese. A essere più esatti non l’oro, non i bambini ma semmai – lo rive- lano le cifre – le bambine sono la “miglior ricchezza” del Bénin che, come fossero mercanzia, sono date in prestito o vendute al circuito della tratta e del traffico all’interno e all’esterno del Paese. Una situazione questa che prende origine dalla consuetudine africana di affidamento edu- cativo dei minori a terzi, più comunemente conosciuta come placements d’enfants, enfant placé o vidomègon; pratica tradizionale attraverso la quale il trasferimento o la mobilità di bambine e bambini è da considerarsi “nor- male e finalizzato al benessere di questi minori”22.

20 Intervista al responsabile dell’ONG Terre des Hommes, Cotonou, dicembre 2009.

21 étude natIonale sur la traIte des enfant, Rapport d’analyse 2007, Cerfop- Unicef, pp. 20-24. In Bénin sono 40.137 i minori vittime di tratta, sul totale il 98,4% sono vittime di tratta interna e per l’86% sono bambine e ragazze. 22 raPPort de CaPItalIsatIon sur les Causes struCturelles de la traIte

Sonia Elisabetta Chessa

I meccanismi del tradizionale affidamento-prestito sono quelli tipici che richiamano all’aiuto familiare basato sulla solidarietà comunita- ria generalizzata da cui, solitamente, entrambi i partners traggono in una certa misura un vantaggio. Il bambino si trova a essere in un cer- to qual modo al centro di un accordo bilaterale e la cristallizzazione di un investimento economico, materiale e simbolico sia dei genitori biologici sia di quelli sociali23.

Tuttavia, più che in termini di solidarietà familiare e di opportunità per il minore, oggi si parla di perversione del sistema tradizionale di “affidamento educativo”. Sono i rapporti e le indagini sulla trat- ta dei minori che rivelano che i bambini vidomègon sono sfruttati come manodopera gratuita quando non avviati alla prostituzione. Una distorsione nella quale, al posto di parenti benevoli, si sono in- serite figure d’intermediari, “piazzatori” di professione che battono i villaggi più poveri in cerca di minori da prendere per poi “piazza- re” nel settore informale del commercio, in prestito di manodopera o da comprare per cifre che in cefa africani equivalgono a quindici euro24. Che i «piazzatori» di professione cerchino soprattutto bam- bine e ragazzine da sfruttare non sorprende; in Bénin, come anche in molte altre parti del mondo, le figlie femmine, considerate ap- partenenti a un genere inferiore, hanno la responsabilità di aiutare le famiglie e «se la famiglia deve fare un sacrificio, sono innanzitutto le bambine che vengono ritirate da scuola e messe a lavorare»25. Va da sé che i casi di minori enfants placés, dati via dai propri parenti, riguardino soprattutto le minori, le quali, stigmatizzate vidomègon

– dal nome della pratica tradizionale – sono sfruttate principalmen-

te nelle attività domestiche e nelle attività commerciali dei mercati, lavorano tutto il giorno, hanno un’età che va mediamente dai sei ai 23 Morganti Simona, www.unive.it/media/allegato/dep/n7/Recensioni/

Valente.pdf

24 Trafficanti nigeriani e ivoriani “reclutano” i bambini nei villaggi di frontiera, come accade ad Adjohoun, centro di tutto il traffico transfrontaliero. http:// formazioneinrete.myblog.it/archive/2011/08/23/figli-del-mercato-bambini- schiavi.html.

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Le pratiche socio-culturali del maltrattamento sulle minori e sui minori in Bénin

diciassette anni e la maggior parte di loro dormono nei luoghi di lavoro26.

E come ho potuto osservare, nella capitale commerciale Cotonou sono centinaia le bambine vidomègon che lavorano e “vivono” den- tro il gigantesco mercato di Dantkopa; queste minori, affermano le operatrici della Baraque, «sono tutte analfabete, sradicate dalla loro famiglia, senza cure mediche, a rischio di violenze e di sfruttamento sessuale o di essere cedute ai trafficanti che le inviano all’estero»27. Una condizione estrema, questa delle piccole vidomègon, da noi non troppo distante, poiché non dissimile da quella delle bambine italia- ne dei ceti più poveri della nostra storia. Scrive Simonetta Ulivieri:

“Le bambine del Novecento di cui ripercorriamo il desti- no esistenziale, sono di volta in volta piccole contadine o piccole operaie, avviate molto presto al lavoro dei campi e dei pascoli, o nelle fabbriche e nei laboratori artigiani, sfruttate spesso da padroni inumani, cui le cedevano le famiglie bisognose. Le operaie, le lavoranti e le piscinine, lavoravano fino a quindici ore al giorno, “spesso così pic- cole che venivano portate al lavoro in braccio”, e le picco- le domestiche denutrite, maltrattate e più spesso vittime di violenze sessuali da parte dei loro padroni28.

Per le bambine vidomègon, così come per le serventine, le pasto-

relle o le piscinine del nostro Novecento, la fuga può rappresen-

tare l’unico modo per sopravvivere, rompere il silenzio e fuggire dall’anonimato29.

Molti minori riescono a scappare percorrendo a volte centinaia di chilometri nel tentativo di ritornare ai propri villaggi. È frequente ritrovarli lungo le strade di frontie- 26 étude natIonale sur la traIte des enfant, op. cit., pp. 26-30.

27 Dantkopa è tra i più importanti mercati del commercio dell’Africa dell’Ovest.

La Baraque, creata dalla Missione Salesiana di Cotonou, è luogo di alfabetiz-

zazione, ascolto e aiuto per i problemi di salute dei minori vidomègon. 28 Ulivieri Simonetta, Le bambine nella storia dell’educazione, Laterza, Roma-

Bari 1999, pp. 302-313.

29 Agossou Thérèse, Regards d’Afrique sur la maltraitance, Editions Khartala, Paris, 2000, p. 23.

Sonia Elisabetta Chessa

ra e sulle vie che collegano i principali centri ai villag- gi. Si tratta generalmente di bambini senza documenti d’identità che spesso non conoscono neppure il proprio villaggio d’origine; per alcuni minori i villaggi di prove- nienza sono individuati tramite i tatuaggi delle tribù che i bambini spesso hanno incisi sul volto. Sono soprattutto gli zemindar che a volte li vedono in giro, soprattutto nei pressi dei mercati, e li portano alla polizia30.

Una fuga che coinvolge le giovani apprendiste, le bambine della stra- da, le venditrici dei mercati, le giovani servette domestiche e dei

maquìs31, tutte esposte a ogni tipo di violenza. Tra gli episodi cruenti descritti da Thérèse Agossou, una bimba di dieci anni è costretta dalla dame sua sfruttatrice a introdurre nella propria vagina del pepe- roncino, punita per aver perso le fatture di vendita dello yogurt32.

4. La ricerca sul campo: incursioni e testimonianze nelle